Generoso o fallimentare seminatore in cerca di ascolto?
Insegnami a cercarti, e mostrati a chi ti cerca, perché non posso né cercarti se Tu non me lo insegni né trovarti se Tu non ti mostri. Non tento, Signore, di penetrare la tua altezza, perché in nessun modo paragono ad essa il mio intelletto, ma desidero comprendere in qualche modo la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Infatti non cerco di comprendere per credere, ma credo per comprendere. Giacchè credo anche questo: “Se non crederò, non comprenderò”.
Sant’Anselmo di Canterbury
Dal Vangelo secondo Matteo (13,18-23)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Ogni volta ci caschiamo sempre! Nel leggere in senso morale il Vangelo o anche solo le parabole. Nel pensare che collocarci, posizionarci di fronte al Vangelo significhi scegliere quale tipo di seme siamo. Proprio lì si rischia il moralismo di chi per presunta o vera umiltà crede di essere il terreno meno accogliente o di chi, per boriosità di credente, pensa che il seme buono, quello che porta frutto gli corrisponda meglio. Non si parla di colpe in senso morale nella parabola del seminatore. I misteri nascosti fin da principio e ora proclamati nel segreto delle parabole, raccontano ciò che succede ogni volta che noi ascoltiamo la parola del Regno: è il Maligno che ruba la parola stessa nel fatto che non la comprendiamo, così come il perderla è unicamente segno che l’uomo soccombe nelle preoccupazioni; è inoltre una constatazione che la parola soffoca per le seduzioni del mondo.
La parabola diventa ancora più luminosa se la leggiamo nel suo tragico riferimento al Messia, a Gesù stesso. È lui il perseverante e fallimentare seminatore, che trova solo strade, sassi e rovi. Da duemila anni a questa parte.
La parola creatrice, che semina vita, conosce tutta la debolezza nel consegnarsi. Ogni volta che qualcuno parla espone se stesso al grande mistero dell’ascolto che è il primo dei comandamenti. La parola ciò che dice crea, ma è un creare nella debolezza, nella fragilità. Dal momento in cui veniamo alla luce, noi siamo come un seme, una parola gettata nel campo del mondo. Gesù stesso, Parola del Padre vestita di carne, porta su di sé e racconta questo mistero dell’ascolto negato, rifiutato, esposto al pericolo. La parabola vuole semplicemente cantare lo struggente rammarico per la terra, il dispiacere per ciò che accade sistematicamente agli uomini di questo mondo.
Va dunque inteso che da sempre la Parola è esposta a questa selezione. Da sempre una quarta parte del seminato porta frutto. È opportuno saperlo che solo una piccolissima parte della Parola che ascoltiamo mette frutto in noi e credo che solo in quest’ottica si possa comprendere la generosità del seminatore. Non semina a piene mani perché vuole riempire i suoi granai a tal punto da doverne costruire di nuovi (Lc 12,16-21), ma semina abbondantemente solo perché una piccola parte porterà frutto.
Il mistero però non sta nella perseveranza e nella generosità di chi semina, quanto nel fatto che ciò che cresce parla lui pure di abbondanza. La generosa sproporzione del seminatore rimane abbondante sproporzione nel frutto: un chicco produce trenta, sessanta o cento altri chicchi. È da questo frutto che riconosciamo la mano di Dio. E solo Lui sapeva vedere campi biondeggianti laddove il contadino era passato a seminare o appena spuntavano germogli.
Da questo sguardo che non vede spreco, ma piuttosto quell’abbondanza che anche il poco può offrire. Egli non pensa al suo profitto, al proprio interesse, ma vede le folle sedute che condividono quel poco pane venuto da quei chicchi di grano nella spiga che a loro volta provengono da una mano generosa che in principio ha seminato.
Non ci invita a guardare l’estensione del campo coltivato che ci fa solo avidi di possesso, ma il particolare della spiga, il molto nascosto nel poco, il grande racchiuso nel piccolo. Come i discepoli un giorno esclamarono “Signore, dacci sempre questo pane!” (Gv 6,34) così altrettanto semplicemente potremmo far maturare in noi una sola parola: “Semina sempre a piene mani. Dacci sempre la tua parola e non stancarti di parlare al nostro cuore, nonostante il Maligno, nonostante le preoccupazioni, nonostante la seducente ricchezza”.
Signore, sei stato buono con la tua terra …
Non tornerai tu forse a darci vita,
perché in te gioisca il tuo popolo?
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annunzia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con tutto il cuore
La sua salvezza è vicina a chi lo teme
e la sua gloria abiterà la nostra terra.
Misericordia e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
La verità germoglierà dalla terra
e la giustizia si affaccerà dal cielo.
Quando il Signore elargirà il suo bene,
la nostra terra darà il suo frutto.
Davanti a lui camminerà la giustizia
e sulla via dei suoi passi la salvezza.
dal salmo (84) 85
Signore, tu sei un seminatore infaticabile, trasforma il nostro cuore in terra buona, aiutaci ad avere cura e amore come il contadino per il suo campo. Tu sai aspettare, sai accettare quello che ciascuno è capace di dare con i propri limiti e fatiche.