Prima di finire nei guai…

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Data :14 Luglio 2020

Nelle distanze che poniamo da Te, o Padre, molti non sanno più riconoscere la tua presenza che ci visita e ci chiama: non lasciare che noi, lontani, spegniamo la fiamma della speranza, della fede e dell’amore. In Gesù ci hai rivelato la via dell’incontro con Te e dell’ascolto della tua Parola. Donaci sempre il tuo Spirito perché non sfuggiamo le concrete occasioni offerte ogni giorno, per vivere e credere la tua buona parola racchiusa nel Vangelo. Amen.

Henry Ossawa Turner, Distruzione di Sodoma e Gomorra, 1929

Dal Vangelo secondo Matteo (11,20-24)

In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite:  «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!».

Nell’ora più calda del giorno Abramo vide arrivare verso la sua tenda tre uomini sconosciuti. Non ne ebbe paura, non esitò ad accoglierli. Portò l’acqua perché potessero lavarsi i piedi impolverati per via. Alla moglie diede ordine di preparare focacce, lui stesso scelse il vitello tenero da uccidere, al servo lo diede perché lo cucinasse, e fece servire anche una bevanda rinfrescante a base di latte fresco e latte acido. “Tres vidit, unum adoravit” annota presto sant’Agostino. Vide tre uomini ma adorò in essi l’unico Dio che a poco a poco gli si rivelava. Non volle sapere nulla di loro, non volle credenziali prima di ospitarli. Semplicemente riconobbe in quel passaggio, una visita intensa del Signore stesso. Per questo racconto che si perde nella notte dei tempi, la lettera agli Ebrei ci esorta: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Ebrei 13,2). Fu proprio così per Abramo. Ancora oggi nei paesi orientali si dice proverbialmente che chi accoglie un uomo accoglie tutta l’umanità. 

Una tenda, quella di Abramo, e due città, Sodoma e Gomorra. Là, nella tenda, si vive l’ospitalità. Qui, nelle città, dell’ospite si abusa a proprio piacimento. Il racconto lo si trova nei capitoli 18-19 del libro della Genesi. Come quando leggendo l’indice di un libro ci si fa un’idea di quali potrebbero essere gli argomenti, così scorrendo le pagine della Genesi ci si accorge fin da principio dei contenuti stessi della Vita. L’immagine della tenda, casa provvisoria per un lungo viaggio, e le parole del Figlio d’uomo che non ha dove posare il capo (Mt 8,20) stanno in antitesi alle città blindate, costruite non per accogliere quanto per respingere. 

Ashré” disse. Più volte. Per cantare la beatitudine riservata a coloro che subiscono ingiustizia, rifiuto o violenza. Li mise in salvo con una sola parola. Beati voi che ora siete afflitti e piangete, disse, perché il problema non siete voi, ma coloro che vi affliggono e vi hanno fatto piangere. Beati voi affamati di misericordia e di giustizia. Non è beata la fame quanto il desiderio di trovare pane anche dopo che qualcuno ingiustamente lo ha negato. Il pane come la misericordia. Beati voi che operate la pace, anche senza vederla, perché è una vera sciagura che l’uomo passi il suo tempo a fare guerra, nelle piccole cose come nelle grandi. Non siete voi – sembrava suggerire – che dovete sentirvi fuori posto quanto piuttosto coloro che oppongono rifiuto ai desideri più veri e grandi dell’uomo. Molti, troppi dimenticano per quanti e quali segni di accoglienza e di ospitalità sono entrati nella Vita. Oppure, anche questo non è da escludere, non sono mai stati veramente accolti o non si sono mai resi conto di questa accoglienza incondizionata che è propria di chi viene al mondo. Ora non sanno fare altro che offrire rifiuto. Quasi una vendetta, un modo per farla pagare ad altri, per restituire ciò che (non) si è avuto. 

Diventa spesso imbarazzante parlare di accoglienza. Sempre più imbarazzante. Lo si vorrebbe fare semplicemente raccontando molteplici esperienze di incontro, di ospitalità, di accoglienza. Lo si vorrebbe fare a suon di acqua versata nel bicchiere, col profumo del pane appena sfornato o guardando i colori di un vestito nuovo da far provare… Penso spesso di parlare di cose ovvie, scontate, presupposte a persone che hanno le radici del loro credere proprio nel Dio di Abramo, ma ci si trova invece ad abitare in mezzo a uomini che conoscono sempre meno l’alfabeto, l’ABC della loro fede. Fermo restando il pacchetto dottrinale al sicuro. 

Ashré” disse a coloro che già si scoprirono beati per il semplice fatto di aver accolto le Sue parole. A coloro che invece non accolsero i segni compiuti fece udire un’altra parola, un suono che assomiglia ad un lamento: hoj in ebraico, ouaí in greco, guai in italiano. Come un pianto e non un rimprovero. Come un gemito di dolore nascosto nella creazione intera ma che l’uomo non riesce più ad intendere. “Guai” non è una maledizione, una minaccia di vendetta, ma semplicemente un’ultima chiamata, un’esortazione ad accogliere la Sua visita. Come quando, dalla collina del Getsemani, alla vista della città di Gerusalemme, pianse. In quell’occasione, lo sposo venuto per l’Alleanza con la sua Sposa, si paragonò ad una chioccia: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!” (Mt 23, 37)

Quel “Guai” che Gesù intona per le città che hanno rifiutato i segni compiuti da Gesù a testimonianza evidente di ciò che Dio è venuto a fare in terra, è esattamente il rovescio di una stessa medaglia. Non ci ripaga secondo le nostre colpe (salmo 102) ma fa udire il suo Vangelo agli uni e agli altri. Per alcuni è parola che da beatitudine nelle avversità, per altri è un’ultima chiamata a mettersi in cammino verso la città della gioia, verso la santa Gerusalemme.  Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate». E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Apocalisse 21,1-5)

Mi è tornato alla mente questo passaggio dell’Apocalisse, il libro che sta in fondo alla Bibbia e pure il titolo del romanzo di Dominique Lapierre… pensavo a quanto sarebbero state belle le città di Corazin, Betsàida e Cafarnao se avessero accolto i segni compiuti da Gesù. Oggi, di quelle città ti portano a vedere i resti… Non rimane granché. E non certo per colpa di un monito, di un avvertimento, di un invito a cambiare rotta e direzione. Il guaio più grosso per l’uomo è sempre lo stesso: non riconoscere la visita del Signore nella propria esistenza. 

Marc Chagall, Abramo e i tre angeli, 1935-1960, Musée National Marc Chagall, Nizza.

Gesù vuol vivere in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d’oggi.
Incontrerà ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti, altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori, altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa da dare.
Ciascuno esisterà per Lui come se fosse il solo.
Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere.
Nel tumulto, la sua pace da portare.
Gesù, in tutto, non ha cessato di essere il Figlio.
Vuole in me rimanere legato al Padre.
Dolcemente legato, ogni secondo,
sospeso su ciascun secondo,
come un sughero sull’acqua.
Dolce come un agnello di fronte a ogni volontà del Padre.
Tutto sarà permesso in questo giorno che viene,
tutto sarà permesso ed esigerà che io dica il mio sì.
Il mondo dove Lui mi lascia per esservi con me
non può impedirmi di essere con Dio;
come un bimbo portato sulle braccia della madre
non è meno con lei per il fatto che lei cammina tra la folla.

Gesù, dappertutto, non ha cessato d’essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d’essere, in ogni istante,
gli inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l’umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.

Attraverso i fratelli più vicini ch’egli ci farà servire, amare o salvare,
le onde della sua carità giungeranno sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.

Benedetto questo nuovo giorno
poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.

(Madeleine Delbrêl)


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Piccoli Pensieri (2)

Chiara

“Il guaio più grosso per l’uomo è sempre lo stesso: non riconoscere la visita del Signore nella propria esistenza”.

14 Luglio 2020
Arianna

Non si dice che non c’è posto migliore per nascondere qualcosa che metterla in bella vista? Benedette le “cose ovvie” che ci ricordi con schiettezza pratica e citazioni opportune, caro Don Stefano, perché oggi piú che mai ne abbiamo davvero bisogno!

14 Luglio 2020

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