Tra gemiti e grida, la Parola porta frutto
XV domenica del Tempo Ordinario (A)
(Is 55,10-11 / Sal 64 / Rm 8,18-23 / Mt 13,1-23)
Per Cristo nostro Signore
tu, o Dio,
crei e santifichi sempre,
fai vivere, benedici
e doni al mondo ogni bene.
(dalla preghiera eucaristica I)
Immagina d’essere una parola ormai pronunciata. Non più un pensiero. Non più un’idea. Non un desiderio. Materia ormai. Forma. Terra… soltanto? Che ne sarà di te, dunque? Chi ti ha pronunciato non può che dire bene, bene-dire. E così siamo, ciascuno nel suo essere, una parola buona che ha preso forma umana. C’è qualcosa in tutto questo che mi rimanda direttamente a Dio, a quel Dio che della vita custodisce il segreto, ne conosce l’essenza. La vita poi chiede alla parola che siamo di farci dialoganti, di unirci ad altre parole per formare un pensiero, un discorso, una storia, per farci testimoni di un messaggio, portatori di un Vangelo.
Ci sono alcuni princìpi basilari del nostre credere che hanno consonanze con questo pensiero appena abbozzato. Credo in un Dio che parla. Che dice parole buone. Parole che fanno esistere e che plasmano la vita come fosse argilla modellata tra le mani di un abile vasaio che mai si stanca di modellarla. Credo in un Dio che dialoga: come un Padre che sussurra al Figlio le parole che lo motiveranno ad entrare nel mondo, che daranno una direzione, un senso, un fine ultimo, una ragione per vivere…. e per morire.
La Parola di Dio, quel Figlio il cui nome è stato donato imperativamente da un divino messaggero (un angelo) entra nel mondo come una parola pronunciata, consegnata una volta per tutte a chi lo vorrà ascoltare. Il Padre introdusse il suo Figlio nel mondo, presentandolo come il Figlio amato. Da ascoltare! A questo serviva il primo dei comandamenti di altri tempi o di tutti i tempi: Ascolta!
Una parola pronunciata, detta è esposta dunque al sentire comune, alla comprensione altrui. È dunque una parola a rischio di fraintendimento o a rischio di essere rinnegata, zittita… uccisa. Ma Colui che per primo ha pronunciato la Parola ne conosce la forza, ne conosce l’efficacia e vive l’attesa della crescita, del compimento, del ritorno…
In tempi di esilio, quando agli esiliati si toglie la parole e la speranza di un futuro, il profeta Isaia osa alzare la voce e in luoghi di arsura, di deserto e di siccità, dove realmente piove pochi giorni l’anno, osa paragonare la Parola di Dio alla pioggia e alla neve. E sufficiente richiamare alla memoria lo spettacolare rigoglio che segue alle piogge in luoghi aridi per considerare nuovamente la forza di questa Parola che ha sempre promesso liberazione da oppressioni e schiavitù. Una Parola che resta innegabilmente legata al mistero della vita che non ha fine anche quando tutto sembra perduto, finito o morto.
Così dice il Signore:
«Come la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».
All’inizio delle Scritture stanno i racconti della creazione, racconti di padri, di madri e di figli. Stanno all’inizio non come punto temporale ma come racconti fondanti, come chiavi di lettura, quasi un indice tematico. In principio dunque Dio disse… ma ciò non significa che abbia smesso di parlare. In principio disse e ancora dice. In principio crea, dona vita e questa opera continua. Siamo allora sempre in questo caos primordiale di informità e di deserto, finché la parola non chiama ad esistere, a venire alla luce e a portare frutto. C’è una rilettura di questa storia di salvezza che possiamo comunque fare anche in tempi duri, difficili.
Guardando ad esempio nel corso di quest’anno alcuni servizi di informazione dai territori di guerra, mi ha sempre impressionato vedere come la natura, la terra è rimasta fedele alla sua vocazione. Mentre gli uomini continuano a devastare e uccidere, la madre terra (per dirla con San Francesco) non smette di dare vita e di benedirci con frutti, fiori ed erba. Dopo l’inverno. Un messaggio più eloquente di quanto si possa immaginare.
È proprio come dirà il Vangelo: abbiamo occhi e non vediamo, abbiamo orecchi e non vogliamo comprendere. Ma questo è il mistero che si compie quando la Parola di Dio entra nel mondo, quando si mescola alle nostre parole. Si deve compiere anche il mistero della nostra umana incomprensione, della nostra resistenza a capire. Ma la Parola che il Padre ha inviato, risuonerà come invito a convertirci, a credere al Vangelo, alla potenza di una buona parola contro tutte le parole nefaste e nocive con cui ci avveleniamo i giorni.
La creazione dice Paolo nella seconda lettura, geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Ma di parto si tratta. Immagine vitale, similitudine positiva. Annuncio che c’è più vita davanti a noi che nel tempo passato a schivare la morte, a soffrire la caducità delle creature. L’Eden è un paradiso perduto se lo pensiamo solo alle nostre spalle, in un tempo che non sarà mai nostro. Dio pronuncia la sua Parola e la fa entrare nel mondo, tra i nostri gemiti, i nostri desideri di vita e le nostre grida di sofferenza, di ingiustizia. Non c’è altro luogo perché la Parola esista se non tra gli uomini. È per via della Parola che siamo simili a Dio ed è per questo che Dio stesso non poteva non farsi uomo: per dialogare con l’uomo. La terra non è che il luogo dove la Parola è seminata. L’uomo è fatto di questa terra non per nulla. Siamo il luogo dove la Parola può portare frutto.
Dal Vangelo secondo Matteo
(13,1-23)
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Tu visiti la terra e la disseti,
la ricolmi di ricchezze.
Il fiume di Dio è gonfio di acque;
tu prepari il frumento per gli uomini.
Così prepari la terra:
ne irrìghi i solchi, ne spiani le zolle,
la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli.
Coroni l’anno con i tuoi benefici,
i tuoi solchi stillano abbondanza.
Stillano i pascoli del deserto
e le colline si cingono di esultanza.
I prati si coprono di greggi,
le valli si ammantano di messi:
gridano e cantano di gioia!
Il seminatore getta il seme in grande quantità senza criteri di esperto contadino… ma anche il frutto buono è sproporzionato: come fa una spiga ad avere cento chicchi o sessanta o trenta? È la logica di Dio che dona la sua Parola (Gesù) in modo totale per tutti; è la logica dell’Amore fino alla fine.
Attualmente, a volte mi capita di fare una considerazione riguardo il mio rapporto con la Parola.
Durante l’ascolto delle letture e del Vangelo nelle Celebrazioni Eucaristiche, mi trovo a ripetere a memoria pezzi di brani che sto sentendo e mi rendo conto che la Parola acquista un altro sapore, mi trasmette più consapevolezza sul suo significato.
Forse il passare del tempo mi regala un po’ di saggezza o forse sono più propensa a riflettere su di essa adesso che in passato.
Una cosa però ho notato, almeno per me.
Non importa se la ripeto a memoria, ma ogni volta mi dice qualcosa di nuovo, ogni volta è una sorpresa.
Grazie Padre per il dono della Parola, per noi guida sicura.
La riflessione di oggi è sapientemente intessuta con delle letture che paiono davvero piú calzanti che mai, forse anche perché chi ne ha scritto è stato capace di valorizzarne la trama che stentiamo a cogliere con lo sguardo (figurarsi il pensiero!). E acquista anche più rilievo -almeno per me- il pensiero ai servizi dai territori di guerra, perché la riporta prepotentemente all’oggi, al qui e ora, nel bel mezzo di situazioni da cui tendiamo a scappare sia fisicamente, per umanissimo spirito di sopravvivenza, che mentalmente, perché 3 faticoso persino da pensare… Eppure la guerra c’è ancora, qui sulla terra, e piú d’una e nelle forme più diverse, che noi esseri umani siamo e restiamo “creature creative” anche a partire dal peggiore dei materiali. Eppure la terra è così ricca di bellezza, così ricca di possibilità e ce lo mostra soprattutto, e con magistrale opera, attraverso la natura (piante in primis!). Perché allora non trarre spunto da QUEL rigoglio indefesso? Imitarne la resistenza, di fronte ad ogni violenza, e la quiete e la pazienza e caparbietà, a dispetto della nostra fretta di fare e di arrivare che “prima è meglio è” sempre. Potremmo aprendere qualcosa forse persino dal “dialogo” di cui sono capaci, a partire dalle basi (le radici) che noi tanto in fretta dimentichiamo. Ci sarebbe utile, ma utile davvero!, lasciarci insegnare, fermandoci ad acoltare e facendoci interpellare dalla natura che abbiamo intorno a noi. Anche da quella che si fa strada tra le fessure del cemento o dell’asfalto, perché no?, che a noi ne ha di cose da dire.
in questi giorni in Italia si parla tanto dei risultati dei test Invalsi nelle nostre scuole, della fatica sempre maggiore di bambini e ragazzi a comprendere un testo letto o ascoltato.
Che contrasto con il Vangelo di oggi, che ci parla di Parola donata a profusione e di folle che si radunano ad ascoltare Gesù (li immagino in totale silenzio per non perdere nessuna parola in un’epoca i cui non esistevano microfoni).
Si da colpa al Covid, ed è certamente vero. Ma credo che i ragazzi siano anche specchio ed imitazione di noi adulti, che non siamo un grande esempio di voglia di approfondimento.
Passa anche da questo analfabetismo all’ascolto la nostra difficoltà a vivere la fede?