Con l’anima in festa, anche il corpo vola!
Assunzione della Beata Vergine Maria
(Ap 11,19; 12,1-6.10 / Sal 44 / 1Cor 15,20-26 / Lc 1,39-56)
Noi oggi sentiamo che lo stesso mistero è annunciato certo di ciò che noi tutti saremo: e tu, Donna, sei la figura ultima dell’umanità-madre che insieme a te continua ad accogliere la Parola, a custodirla nel cuore e a generarla sempre.
(David Maria Turoldo)
Il tuo Spirito, Signore, ci ricopra con la sua potenza, e la nostra debolezza sia raccolta dal tuo Verbo perché possa compiere in noi le Sue grandi opere che dalle tenebre ci hai chiamati alla Luce, dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia, dalla terra al cielo.
Dal Vangelo secondo Luca (1,39-56)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Cantò con largo anticipo tutto quello che doveva accadere. Le madri hanno questa visione delle cose: nel tempo della gestazione, mentre portano in grembo il figlio che deve venire alla luce, già gli parlano accarezzandosi il ventre e quel loro discorrere suona come un’introduzione a ciò che ancora il nascituro non vede. Si accarezzano il ventre non come chi è sazio ed ha la pancia troppo piena, ma come chi sa che dovrà condividere con una nuova creatura il tempo, lo spazio… e il cibo. E il cibo era il medesimo: fare la volontà del Padre.
Ho sempre apprezzato quella critica costruttiva che i cristiani della Riforma muovono ad un certo nostro modo di vivere il cattolicesimo, soprattutto in merito alle feste legate a Maria, la madre del Signore. Non saprei spiegare bene ma ho colto un grande rispetto: attenersi alle Scritture per parlare anche di Maria è già segno e prova di una certa umiltà della fede. Capire in profondità il Vangelo, anche nelle pagine che riguardano la ragazza di Nazareth, richiede tempo e molta fede. Da parte nostra, abbiamo sempre quel piglio in più di dover spiegare cose mai viste. Niente di male: siamo nell’ordine dei desideri, delle cose che si sperano. E se per fede possiamo crederci non è per assoluta certezza o rigore di scienza ma per il buon senso stesso e per quella speranza che ci muove nel credere. Come non sperare il Bene per chi lo cerca?
Cosa significa dunque che Maria è stata assunta in cielo in corpo e anima? Occorre dunque che la contempliamo anzitutto nel suo modo di stare sulla terra. Come un giorno dal cielo essa accolse la visita di un angelo che le portò la Parola e, avvolta dall’ombra dello Spirito, non fece resistenza al suo Signore. Non ebbe terminato di dire in cuor suo che sarebbe divenuta la Sua serva gioiosa che subito il corpo si alza e si mette in cammino per farsi – come angelicata – annunciatrice di buone notizie. Nel corpo non sentì il peso di quel recarsi dalla cugina Elisabetta perché l’anima già librava nell’aria le note di un canto che solo dal cielo le poteva fiorire sulle labbra.
Un nuovo credere, fino ad ora mai visto né udito. Il sacerdote Zaccaria che ancora in quella casa se ne sta muto è simbolo di un credere sterile se non si fida delle parole dei divini messaggeri. È un credere che ti ammutolisce se non ascolti la Parola di Dio. È un credere che rende afoni. La bocca non parla perché l’animo è incredulo. Maria, camminò nella fede e non ancora in visione ma già sentiva che quel Figlio dell’Altissimo che portava in grembo la stava spingendo oltre, fuori di sé. Non si dice nulla del parto di Maria, se provò lei pure il dolore di chi deve partorire. Perfino la tradizione islamica parla di quel parto come di una grande illuminazione al ventre e Maria diede alla luce il suo figlio. Che proprio suo non era. Custodì nel corpo il corpo del figlio di Dio con la stessa fede di quanto l’anima custodisce la Parola nel cuore. La partoriente già nasceva nel regno di Dio.
È questa unità di anima e corpo che amiamo in questo giorno di festa. Questo aderire dello Spirito alla carne dell’uomo. Questa fede che Dio ha verso la nostra carne mortale quando l’essere umano non è preoccupato di salvare la propria vita ma di donarla. E questa è la via al cielo. E il cielo non è lo spazio vuoto sopra le nostre teste che si accende di luce di giorno mentre la notte si trapunta di stelle. Il cielo sta alla terra come Dio sta rivolto alla fragile natura terrena. Maria sente che quel suo essere humus è luogo di rivelazione di cose celesti. È Dio, il Signore degli Universi, che sconvolge con umiltà le leggi della natura. E l’uomo zavorrato dalla sua ricchezza, dalla sete di potere si ritrova caduto al suolo, con mani e tasche vuote.
Il dogma, tutto cattolico, dell’assunzione di Maria al cielo in anima e corpo, non è soltanto un principio che si accoglie per vero o per giusto, senza esame critico o discussione, imposto a noi credenti come articolo di fede. Soprattutto in questo nostro tempo, non riesco proprio pensare al dogma come formula incantata di un credere che non ascolta gli interrogativi dell’uomo. Colgo piuttosto un invito ad allargare gli orizzonti. Invito che viene dagli umili e ultimi della terra, da coloro il cui corpo ha sempre meno spazio tra noi e le cui parole, fossero anche solo grida di aiuto, hanno sempre meno eco nella nostra anima.
C’è un senso di compimento in questa festa. C’è come la visione di promesse mantenute. Parole che si sono fatte carne, dal principio alla fine, da quando siamo nati fino a che si muore. La nostra anima ha bisogno di cantare il canto di Maria. Il vivere si farà meno pesante e opprimente. Maria lo intona per noi questo canto non con soprana e perfetta esecuzione solista, ma come di chi, in mezzo ad una qualsiasi delle più feriali assemblee eucaristiche, intona un canto e tutti proseguono. Non a caso, ogni giorno, nella preghiera sul finire del giorno cantiamo il “Magnificat”. E fu, con molta probabilità proprio così: questo salmo tutto cristiano giunse a noi prima nella forma corale e comunitaria. Semplicemente lo attribuiamo a Maria per dare a questo inno un’autorevole firma. L’autore, indubbiamente, è lo Spirito di Dio che ha avuto bisogno di corde vocali (e quindi di un corpo) per farcelo intendere. Non sarebbe affatto male che questo canto sia ancora conosciuto e cantato, anche dalle bocche dei bimbi e dei lattanti, se non con le medesime parole, quanto meno come atteggiamento di fondo.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: sei tu il mio Dio:
fuori di te non ho altro bene.
Un tempo adoravo gli dèi del paese,
confidavo nel loro potere.
Ora pensino altri a fare nuovi idoli,
non offrirò più a loro il sangue dei sacrifici,
con le mie labbra non dirò più il loro nome.
Sei tu, Signore, la mia eredità,
il calice che mi dà gioia;
il mio destino è nelle tue mani.
Splendida è la sorte che mi è toccata,
magnifica l’eredità che ho ricevuto.
Loderò il Signore che ora mi guida,
anche di notte il mio cuore lo ricorda.
Ho sempre il Signore davanti agli occhi,
con lui vicino non cadrò mai.
Perciò il mio cuore è pieno di gioia,
ho l’anima in festa,
il mio corpo riposa sicuro.
Non mi abbandonerai al mondo dei morti,
non lascerai finire nella fossa chi ti ama.
Mi mostrerai la via che porta alla vita:
davanti a te pienezza di gioia,
vicino a te felicità senza fine.
(salmo 16, traduzione interconfessionale)
Che meraviglia il Magnificat!!
Sempre lo stesso e sempre nuovo… È la meraviglia di cui abbiamo bisogno: delle piccole e semplici cose che a volte si ripetono senza che ci dicano più il nuovo che racchiudono.
Grazie a chi, come Maria, ci ha insegnato e ci insegna l’importanza del silenzio e dell’ascolto, così come della Parola e della traduzione della stessa nella vita di tutti i giorni, in un cammino che conduce a Lui.
Grazie Maria, discepola tra i discepoli per questa tua vera testimonianza