8 luglio 2021, ore 16.55 (24h dopo)
Anche l’angelo che sembra accarezzare la luna – come bolla di sapone – quando appare nel cielo terso delle più lunghe giornate estive, è caduto. Neppure gli angeli – sembra dire – reggono più a questa violenza della natura.
All’interno della chiesa il cero pasquale, accanto al fonte battesimale, riporta l’anno del Signore 2021 della Pasqua di resurrezione già celebrata. Le immagini inviate da un cellulare all’altro datano giovedì 8 luglio 2021. L’orologio della torre civica, che verosimilmente s’è fermato dopo il black-out, segna le ore 16.55. A quell’ora tutto era appena accaduto.
A memoria di paesani nessuno ricorda un evento così catastrofico. Dopo una prima ondata di pioggia, vento e grandine, il peggio sembrava appena passato, ma era solo una rincorsa presa da più lontano. Il vento questa volta è entrato dai campi a ovest del paese. Sulla strada che porta al santuario si contano, tra divelti e spezzati, quindici alberi. Ma ancora è nulla di quanto, pochi secondi dopo, sarebbe accaduto.
L’occhio del ciclone è cieco, non guarda in faccia a nessuno. A vento cessato, nonostante ancora piovesse, si comincia ad uscire dalle case per rendersi conto di cosa possa mai essere accaduto a nostra insaputa, mentre eravamo dietro finestre e tapparelle chiuse per evitare almeno l’acqua. Ma questa volta sono muri e tetti a incassare i colpi. E qualcuno confessa subito: «Finché non ti capita, non ti rendi conto». E questa volta è toccato a noi. E questo ci fa più sensibili e prossimi a comprendere meglio la condizione degli sfollati, dei terremotati, degli alluvionati. Fa solo specie che, per essere più empatici, ci si debba passare dentro.
La gente di campagna piuttosto ricorda di quando il parroco dava ordine di suonare la campana più grossa per spaccare le nuvole con il riverbero delle onde sonore più gravi. Come ancora oggi, in altre campagne, si sparano colpi di mortaio a salve per scongiurare la grandine e indebolire le trame fitte e plumbee dei temporali estivi. Il fatto è che le nostre campane sono a terra per i lavori di restauro. Il fatto è che senza elettricità neppure si sarebbero potute suonare. Una catena e poi una fune scendevano ancora fino a terra dalla sommità del nuovo campanile e tutto questo, fino a pochi anni fa… ora ne avremmo apprezzato l’utilità. Tirare a mano quella corda con tutte le forze, c’avrei provato anche io a farlo, a sapere che si sarebbe potuto evitare tutto questo.
Il campanone sarebbe stato da suonarsi molto prima, alle prime avvisaglie di nuvole minacciose che si addensano, ma se non altro serviva – in quel tempo – per richiamare la gente in casa e i contadini a rientrare dai campi. Oggi sono le previsioni sugli smartphone (più che quelle in TV) a farsi attendibili. Campanone che suona o no, giusto il tempo di avvertire per sms famiglie e ragazzi che non ci saremmo incontrati per il nostro appuntamento del «cate-nic» (catechesi, gioco e pic-nic).
Le immagini circolano ma – comunque sia – non rendono pienamente l’idea. Questa volta sono i suoni e i rumori a stampare nella mente ciò che non si riusciva vedere. Troppo forte la pioggia, troppo vento, troppa la grandine, troppa la forza e l’uomo non può far altro che rintanarsi come un animale impaurito. Fosse anche un leone. Gli animali lo sentivano, era nell’aria. I miei cani è da alcuni giorni che riposavano appallottolati in se stessi e non più spiaggiati sul pavimento in cerca di fresco.
Solo l’orologio del campanile s’è fermato. Il tempo degli uomini s’è subito rimesso in moto. Ci sono macerie da rimuovere: tegole e rami, alberi interi e travi fatte proprio dello stesso materiale. Lamiere accartocciate come quando si fa una pallina di carta stagnola. Dalle case scoperchiate, dai loro solai, si ode il rumore di ramazze con le quali si cerca di spalare acqua accumulata, prima che penetri nelle solette. Si sentono rumori di tegole rotte che vengono buttate in strada dai tetti, mezzi meccanici che rimuovono macerie, di motoseghe che tagliano legname fatto legna da ardere, soffiatori di foglie dalle quali è bene liberare anche i tombini onde evitare…
Scrivo. Ventiquattro ore dopo l’uragano. Non per dovere di cronaca. Scrivo come forse facevano i parroci di una volta quando compilavano, con dovizia di particolari, il chronicon, un diario parrocchiale dove si annotavano tutte le cose che accadono, eventi atmosferici compresi. Scrivo qui, in questo diario contemporaneo, dove tutti i giorni cerco di scrivere qualche parola attorno al Vangelo e alla nostra vita. Ed è chiaro che eventi come questi ci interrogano.
Dunque immagino che nel cuore della mia gente, quando improvvisamente il cielo sembra diventare nemico e non essere più propizio e favorevole alla terra, quel «come in cielo così in terra» salti un po’ per aria. Anche il sole quando arroventa è violento e toglie il fiato, ma cercato un riparo d’ombra si sta già meglio. Ma un cielo in burrasca sembra davvero un mondo al rovescio. Cammino tra la gente che fotografa e osserva e intanto mi passano nel cuore certe parole dei Salmi. «Dov’è il tuo Dio?». «Il nostro Dio è nei cieli, egli compie tutto ciò che vuole» (salmo 113). Ma fatico davvero a credere che il nostro Dio si diverta. Qualcuno cita vecchi proverbi che sembrano suggerire l’idea – pericolosissima – di un castigo… ma allora dovremmo star qui a cercare il colpevole di un siffatto male. Certo è che, in casi simili, il cielo e la terra stanno l’uno di fronte all’altro, come se si interrogassero a vicenda: chi ha fatto male a chi?
La chiamano «antropocene» quest’era in cui ci troviamo: l’essere umano è l’autore dei bruschi cambiamenti climatici e non solo la vittima. E quindi se da una parte abbiamo (forse) capito che non è certo il nostro Dio a volere queste cose (in questo caso basterebbe solo non credere in Dio perché tutto vada meglio?!) non è affatto consolante pensare che alla base di questi disastri ambientali ci siamo proprio noi umani.
Davanti ad eventi naturali terrificanti l’uomo ha sempre trovato una qualche divinità da battezzare con un nome proprio. Ieri quindi sarebbe stata la congiura di Zeus, Eolo, Adad, Teshub.. e quanti altri ancora? Ogni lingua e ogni popolo ha sempre avuto i suoi nomi per indicare la causa delle disgrazie o invitare ad una «fede» che servirebbe solo ad imbonire questi dèi gelosi?
«Riconoscete che il Signore è il solo Dio: egli ci ha fatti, a Lui apparteniamo». Cantavamo così stamattina all’inizio della celebrazione nel piccolissimo santuario in campagna dove ci siamo riuniti per ringraziare. E cantavamo, stamattina, con una consapevolezza differente. Sopra le tempeste, più alto di questo disastro che ci ha sommersi, è bello pensare che ci sia Lui, che ci ha custoditi come la pupilla dell’occhio. Travi ovunque e nessuna pagliuzza che abbia potuto ferirci. E, solo a mente fredda, realizziamo quanto siamo stati custoditi dalla tristezza di avere feriti o vittime. Cadano pure gli angeli, ma la mia gente è sana e salva. Qualcuno dentro avrà certamente i segni della paura e del trauma. Quella parola di Gesù – «Non abbiate paura» – è già una direzione verso cui camminare. Dopo la tempesta.
Se per un istante, nel mezzo della tempesta, ci fosse nata in cuore un’invocazione, una preghiera appena balbettata e nemmeno pronunciata, siatene certi: è lo Spirito santo – come dice il Vangelo di oggi – che parla in voi e vi ha suggerito cosa dire. E se ancor più vi fossero venute alla mente pagine e scene di Vangelo (la tempesta sedata, la parabola della casa costruita sulla roccia…) ancor più quella è, per ciascuno, testimonianza che lo Spirito santo ci è dato per ricordarci le parole del Vangelo. È così che il Signore risorto ci raggiunge, come un fantasma mescolato alle nostre paure e agli assalti violenti della natura.
Sono entrato anche in chiesa dopo l’accaduto. Uno specchio d’acqua al suolo, a semplice conferma che la tempesta era finalmente sedata. In mezzo alla chiesa l’esilissimo leggio di legno – che si potrebbe chiudere facilmente come un soffietto – ha retto la violenza. Su quel leggio, da cui è proclamata la Parola di Dio, il Libro è rimasto aperto. Sarà un segno? Per chi li cerca e li vuole vedere, probabilmente sì. Cadono anche gli angeli, tutto passa, ma la Parola di Dio rimane. Rimane in mezzo alle tempeste della vita. Rimane come una roccia su cui (ri)costruire, rimane come un faro quando si è in viaggio in mezzo alla tempesta.
O Dio, che sempre ascolti con bontà
la voce dei tuoi fedeli che sono nella tribolazione
ti rendiamo grazie per i tuoi benefici
e ti supplichiamo umilmente
perché, liberi da tutti i mali,
possiamo sempre servirti nella gioia.
Per Cristo, nostro Signore.
Dal Vangelo secondo Matteo (10,16-23)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.
Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo».
Ma come faccio a dire che sei Tu che salvi,
sei Tu che strappi la mia vita alle tenebre del non senso,
sei Tu che mi sottrai al gorgo della cattiveria e della paura,
sei Tu che mi riporti alla luce e alla speranza?
La mia vista non è perfetta, è vero, e potrei sbagliarmi.
Ma non è stata la tua Parola a risollevarmi nel tempo
dell’angoscia e dell’abbattimento,
della stanchezza e della disillusione?
Non è stata la tua Parola a tracciare davanti a me
un sentiero di luce anche nel mezzo dell’oscurità
di una situazione difficile?
E questa Parola non si è forse avverata
ogni volta che ho rinunciato a seguire il mio egoismo,
le mie voglie e i miei istinti
e mi sono abbandonato fiducioso
alla sua saggezza, alla sua forza?
No, non posso sbagliarmi:
Tu salvi, Signore, Tu continui a salvarmi,
anche se lo fai senza attaccare in ogni cosa la tua etichetta,
senza rivendicare ogni tuo merito.
Amen.
(salmo 66, trascrizione di S. Carrarini)
“Tu sorridi sempre, qualche persona anziana ti guardera’. Pensando di conoscerti di riflesso ti sorridera’ e per un attimo dimenticherà il suo dolore”.
Da ” Memorie di una bibliotecaria ospedaliera”.
È quello che abbiamo fatto questa mattina. Raggiungere il nostro santuario che dista dal paese un chilometro in aperta campagna, a ringraziare la nostra Madonna delle Quaglie. Noi luranesi siamo molto legati a questo piccolo luogo mariano e siamo convinti che come alle nozze di Cana, Maria madre di Gesù con occhio vigile, interviene sempre in nostro soccorso. Devastante distruzione, ma la vita dei suoi devoti è stata salvaguardata.
Grazie di cuore a Stefania e Gianna e a quanti come loro, pregano e ci sono vicini.
Sono enormemente dispiaciuta per quanto accaduto. Bergamo e dintorni negli ultimi mesi è stata devastata in tutti i sensi, e si, ci si fanno delle domande. Chi non crede e non si ricorda mai di Dio, nelle tragedie si ricorda di Lui accusandolo di non essersi fatto sentire. Da credenti, viene tanta rabbia perché siamo noi la nostra distruzione, e preghiamo, chiedendo al Signore di darci la forza necessaria per superare le avversità, anche se è difficile superare certe avversità. Immagino la vostra angoscia, perché anch’io mi sono trovata in mezzo ad un’alluvione. Il primo luglio di tre anni fa, per festeggiare il mio compleanno, sono andata a Moena nell’albergo di amici e il giorno dopo siamo stati sorpresi da un violento nubifragio. Entrava acqua e fango ovunque nell’hotel, che era stato inaugurato solo due mesi prima, i pavimenti si sollevarono, le strade erano piene di ogni detrito e auto che andavano dove la furia le portava. Il panico è stato grande, e perciò comprendo, vi sono vicina col cuore, con la mente e con la preghiera.
L’antropocene, un piccolo paese, due luoghi di culto inagibili, fare ritorno alla campagna, come grembo, dove alzare verso il cielo parole di ringraziamento.
Da Francesco a Francesco un unico laudato sì per una casa comune.
Un abbraccio a tutti i luranesi!