Il colpo d’occhio e il sapore della tavola
Spirito Santo, sei l’inesprimibile che si rivela solo rendendosi invisibile. Quando metti in noi l’amore del Padre, noi rinasciamo a una seconda infanzia. Al tuo respiro, le parole del Vangelo prendono vita, e noi ci accogliamo quali fratelli e sorelle in Gesù. Possano la tua chiarezza e i tuoi doni venire nei nostri cuori, o luce benedetta, Padre dei poveri, Consolatore sublime, acqua viva e dolce frescura. Amore-Dio, Spirito Santo!
(Bernard Bonvin)
Dal Vangelo secondo Luca (11, 37-41)
In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.
Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».
Entrare in quella casa fu come guardare dentro al bicchiere. All’esterno tutto perfetto, in ordine e pulito. Dentro… lasciamo perdere! In effetti è solo avvicinando il bicchiere a sé per bere che si può scorgere se il bicchiere è internamente pulito. Finché vedi una tavola apparecchiata per l’ospite, il colpo d’occhio è sempre di grande effetto.
Il vetro e il metallo erano per lo più materiali che si trovavano nelle case dei ricchi. La maggioranza della popolazione aveva recipienti in terracotta per bicchiere e stoviglie. Pensando anche solo a questo, ci è possibile cogliere meglio il senso. Per di più non è specificato se il fariseo fosse ricco o povero. Essere fariseo non indicava necessariamente una superiorità di classe quanto piuttosto una distinzione a livello di osservanza, spinta fino allo scrupolo.
Colui che ebbe sete fino alla croce, colui che invitò i suoi discepoli ad entrare nelle case e a mangiare ciò che veniva servito nel piatto, guardò in fondo al bicchiere, dentro quel piatto. In fondo, ciascuno uomo è come il bicchiere dal quale l’umanità vuole bere; ciascuno è il piatto dal quale l’umanità vuole mangiare; ciascuno è tavola attorno alla quale l’umanità vuole sedersi e casa dove ospitare. “Avevo sete e mi avete dato da bere, avevo fame e mi avete dato da mangiare“. (Mt 25,35).
Gesù critica l’osservanza impeccabile dei farisei mentre sa che dentro al cuore si nascondono le intenzioni cattive. L’unico modo per intavolare un discorso del genere era rendersi provocatorio proprio laddove sapeva bene cosa contava fare maggiormente. Quelle abluzioni prima dei pasti diventavano segno distintivo. Fare quei gesti, lavarsi dalle mani fino al gomito come da antica tradizione, significa evidentemente appartenere a quel gruppo, essere riconoscibile proprio dai gesti che compi, dalle osservanze esteriori. Gesù invece sembra sottolineare che lo stare assieme attorno al tavolo non richiede predeterminazioni di alcun genere.
Sembra davvero il colmo per un fariseo: invitare a tavola che è da sempre segno di comunione e condivisione, e fare differenze. Il problema più serio, pare far notare Gesù, non è stare a guardare la differenza che si fa nel riconoscere e selezionare gli invitati, ma la differenza stessa che ciascuno porta addosso a sé. L’impeccabile apparenza esteriore cozza con l’interiorità spesso disordinata. Contraddittorietà dell’umano vivere che ciascuno nasconde dentro di sé, ma che all’esterno siamo pronti a smascherare sul volto altrui. Cogliere in fallo era lo “sport nazionale” dei farisei… ma guai a cogliere loro stessi. Gesù, anche quel giorno, osò farlo. Con una certa carità pure. Andò in casa e non disse nulla in piazza.
Gesù, pur non osservando i riti di abluzione, prende alla lettera quell’invito e quel giorno fu il più osservante di tutti. Quanto allo stare a tavola, Gesù fu decisamente più osservante perché invitare qualcuno in casa per una colazione era un chiaro e palese invito a conoscere più da vicino quella persona, è segno di confidenza, di comunione. Per Gesù la tavola fu sempre e soltanto un luogo di comunione e non di separazioni, di distinzioni o di recriminazioni che poi finiscono per mettore sempre a disagio l’ospite.
Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro – chiede Gesù. Ma dentro, lo ha appena detto, ci sono avidità e cattiveria. Dentro c’è esattamente il contrario di ciò di cui lo stare a tavola è simbolo. La generazione che chiedeva segni è incapace di cogliere il segno della tavola, luogo di generosità e di bontà. In effetti, noi abbiamo imparato cosa è buono e cos’è cattivo portando alla bocca il cibo.
Avete fiducia
che Gesù spezza il suo pane
e passa il suo calice:
segno di un legame
spinto fino al sangue, per tutti,
non soltanto ad amici fedeli,
ma perfino ad amici che tradiranno?
Avete fiducia
che nel segno del pane, pane di misericordia,
saremo a nostra volta profezia sulla terra
della misericordia?
Avete fiducia
che ogni domenica riceviamo
la consegna dell’alleanza con tutti
e la difesa gelosa della libertà per tutti
perché il Sangue è per tutti?
Avete fiducia
che il pane di questa Santa Cena
ci fa donne e uomini della moltitudine,
non dei pochi, non delle sette,
donne e uomini che non sanno concepire se stessi
se non come immersi nella moltitudine dell’umanità?
(dal Monastero del Bene Comune)
Signore, ogni giorno Tu ci chiami a servirTi nella comunione fraterna. Insegnaci a guardare con il cuore, a giudicare con tenerezza e vivere dell’essenziale. Rendici capaci di condividere le fatiche e i dubbi sulla fede. Apri i nostri occhi sugli altri, affinché si creino quei sentimenti che ci aiutano a crescere come singoli e come fratelli.