P’tit à p’tit
Giovedì della XVI settimana del tempo ordinario (anno dispari)
(Es 19,1-2.9-11.16-20 / Dan 3 / Mt 13,10-17)
Sembravano abituati alle grandi manifestazioni. Quelle divine, intendo. Tutte le altre, comprese quelle attuali di incendi boschivi o di uragani ovunque… tutto questo ci coglie ancora terribilmente impreparati. Impossibilitati a prevederne tanta violenza. Diciamo piuttosto che l’essere umano – dalla notte dei tempi – ha preferibilmente attribuito a forze maggiori eventi che lo superano.
Una densa nube, il fragore di un tuono o una montagna fumante: potremmo dire erano specchietti per le allodole, un modo dirompente per catturare l’attenzione, per distrarre dal quotidiano e chiamare ad una maggiore comprensione, una maggior attenzione a quanto succede intorno: sul far del mattino, – si legge oggi nel libro dell’Esodo – vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore.
Ma certo il Dio della Prima Alleanza (o dell’Antico Testamento come diciamo più facilmente) non è un altro rispetto a Colui che si rivelerà nella vita umanissima di Gesù di Nazareth, anche se, dobbiamo riconoscerlo certe cose sono cambiate. Certe appunto! Ciò che non cambia, ciò che non muta in Dio è questo suo intimo e profondissimo desiderio di discendere, di abbassarsi a livello dell’uomo.
Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce.
Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte.
Mosè aveva già preso dimestichezza col fuoco. Sembrava quasi giocarci: attirato e incuriosito da un roveto che arde e non si consuma, non teme neppure di salire su un monte infuocato, mentre per gli altri è solo simbolo di pericolo. Qualcosa da cui stare in guardia. Per quanto sensazionale possa essere ogni descrizione di avvenimenti atmosferici nella Bibbia, va detto che l Buona Notizia, la Rivelazione è già contenuta piuttosto in questo intenso dialogo tra Mosé e Dio. Dio ascolta. Dio scende. Dio chiama. Dio parla. Se di Dio abbiamo solo un’idea folgorante o terrificante, forse significa che di Lui ancora poco abbiamo conosciuto. Ciò che per Mosé è già segno di intimità, di profondo dialogo e conoscenza è per il popolo ancora qualcosa di cui avere paura. Così il popolo ode ma non comprende. Vede ma ancora è accecato da questa nozione del divino.
C’è un cammino educativo, un percorso che ci fa passare da ciò che è sfolgorante e sorprendente a ciò che può passare persino inosservato e impercettibile. È il cammino di conversione dal credere in un dio che impressionerebbe l’uomo lasciandolo senza parole e senza forze, ad un Dio che non ha che mettersi in dialogo con l’uomo. A volte ascoltando, a volte chiedendo d’essere ascoltato.
Ad un certo punto del racconto biblico e della storia umana a dire il vero, i misteri del regno dei cieli si faranno piccoli, piccolissimi. Sempre più piccoli. La misura di un granello di senape. La misura di un po’ di lievito in una quantità più grande di farina, il sapore di un pizzico di sale per ogni pietanza. È Lui, il Figlio dell’uomo, questo poco, questo piccolo che fa grande la Vita. Passo passo, poco a poco, p’tit à p’tit... avremo occhi per vederlo e orecchi per udirlo?
Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!
Abbandonato ogni effetto speciale – se così possiamo dire – Dio si cela nelle piccole cose, nella fragilità dell’umano, nel silenzio o in una sola parola che può salvare. È il suo modo di procedere, la sua cura, la sua medicina.
Padre della prima parola
sorta nel silenzio delle origini
dove l’uomo ha avuto inizio,
ascolta salire verso di Te,
come un’eco,
le nostre voci
mescolate al canto che intona
il tuo Figlio amato.
Padre del primo giorno
sorto nelle prime terre
al soffio dello Spirito,
ecco davanti ai tuoi occhi,
come una risposta,
il fuoco che scalda il cuore
dei fratelli di Gesù Cristo.
Padre del primo frutto
nutrito con la prima linfa,
in un mondo dove già hai seminato,
raccogli il sangue
di ogni chicco maturo
e vieni a riempire le mani
di coloro che cercano
il tuo primogenito.
È tanto più potente questa riflessione quanto più calzante rispetto alla quotidianità, anche quella distante dalle grandi calamità, eppure parimenti incapace di scorgere il Padre che si fa incontro. Ho vissuto oggi, ad esempio, come anche nel mio piccolo, ed oggettivamente privilegiato, quotidiano sia estremamente facile inciampare in quella che azzardo a definire “distrazione del peccato”. Un passo falso infinitesimo, poco più di un sassetto… Ma tanto basta a inzaccherare tutto al punto da perdere quasi la via e faticare a trovare i segni dell’amore, l’impronta più netta di Dio, intorno a me, che pure un segno bello grosso e pure in crescita ce l’ho costantemente sotto mano nella forma di una splendida figlia, tanto voluta e cercata, che è autentico motore immobile “che muove il ciel e l’altre stelle”. Basta poco a perdersi, e basta altrettanto poco (ad esserci ben allenati e non perdere il tono) a ritrovare i segni dell’opera d’amore di Dio intorno a noi: negli occhi di una mamma, nelle corse di bambini che giocano insieme nelle piazze o su un balcone, nella gentilezza di un estraneo con cui scambiare un sorriso di incoraggiamento e ringraziamento, nelle nuovole che corrono in cielo e negli uccellini che si rincorrono tra le fronde. Ce ne sono di segni, a bizeffe, per aiutarci ed incoraggiarci, sono piccoli, fin più piccoli delle dita di una bimba di sette mesi, ma più potenti di qualsivoglia esplosione, a prestarci attenzione.
Mentre leggevo la riflessione di oggi mi sono ricordata di un passo del profeta Elia.
Elia aspettava di incontrare e sentire il Signore.
Crede che possa essere in un forte tuono, in un forte terremoto, in un forte vento, ma rimane deluso.
Poi arriva una brezza leggera e silenziosa…
Proprio perché una cosa è leggera e silenziosa facciamo fatica ad accorgerci, ad ascoltare, a prestare attenzione.
Lo sapeva bene Gesù, che è passato in mezzo ai suoi con passi leggeri, con gesti tesi a cancellare dolori e lenire ferite, con la Parola diffusa come carezzevole brezza…
La prossima volta che mi sentirò accarezzata da un vento leggero mi metterò in ascolto e, con fiducia, aspetterò…
Ciò che è scritto in questa riflessione sembra la risposta a ciò che certi avvenimenti atmosferici di questi giorni provocano nel cuore: sconcerto e paura.
Vieni Tu, Signore, perché crescendo nell’intimità con Te il nostro cuore si apra alla fiducia e crediamo che il nostro futuro è in Te.
Tutta la Parola di Dio di oggi ci fa vedere un Dio vicino… Beati i vostri occhi perché vedono… Aiutaci, Spirito santo, a scorgere vicino a noi ogni piccolo segno dell’Amore di Dio.
Grazie don Stefano per il tuo aiuto a scorgere un Dio vicino.