Saremo pieni di gelosia o di Spirito santo?
IV domenica di Pasqua (C)
(At 13,14.43-52 / Sal 99 / Ap 7,9.14-17 / Gv 10,27-30)
Gott, lass meine Gedanken sich sammeln zu dir
Bei dir ist das Licht, du vergisst mich nicht
Bei dir ist die Hilfe, bei dir ist die Geduld
Ich verstehe deine Wege nicht
Aber du weißt jetzt den Weg für mich
Dio lascia che i miei pensieri si concentrino su di Te
Con te è la luce, Tu non mi dimentichi
Con te è aiuto, con te è pazienza
Non capisco i tuoi modi
ma Tu ora conosci la strada per me.
Una cosa è certa: ci muoviamo sempre tra visioni più o meno limpide, sogni e desideri… tutti riflessi di quelle sorgenti d’acqua nelle quali ci specchiamo al fondo del nostro cuore. Altra cosa, ugualmente vera, è che ci muoviamo tra problematiche e questioni antiche e nuove al contempo. È un’orizzonte che, nel tempo di Pasqua si delinea tra la prima lettura – dagli Atti degli Apostoli firmato da Luca, autore dell’omonimo Vangelo – e la seconda lettura – dal libro dell’Apocalisse di Giovanni apostolo ai cui è attribuito anche il quarto Vangelo.
Fa sempre un certo effetto – non possiamo negarlo – leggere dagli Atti degli Apostoli i problemi delle prime comunità, dei primi testimoni del Vangelo. Fa effetto perché ad ascoltare bene sono i nostri stessi, medesimi problemi di oggi. Non è cambiato dunque nulla? Non credo sia questione di dire se qualcosa è cambiato oppure no, ma di vigilare a che non succeda ciò che altrove e in altri tempi è già accaduto semmai dovesse ricomparire ai nostri occhi o alle nostre orecchie un problema identico o simile.
Pasqua era già sinonimo di transumanze, di recinti che si aprono per condurre le pecore al pascolo. Pasqua è pure diventata questione di una tomba aperta e di un Cenacolo spalancato, invito ad uscire da spazi angusti, bui e chiusi. L’immagine del pastore e delle pecore del brano evangelico di oggi possiamo collocarla esattamente qui, ad illustrare la Pasqua.
Quel bambino nella mangiatoia nato a Betlemme vide attorno a sé anzitutto pastori e pecore. Non c’è molta poesia in tutto questo per quanto a noi oggi possa sorprendere il vedere un gregge di pecore e agnelli tra le nostre città o per le nostre strade. I pastori non godevano di buona reputazione, al limite del contatto con l’impurità, esonerati perfino dalle pratiche del culto. Gli agnelli, quelli che andavano sacrificati a Dio, immolati per ogni Pasqua, venivano per tempo separati e resi puri, perfetti, idonei a quel sacrificio.
Non dimenticheremo nemmeno che Colui che oggi seguiamo e che chiamiamo nostro pastore – Gesù – è anzitutto l’Agnello immolato per quella Pasqua che sarà la nostra. È già curiosa di per sé questa trasformazione: un Agnello che diventa pastore. Così come incredibile doveva apparire la vicenda del pescatore di Galilea che diventerà colui che dovrà pascere gli agnelli e le pecore del Signore. Gesù si identifica all’Agnello immolato per la Pasqua ma si differenzia dagli agnelli di tutti i sacrifici, perché non verrà separato ma accomunato alla sorte dei peggiori e non è un caso che – in via – Egli stesso starà con i peccatori e con i pubblicani. Immedesimato nell’immagine dell’Agnello ma solidale con tutti gli uomini, con tutti i peccatori tanto da volersi riscattare, tanto da volerli liberare dal Male, dal Peccato, dall’esclusione e dalla Morte.
Ecco perché il Risorto mandò i suoi ai confini del mondo, per annunciare questa buona notizia: c’è ancora vita dopo ogni morte, dopo un fallimento, dopo una sofferenza, una prova, una fatica che sembrava insormontabile. E quando si tratta di prove, di sofferenze non ci sono distinzioni o appartenenze: siamo tutti parte dello stesso gregge. Il pastore conosce i desideri del gregge, di ogni pecora e degli agnelli più piccoli: cercano erbe fresche, acque chiare e limpide. È dentro di noi questo anelito, è da dentro che proviene questa ricerca. E Lui, il Pastore buono, non farà altro che spingerci fuori per andare a cercare ciò che è Vita. Non si salvano pecore lasciandole sempre nel recinto. Occorre spingere fuori a cercare nuovi pascoli. Già troppo sono rimaste nel recinto, durante il lungo inverno. Non si può pensare che la gioia di un gregge sia rinchiusa nello stare al sicuro in un recinto.
La prima predicazione di Pietro e Barnaba – e torno alla prima lettura – suonava come un’invito accorato ad aprirsi, ad andare oltre il recinto, fuori dalla sinagoga. Il rischio c’è – oggi come allora – di sentirsi maggiormente al sicuro tra persone della stessa lingua, della stessa cultura e della stessa religione. Ma la parola del Risorto risuonava più forte in Paolo e Barnaba: andate in tutto il mondo… e decisero di rivolgersi anche ai pagani… ai non praticanti diremmo forse oggi…
La sensazione a volte è netta e chiara: preferiamo considerarci in calo numerico o in via d’estinzione piuttosto che rallegrarci di qualche fratello o sorella in più nelle nostre comunità: Il sabato seguente – leggo nella prima lettura – quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo…
Sì, ogni volta che preferiamo i recinti chiusi noi – ipso facto – stiamo rifiutando la Parola di Dio. Ogni volta che ci rinchiudiamo tra le nostre quattro mura – fossero anche di una sinagoga, di un tempio o di una chiesa – noi stiamo come entrando in una tomba che ci porterà alla morte. Se la Comunità non si percepisce e non riesce a sognarsi come un luogo aperto, caldo e accogliente (cosa vorrebbe dire dunque cattolico?) come faremo a condividere le visioni di Giovanni nell’Apocalisse? E se stiamo sempre a lamentare che siamo in pochi che senso avrebbero le parole del Pastore: Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno (Lc 12,32).
Colpiscono le parole dagli Atti degli Apostoli: i giudei – per l’apertura e l’annuncio del Vangelo fatto anche ai pagani – furono ricolmi di gelosia… sono parole che balzano all’orecchio abituato già da tempo a sentirne di diverse e di migliori… furono pieni di Spirito santo. Staremo dunque a riempirci di gelosia perché il Vangelo continua la sua corsa e le porte delle chiese si aprono anche per altri che, in fondo, hanno la nostra medesima sete di Vita, di Pace e di Gioia? O saremo anche noi pieni di Spirito santo così da ricordarci di tutte le parole dette da Gesù e così da essere una Chiesa dal grembo accogliente?
Anche oggi – pieni di Spirito santo – potremmo sottoscrivere le parole di Giovanni dall’Apocalisse: Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. Chi sono? Chi sono tutte queste persone che stamattina in ogni chiesa del mondo stavano davanti all’altare, ai piedi del trono dell’Agnello divenuto pastore? Non sono solo gli abitanti di questo o di quel paese. È ancora troppo poco distinguerci come semplici abitanti. Sono fratelli e sorelle di questo umano cammino, fatto di grandi tribolazioni e di grandi prove. Siamo fratelli e sorelle gli uni per gli altri anzitutto per questa comunanza di vita….
Insieme abbiamo ascoltato ciò che insieme – dopo questo tempo di guerra… altra prova! – desideriamo sperare, come pecore che cercano prati verdeggianti e acque fresche:
Non avranno più fame né avranno più sete,
non li colpirà il sole né arsura alcuna,
perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,
sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.
Pieni di Spirito santo, possiamo dunque ascoltare e custodire nel cuore le parole del Vangelo di oggi…
Dal Vangelo secondo Giovanni (10,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
O Dio, fonte della gioia e della pace,
che hai affidato al potere regale del tuo Figlio
le sorti degli uomini e dei popoli,
sostienici con la forza del tuo Spirito,
perché non ci separiamo mai dal nostro pastore
che ci guida alle sorgenti della vita.
Buongiorno Don Stefano! Innanzitutto grazie per la bellissima canzone scelta…Ora che mi sto riavvicinando allo studio del tedesco mi è stata anche ottimo esercizio! Grazie anche per la preziosa riflessione. In fin dei conti l’uomo è davvero un po’ sempre quello. Ora come allora, il recinto di norme e regole (che in buona parte ci siamo costruiti nei secoli) ci rassicura e ci risulta più confortevole di quanto dovrebbe… Ma -forse sbaglierò!- a leggere i Vangeli a me è sempre parso che Gesù fosse piuttosto per l’apertura, in certo senso “il progresso”… Sempre seguendo, beninteso, il principio cardine di amare Dio sopra a tutto e, sul modello di quell’amore (piú volte dimostrato come vicendevole), i fratelli come noi stessi. Fortunatamente non è così “in assoluto”, ma vale la pena pregare, sí, ma anche agire (ciascuno nella sua pratica di vita) per spingere di volta in volta all’apertura. Senza aspettare “un indicazione dall’alto” (o dal prete… O dall’autorità…) ma provando a fidarsi della spinta data da Dio.
Una domanda mi aiuta alle volte a discernere, per cercare meglio di capire cosa mi anima…”dov’è il mio cuore?”. Ognuno può provare a dare la sua risposta, più con la vita che con le parole ma quando la risposta si fa comune, diventa Comunione vera, che supera ogni confine, i propri o altrui limiti. Perché “dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,19-23). Ed è così che mentre si cerca ci si sente cercati, mentre si segue ci si vede preceduti e mentre si domanda molte delle risposte erano e sono già in noi.
Che il Signore aiuti tutti e ciascuno nel proprio cammino…e quando come in un pellegrinaggio, anche nella vita, si cammina con davanti, dietro o a fianco qualcuno ed Uno su tutti, si ha la consapevolezza di non essere soli mai, anche quando un po’ di sana solitudine aiuta a mettere ordine nella propria vita. Un po’ come fanno i bambini…si fermano o fanno qualche passo indietro, come se avessero una regressione, per fare poi un balzo in avanti, progredire nel percorso di crescita, nel cammino della vita.
Abbiamo visto tutti come è stata la vita di Adamo, dopo che maturò quella forte gelosia nei confronti del Padre Eterno di fronte a tutto ciò che Lui aveva creato…la gelosia si vince in un solo ed unico modo: con l’amore. Amare, non solo desiderare di essere amati. Sono necessarie x questo la preghiera costante e il costante lavoro su noi stessi