La trappola (diabolica) degli eletti…
XX domenica del Tempo Ordinario
(Is 56,1.6-7 / Sal 66 / Rm 11,13-15.29-32 / Mt 15,21-28)
O Padre, che nell’accondiscendenza del tuo Figlio,
mite e umile di cuore,
hai compiuto il disegno universale di salvezza,
rivestici dei suoi sentimenti,
perché rendiamo continua testimonianza
con le parole e con le opere
al tuo amore eterno e fedele. Amen.
(orazione di colletta dalla liturgia odierna)
Dal Vangelo secondo Matteo (15,21-28)
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Il Vangelo, questa “buona notizia” che Dio attraverso Gesù ci ha seminato in terra, è anzitutto annuncio legato alla vita. Il Vangelo, in fondo, vuole la nostra vita: ci chiede se noi siamo disposti a dare per esso la nostra vita e allo stesso tempo è vita vera offerta a chi lo accoglie. Ecco perché il Vangelo non può che riguardarci; Si incrociano tra le sue pagine questioni vitali per l’uomo.
Nel racconto della moltiplicazione dei pani che abbiamo ascoltato e meditato due domeniche fa c’è la questione del nostro rapporto col cibo e Gesù ci ha mostrato un modo per rapportarci al cibo che non sia solo istinto di sopravvivenza, mangiare senza accorgerci degli altri, ma il nostro mangiare sia sempre condivisione con chi non ha. Di fondo c’è sempre questo desiderio di Dio di liberare l’uomo da tutto ciò che lo rende meno umano. Il Vangelo accende sempre una luce sulle nostre paure chiedendo a noi di non diventarne schiavi.
Nel vangelo di oggi viene messa a tema la questione del nostro rapporto con l’altro, il diverso da me. Se, dalla notte dei tempi, Adamo non avesse accanto a sé Eva, egli si sarebbe sentito solo, ancora in cerca di una sua identità. L’altro che mi sta accanto è il cammino che svela a me la mia identità. L’altro è ciò che io non sono e io stesso, per l’altro, sono ciò che egli non è. Se c’è l’uomo bianco, per fare un esempio semplice, è perché ci siamo accorti che ci sono uomini che hanno la pelle di altri colori.
Detto dunque che non è bene per l’uomo essere da solo, quanta fatica nel vivere insieme! Già i fratelli Caino e Abele, figli di Adamo ed Eva raccontano, sul filo di mitologie raccontano che nella fratellanza iniziano anche i problemi: invidie, gelosie, disprezzo, indifferenza. E così il fratello viene spesso percepito come qualcuno da eliminare, da uccidere. Non è un caso che quando in una famiglia nasce un secondo figlio, si deve introdurre il primo nel mistero dell’accoglienza di colui che sta per arrivare. E il figlio, che fino ad ora era unico, dovrà imparare a condividere ciò che prima era solo per lui. La vita racconta ciò che la Bibbia, in modo universale, racconta attraverso storie delle origini. Le nostre radici umane affondano in queste questioni e fare l’uomo a immagine e somiglianza di Dio, significa sempre imparare a gestire queste faccende, a lasciarci modellare in forma di uomo anche se il rischio del rifiuto e della violenza sono sempre in agguato.
Si percepisce, scorrendo le pagine della Bibbia, che Dio desidera vedere un’umanità più fraterna, meno fratricida ma le violenze continuano a perpetrarsi sia nella Sacra Scrittura come nella vita quotidiana. Le Leggi che l’uomo si darà per contenere la violenza contro l’altro riceveranno perfino l’avvallo di Dio. E la firma di Dio quale autore di comandamenti che tutelano l’Altro (e quindi anche me, in quanto io stesso sono altro per il resto del mondo) non può che dare autorevolezza e importanza a queste stesse leggi. “Non uccidere” sarà il comando primo che permette alla vita di proseguire.
Quando Dio decise di farsi conoscere ad Abramo come Unico non è altezzosità di Dio che non sopporta rivali e concorrenza. Anche questa rivelazione è unicamente in favore degli uomini. Non sia mai che interi popoli e nazioni, impugnino armi per difendere ciascuno la propria divinità, il proprio “Credo” oltre che difendere la propria vita e i propri averi. Ma la storia, quando ci ha dimostrato che l’uomo fa guerra anche per motivi di religione, ci insegna che non abbiamo capito nulla di quanto Abramo comprese sotto un cielo stellato. Quel cielo stellato, simbolo di una numerosa famiglia che vive propri sotto lo stesso cielo è rivelazione di una umana e pacifica convivenza, che sotto le amorevoli cure di Un Padre, prova a prendere sul serio la questione della fraternità.
Gesù di Nazareth, apparteneva al popolo che Dio si scelse per rivelare al mondo intero tutte queste cose. Dio si sceglie un popolo, non troppo numeroso per seminare nel mondo questa buona notizia che esiste un solo Padre e noi, sulla terra e sotto il cielo, siamo tutti fratelli. Un piccolo resto, un piccolo popolo perché non contassero sulla forza dei numeri. Essere più numerosi da sempre quella presunzione di essere vincenti o già vincitori, di essere padroni solo perché maggioranza. E così, anche l’uomo che si dice credente e religioso, rischia di cadere nella trappola del divisore. I Giudei non esitarono a chiamare “pagani” o “cani” tutti coloro che non credevano nel loro stesso Dio.
L’incontro di Gesù, l’uomo di matrice ebraica, con una donna straniera, rivela a noi il suo essere figlio di Dio proprio nel superare la logica divisiva. Egli spiega alla donna straniera di appartenere ad un popolo che sente il fascino di quel privilegio, di quella elezione: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”. Allo stesso tempo, con una pedagogia tutta sua – è tutto suo Padre! – egli spiegherà questo sogno di Dio di vedere sulla terra una sola famiglia.
Veniamo a noi, che non siamo esenti da questi meccanismi religiosi! Veniamo a noi che alla lunga non siamo poi così differenti da quel popolo che si sentiva migliore. Molti si vantano di essere cristiani e ancor più cattolici ma neppure sappiamo cosa significa quell’aggettivo qualificativo. Cristiano fa riferimento a Cristo (e fin qui ci si poteva arrivare) ma “cattolico” suona come una vocazione stessa per la chiesa: siamo chiamati a scoprire che il mondo è una grande casa per tutti gli uomini e che, sulle orme di Cristo, nessuno può farsi padrone di un sasso. Che fatica a vivere una reale comunione dei beni! Parliamo dell’acqua? Parliamo del pane? Parliamo di salute e di cure?
Noi cristiani non siamo migliori di altri. Se avessimo accolto il Vangelo e Colui che ce lo ha portato non saremmo qui a distinguere il bianco dal nero, l’autoctono dallo straniero; il cristiano da altri credenti; il credente dal non-credente. Se per dirci amanti di Dio e credenti in Lui abbiamo innalzato barriere e creato divisioni questo significa soltanto che non abbiamo mai ascoltato il Vangelo, non abbiamo ancora colto l’essenza di ciò che Dio vuole rivelare all’uomo. Nel Vangelo (e il racconto di oggi ne è un esempio evidente!) è custodita la verità per l’uomo, per ogni uomo.
C’è una novità che Gesù ha portato… Matteo, tra le righe del suo racconto evangelico, non farà altro che raccontarci cose che Gesù ha compiuto per far saltare gli schemi di una religione che rischia anch’essa di dividere. Anche Paolo spenderà parole e pagine per spiegare questa sconcertante notizia: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). L’incontro di Gesù con la donna cananea è da leggere in questo modo: Gesù, della stirpe di Davide, incarna dapprima alcune convinzioni religiose dentro le quali l’uomo pare definirsi meglio e sentirsi al sicuro… ma poi, nell’incontro con gli altri, Egli comprenderà poco a poco, incontro dopo incontro, la vera volontà di Dio di affratellarci tutti.
Il Vangelo è già presente in mezzo a noi, è già nella vita di tutti gli uomini che stanno sulla terra. È Dio che lo ha seminato, come ci diceva in parabole, e noi siamo soltanto semplici persone che hanno deciso in cuor loro, su invito di Gesù, di partire alla ricerca delle briciole di Vangelo che cadono dalla tavola del mondo. Se le religioni sono utili, compresa la nostra, è solo per aprire la strada al’Unico Dio e Padre di tutti, che vuole venire tra noi, grazie all’accoglienza che gli uomini si riservano. Siamo sempre davanti alle nostre invidie e gelosie. Siamo sempre davanti al bivio se scegliere di rifiutare o accogliere. Anche oggi siamo davanti al Vangelo: respingerlo o, convertendoci ad esso, farlo prevalere sopra ogni umano istinto divisivo, affinché diventi la nostra stessa vita.
Lo sappiamo tutti, Signore:
Tu sei un Dio
che sosta alla porta di ogni cuore
in attesa che ti si apra, e Tu
sempre pronto a dare un fiore:
mendicante d’amore che amore dona
chiedendo solamente amore;
e mai che ti sia pentito d’esserti fatto
perfino uno di noi, l’ultimo di tutti.
Signore, una donna pagana
sa pregarti come noi non sappiamo,
perché sa credere come noi non crediamo:
Dio ascolta anche per noi la preghiera
che in questo momento ti rivolgono
tutti gli uomini del mondo,
a qualunque religione appartengono
e dei quali tu solo conosci la fede.
Amen.
(David Maria Turoldo)
O Signore, che anche sulle nostre strade si possa incontrare una donna cananea che sappia scardinare le nostre certezze… Perché è dall’imprevisto ed imprevedibile che a volte viene l’inatteso, dall’errore che nasce la conoscenza, dagli incontri “casuali” che possono fiorire legami profondi e dal mistero che germina la fede!! Tutto questo in un soffio di vita…
Quanta verità e quanta difficoltà -per noi “piccoli” uomini- ricordarci che siamo tutti uguali. Tutti facenti parte della grande famiglia umana. Una famiglia che, come tutte le famiglie, raccoglie tante diversità e peculiarità. E poi magari, quando meno ce lo aspettiamo, sono proprio i fratelli e le sorelle con cui si pensa di avere meno in comune che sono capaci di farci sentire più marcatamente quell’affezione famigliare di cui abbiamo più bisogno.
Come capitò a me con la mia amica Mansoureh, moglie iraniana e musulmana di un carissimo amico italiano. Grazie a lei ho scoperto quanto abbiamo in comune, anche in tema di testi sacri, con i fratelli musulmani. Poi, in un periodo difficile per entrambe ci ripromettemmo, spontaneamente, di pregare -ciascuna secondo la propria dottrina- l’una per l’altra. E fu bello, toccante davvero, saperci unite anche nella nostra diversità, accogliendo pienamente le nostre reciproche peculiarità.
Quanto siamo facili al giudizio, a “settare”gli altri. Gesù, aiutaci a vedere le nostre imperfezioni e a capire che nella vita, prima o poi, potremmo diventare “l’altro”.