Legami d’amore, sciogli le paure.
santi Pietro e Paolo
(At 12,1-11 / Sal 33 / 2Tm 4,6-8.17-18 / Mt 16,13-19)
Dio e Padre nostro, Gesù, il tuo Figlio inviato nel mondo, ha radunato intorno a sé una comunità di uomini per annunciare il tuo regno veniente; per annunciare la tua misericordia con il perdono dei peccati; per testimoniare la tua sollecitudine per gli umani con la cura, la condivisione, la solidarietà. Accordaci forza e coraggio perché la nostra vita sia senza ipocrisia; libera della libertà evangelica, audace nella parola anche scomoda, sempre attenti verso poveri e peccatori. Te lo chiediamo nel nome di Gesù, il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Amen.
Dal Vangelo secondo Matteo (16,13-19)
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Galilea è il nome della regione. Il nome dispregiativo: Galilea delle genti, per dire che era un incrocio di genti di ogni sorta. Strade di commerci e carovane. Via del sale e dei sapori. E all’incrocio dei commerci, pure le fedi si incontravano. Ognuno con il suo altarino di devozione, per placare gli dèi.
Ai piedi del monte Ermon, sorgeva la città che Filippo, figlio di Erode, aveva fatto ampliare e dedicato a Cesare: Cesarea di Filippo dunque. Il padre Erode – quel diavolone – aveva invece fatto costruire in cima ad una roccia un tempio in onore dello stesso Cesare, il divo Augusto. Alle pendici dello stesso monte si aprivano alcune grotte una delle quali dedicate al dio Pan, la divinità della campagna e del pascolo. Il vocabolo panico che noi utilizziamo per dire la paura, era l’aggettivo riferito a questa divinità che si adirava con chi lo disturbasse emettendo urla terrificanti e scatenando così un’incontrollata paura. Per questo quella grotta dedicata al dio pagano, era considerata l’ingresso dell’inferno, il regno di Satana.
Perdonate la premessa, ma è decisiva per comprendere al meglio cosa succede in questo luogo tra Gesù e i suoi discepoli. Il dialogo di Gesù con i suoi pare far riferimenti espliciti a quanto qui, comunemente, la gente credeva. Gesù parlerà dunque di roccia, di ecclesia, di porte degli inferi… le immagini non sono dunque per nulla casuali. È in questa regione che Gesù pensa di interrogare i suoi discepoli per capire da loro cosa la gente dice sul suo conto. Diciamo che la prese un po’ larga, ma il suo obiettivo non era certo di conoscere i rumors (le notizie che circolano sul conto di qualcuno) quanto piuttosto di sapere dai suoi discepoli cosa pensassero del loro Maestro. Probabilmente i discepoli alla prima domanda del Maestro si bearono di dire a Gesù che sapevano ciò che la gente andava dicendo sul suo conto, si bearono di dimostrare che erano aggiornati circa le voci di corridoio.
“Ma voi chi dite che io sia?” fu la domanda che li spinse ad entrare nel fondo della loro coscienza, luogo dove in verità si adorano idoli e divinità. Da ciò che si vociferava fuori, lì rimando al segreto della loro coscienza. Da quell’andirivieni di persone, ciascuna col suo parere, chiese ai suoi che lo seguivano di posizionarsi.
Simone, figlio di Jonas, che di temperamento doveva essere il più audace, tenta la risposta, lui che poco prima, proprio sulle acque del mare di Galilea, aveva tentato di camminarci sopra. Il Maestro, dopo aver congedato la folla della moltiplicazione dei pani, diede ordine ai discepoli di precederlo all’altra riva mentre Lui si ritirò da solo sul monte. Una tempesta seminò il panico sulla barca del pescatore di Galilea. La carne cominciò a tremare e il sangue gli si gelò nelle vene nello scoprirsi così fragili e impauriti per una tempesta. Gesù li rincuora andando loro incontro sulle acque e Simone mise alla prova Gesù stesso chiedendogli di poter condividere col Maestro quella capacità di camminare sulle acque, di superare pericoli, vincendo con la fede ogni umana paura. Glielo concesse. Ma vedendo che il vento era forte, si impaurì e cominciò ad affondare. Gesù tese la mano e lo salvo. (Mt 14,22-33)
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” fu la risposta che il Padre suggerì a quel figlio impaurito. La carne e il sangue avevano detto la paura, la fede immatura. Un fratello lo porta in salvo sulla barca, e il Padre si fa suggeritore: Il Cristo è fratello dell’uomo ed è stato mandato a salvare i suoi fratelli. Perché Dio è il Dio dei vivi e vuole la vita per i suoi figli.
Se da dentro una grotta una divinità inadorabile semina il panico, dal fondo della coscienza di Pietro, dove si annida la paura di affondare, il Dio vivente parla e riporta l’uomo sulla roccia della terra ferma. Fu quella l’esperienza fondatrice: la paura di affogare diede a Simone solo la forza di gridare più forte del panico. La mano di Gesù lo portò in salvo e la roccia divenne il simbolo di coloro che sono stati portati in salvo.
Niente trionfalismi né imperi da esaltare. La Chiesa non la immaginava di certo così. Solo la fragilità dell’uomo da difendere. Solo vite da chiamare fuori (la parola ecclesìa trova la sua radice proprio nel verbo “chiamare”) dal frastuono dei rumors, dalla paura, dalle tempeste che insidiano la vita. Solo per questo, quel giorno, decise di fondare la sua Chiesa. In quella regione dove gli uomini potenti continuavano ad innalzare templi a divinità che non parlano, che non dicono nulla al cuore dell’uomo ma che solo lo tengono in ostaggio con le loro “ire funeste”, Gesù pone la sua prima pietra di un edificio spirituale che trarrà l’uomo, con legami d’amore, dalla terra al cielo.
Ti presento, Signore, tutte le mie paure:
la paura di essere rifiutato da Dio,
la paura nei confronti degli altri,
la paura dinanzi al futuro e a situazioni difficili,
la paura di dare una brutta impressione di me stesso.
Ti presento tutte le mie insicurezze, i miei dubbi, le mie incertezze,
il disprezzo che a volte sento di me stesso e della mia vita.
Per queste paure e insicurezze mi sento come in mezzo a una tempesta.
Tu hai detto agli apostoli sul lago di Galilea in tempesta:
“Coraggio, sono Io, non temete!”.
Dillo anche a me
e nel mio cuore si placheranno le onde furiose
dell’insicurezza e della paura.
Liberami da ogni dubbio e incertezza irragionevole
da ogni disprezzo di me stesso e della vita.
Sii Tu il mio coraggio, la mia sicurezza, il mio punto d’appoggio,
la mia forza di vivere e di agire.
Infondi in me il tuo Spirito Santo che è Spirito di potenza e di libertà.
Confido e spero in Te.
Amen.
(Clelia Barbieri)