Bagagli umani…

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Data :31 Luglio 2022

XVIII domenica del Tempo Ordinario (C)

(Qo 1,2;2,21-23 / Sal 89 / Col 3,1-5.9-11 / Lc 12,13-21)

Nessuna apparenza umana
allontani il nostro sguardo da Te.
Nessuna parola menzognera
tolga dai nostri orecchi
la tua parola di verità.
Nessuna falsa promessa
allontani i nostri passi
dalla tua strada, esigente ma sicura.
Donaci lo Spirito Santo,
per saper cambiare ciò che va cambiato
e accogliere ciò che non è possibile cambiare.
Ma soprattutto, Signore,
donaci la saggezza per riconoscerne la differenza.
Amen.

Dal Vangelo secondo Luca (12,13-21)

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Dopo esplicita richiesta dei suoi discepoli, anche Gesù insegno a pregare. Un Maestro sui generis doveva essere Gesù che non aveva premura di insegnare ciò che normalmente un rabbi insegnava. Egli lascia piuttosto che certe richieste e certe domande scaturiscano dal cuore stesso dei suoi. Intanto dal suo cuore nascevano parabole. 
Pregare – come altre volte s’è detto – è dichiarare la propria precarietà e riconoscere il proprio legame con gli altri. La nostra vita dipende dalla qualità delle sue relazione, dai suoi legami e non certo dal possesso delle cose alle quali tuttavia diamo un certo valore per finire poi d’attaccarci il cuore. 

L’ascolto della Parola di Dio si apre oggi con le parole del libro del Qoelet. Si canta la precarietà di ogni cosa, si giunge a riconoscere la vanità di ogni cosa. Un pensiero che potremmo dire privo di alcuna speranza. Eppure è un pensiero contenuto nel bagaglio delle umane esperienze e nella biblioteca della fede. Prendere atto dell’inconsistenza di molte cose delle quali ci siamo fidati non è affatto un pensiero contrario alla fede e al credere. Eppure nell’arco dell’esistenza l’uomo a più riprese deve prima fare i conti proprio con questa vanità, con questo soffio che sembra togliere peso e spessore ad ogni cosa. Quante volte diciamo: «A cosa serve, se poi… ? Tanta fatica e poi guarda…»

Non possiamo che far nostre le parole sapienti di Qoelet: vanità delle vanità, tutto è vanità. È dunque piuttosto decisivo fare i conti con la vanità di ogni cosa. Non è – lo ripeto – un pensiero che contrasta con l’aver fede. Anzi, potrebbe perfino esserne la scaturigine. Ed ecco dunque la parabola che Gesù racconta a partire da questa esperienza del limite umano che è la morte che non è la fine di tutto ma che ribalta, in un certo senso, intenzioni e sorti. La parabola è suggerita da un contenzioso tra due fratelli che per questioni di eredità rischiano di perdere il bene maggiore della relazione che li lega. A cosa dunque è servita la fatica di chi, alla sua morte, voleva lasciare una certa sicurezza a chi sarebbe rimasto? Se poi tutto si risolve in contesa, ecco subito vanificato il lavoro di quel padre che voleva assicurare un futuro ai figli. La risposta di Gesù pare lì per lì un non voler nemmeno entrare in materia. Tuttavia con il racconto della parabola che sta al cuore del Vangelo di oggi, Gesù uscirà dallo specifico caso in questione, per mettere in allerta ogni suo ascoltatore che per casi analoghi o simili potrebbe ritrovarsi nella stessa situazione. 

«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Quanto è vero che siamo soliti far dipendere la nostra sicurezza da ciò che possediamo. Cupidigia: chi è mai costei? Direi invece che si tratta proprio di un meccanismo compulsivo che sta alla base di ogni marketing e del nostro vivere che si dice tanto evoluto da non aver compreso che mettere l’uomo davanti alla paura, all’incertezza, ad una certa incapacità o anche solo davanti al concetto di praticità… e condizione essenziale per fare un affare! Il futuro – semmai qualcuno ci pensasse ancora – sta piuttosto racchiuse in polizze assicurative, in bonus, agevolazioni e sgravi fiscali che ci stanno semplicemente contrapponendo gli uni gli altri, guardandoci spesso di cattivo occhio per ciò che alcuni ricevono e possiedono senza nemmeno far la fatica di altri. Intanto la morte prosegue silenziosa il suo serpeggiante e dilagante lavoro distruttivo e divisivo. 

Ora – suggerisce piuttosto San Paolo nella seconda lettura – noi siamo coloro che sono nati dalla resurrezione di Cristo. Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. (Col 3, 1). Chi quest’oggi parteciperà all’Eucarestia starà ancora una volta davanti alla lezione che Cristo ha fatto silenziosamente la sera prima di morire: da quel Cenacolo Egli ha desiderato lasciarci un esempio perché come ha fatto Lui così facessimo anche noi. Quel pane e quel vino nelle sue mani come nelle nostre non sono solo il frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Da quella sera, vigilia della sua passione, quel pane e quel vino divennero il segno di una comunione: la comunione dei beni. Se siamo abitati dal desiderio di condivisione e di comunione stiamo contrastando alla cupidigia che uccide l’umano e stiamo dando vita al Cristo risorto che già è tutto in tutti. E ancora tornano alla mente le parole del padre di una delle più celebri parabole: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Dove c’è comunione di beni lì c’è ritrovamento e resurrezione, vita nuova piuttosto che vanità e contesa. Dalla lettera di San Giacomo possiamo pure attingere alcune parole che ci possono ancora aiutare per comprendere la Parola di Dio odierna e i fatti storici anche di quest’epoca: Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni. (Gc 4,1-3)

Tu, dall’eternità 
qui, oggi,
conosci la morsa del tempo.
Tu, dalla onnipresenza
qui, schiavo,
ristretto nei nostri angusti spazi.
Tu, creativo Amore,
qui, solo,
ad attendere un affettuoso sguardo.
Tu, sconfinata ricchezza,
qui, povero,
ad implorare e mendicare.
Tu, qui, oggi,
con noi, come noi.
Grazie.

Quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? (Qo 2,22)

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