La Parola e il Pane (intenti per il domani)
(1Gv 4,7-10 / Sal 71 / Mc 6,34-44)
Durante il giorno si impara sempre qualcosa. Ragion per cui – dicevano gli anziani – è meglio morire di sera. E così le giornate passavano alla scuola di un Maestro che insegnava loro molte cose: allargava così gli orizzonti di cuori che con passare del tempo rischiano sempre di indurirsi, e di menti che credono di conoscere già tutto. Erano gli anni, in quella terra, del dominio romano. Il Messia, la cui attesa era cresciuta in modo esponenziale quanto più l’oppressione si faceva sentire; il Messia che che era già in mezzo a loro, non opponeva forza a forza. Istruire, parlare al cuore delle persone, consolare era la sua missione. Apriva la strada per condurre alla Vita quel popolo che assomigliava sempre più ad un gregge senza pastore. Non sapevano più quale voce ascoltare. Chi seguire. Di chi fidarsi.
Li portava a pascolare. Serve acqua limpida; non torbida, di certo. Ed egli parlerà di sé come di questa fonte. Bevendo di quell’acqua che egli donava l’uomo non avrebbe avuto più sete d’altro. Non imponeva pensieri unici, non plagiava. Prima di insegnare con parabole, diceva: «Che ve ne pare?». In questo modo egli chiamava ciascuno a riflettere e, in fondo, a tenersi la propria libertà di pensiero, di giudizio. Discorsi, similitudini e parabole costituivano la sostanza del suo insegnamento. Come un prato per un gregge, come il pane per l’uomo.
A vederlo sembrava un seminatore. Generoso. Non tratteneva per sé nemmeno un chicco. A piene mani donava i suoi insegnamenti sapendo che da quella semina sarebbero cresciute altre spighe che a loro volta potevano essere seme o farina. Sempre pane! E così passavano le giornate. Attorno a quel Maestro si radunavano ormai le folle. Alcuni discepoli vedevano in questi numeri il crescente successo del loro Maestro. Forse era per loro motivo di vanto. Lui invece vedeva anime assetate e affamate di giustizia, di misericordia, di pace.
Ma al tramonto, quando viene la sera, c’è sempre la domanda sul domani: cosa mangeremo? Cosa berremo? Lui sapeva che non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Fu la risposta che diede al tentatore quando ebbe fame. Sapeva che la fame fa brutti scherzi. Può rendere avidi, poco inclini a condividere. Ricordate la storia del profeta Elia? La povera vedova con il suo figlio è chiamata a condividere con il profeta il suo pane, vincendo quell’umana paura di morir di fame. Questo fu l’insegnamento dal cielo: ai tempi di Elia, quando ci fu una grande carestia. Ai tempi del Messia Gesù, quando disse: «Voi stessi date loro da mangiare» e prese il poco per condividerlo. In ogni caso. La discriminante non è nel “poco” o nel “molto”, quanto nel condividere o nel trattenere. Questo insegnava: che la vita va donata. Questo per Lui era l’amore più grande. Trattenuta per sé fino al tramonto è stoltezza. Cosa ne fai? Come quell’uomo che non esitò a definire stolto per aver costruito magazzini più grande al fine di ammassarvi tutto il suo grano.
Il mondo intero è preoccupato per il domani. E quando ci pensiamo, ci si riferisce sempre a ieri. Alla normalità di ieri. Sorvoliamo su cosa si possa intendere per normalità. L’ultima normalità in materia di ecologia, per esempio, era un inquinamento talmente esagerato che siamo già qui a pagare pegno. E allora spero che non sia questa la normalità. Sì, lo so: normalità è la vita che facevamo prima. Poter continuare a fare quello che ciascuno faceva nel suo piccolo mondo. Sinceramente, è sempre questo guardare indietro che mi spaventa. Perfino il contadino dell’Antico Testamento, per Legge di Dio, sapeva che mentre raccoglieva le spighe di grano, non avrebbe dovuto voltarsi indietro. Quanto rimaneva indietro era, di diritto, per chi spigolava.
Stamattina non sono seduto alla scrivania nel mio studio. Scrivo in cucina, accanto al forno per sorvegliare al contempo il pane che già cuoce. Ho in mente di condividerlo con alcune persone che oggi incontrerò. Qualcuno mi ha chiesto perfino di poter avere ancora del lievito natalizio. A loro forse non serve il mio pane. Forse neppure il lievito. So che il pane possono comprarselo senza problemi. La lezione del Maestro è per me. Devo ricordarmi di fare dono di quello che ho. Un dono che sia vivo o nutriente. In perfetto stile evangelico.
E allora, quale futuro? Cosa condivideremo domani se oggi ascoltiamo la lezione del Maestro? Difficile poter dire oggi, in questi istanti come sarà il domani. Tuttavia intendiamoci bene: il domani non si tratta di indovinarlo, quanto piuttosto di seminarlo e impastarlo. Il domani sarà frutto di ciò che oggi seminiamo e il pane sarà buono se con pazienza oggi lavoriamo questa pasta mescolandoci in essa un po’ di lievito del regno di Dio che è già in mezzo a noi.
Rifletto profondamente attorno a quanto sto facendo in questo tempo di pandemia. Non molto, certo. Forse meno di quanto eravamo abituati a fare in tempi di frenetico attivismo e di bulimia pastorale nella Chiesa. Mi accorgo che ci sono alcune poche cose che sono rimaste nelle nostre mani, nelle nostre possibilità, proprio come quei cinque pani e due pesci. Eppure, alla luce del racconto della moltiplicazione dei pani, mi accorgo che c’è come una forza di attrazione che fa gravitare ancora il nostro mondo e le nostre giornate proprio attorno a questi due fuochi: la Parola e il Pane. Assomigliamo sempre più a quei due discepoli di Emmaus che camminano sconsolati. Il risorto tuttavia li stava già battezzando col fuoco. Sentirono ardere il cuore. Lui, misterioso viandante già loro Maestro, li stava scaldando col fuoco della Parola buona e intanto preparavano un pane di condivisione. E per il giorno nuovo che sorgerà, per chi verrà dopo? Qualche buona parola che sappiamo riconoscere come venuta Dio seppur vestita di carne, qualche umana parola che sappia intuire, istruire, raccontare, far lievitare questa materia umana così greve.
Intanto, rinnovo il mio impegno mattutino qui, attorno al Vangelo; decido poi di continuare a raccontare favole (per il prossimo mese alcune tra le meno celebri di Hans Christian Andersen) verso sera. E attorno alla Parola ci siamo. Continuo a celebrare l’Eucarestia (in presenza) luogo di ascolto e di condivisione, luogo di contatto tra il divino e l’umano. Continuo a impastare e cuocere il pane da condividere, quando capita, con gioia. È poco. Pochissimo. Quasi niente. Ma mi pare un modo di pensare a tanti amici, di essere vicino a loro e pure con una certa discrezione. Che ciascuno dei miei amici possa ascoltare la propria fame (spirituale) e sapere che Qualcuno un cibo lo ha già preparato per noi.
O Padre, il tuo Figlio unigenito
si è manifestato nella nostra carne mortale:
concedi a noi, che lo abbiamo conosciuto come vero uomo,
di essere interiormente rinnovati a sua immagine.
(dalla liturgia)
Dal Vangelo secondo Marco (6,34-40)
In quel tempo, sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci».
E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti.
Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.
Rendimi fedele, Signore,
a questo filo di speranza
e a questo minimo di luce
sufficienti per cercare.
Rendimi fedele, Signore,
a questo vino del tuo calice
e a questo pane quotidiano
sufficienti per campare.
Rendimi fedele, Signore,
a questo briciolo di allegria
e a quest’assaggio di felicità
sufficienti per cantare.
Rendimi fedele, Signore,
al tuo Nome sulle labbra,
a questo grido della fede
sufficienti per vegliare.
Rendimi fedele, Signore,
all’accoglienza del tuo Soffio,
a questo dono senza ritorno,
sufficienti per amare.
“Da bambini mendichiamo il pane, da adulti ce lo guadagnano con il lavoro quotidiano, vivendo con gli altri siamo chiamati a condividerlo. E in tutto questo impariamo che la nostra fame non è solo di pane ma anche di parole che escono dalla bocca dell’altro: abbiamo bisogno che il pane venga da noi spezzato e offerto ad un altro,che un altro ci offra a sua volta il pane, che insieme possiamo consumarlo e gioire, abbiamo bisogno che un Altro ci dica che vuole che noi viviamo, che vuole non la nostra morte ma, al contrario, salvarci dalla morte.”
(Enzo Bianchi)
Cantico di Simeone
Ora lascia, o Signore che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perchè i miei occhi hanno visto la Tua salvezza
preparata da te davanti a tutti i popoli.
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele.
Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre
nei secoli dei secoli. Amen
Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.
L’immagine del lievito e del pane, oltre che metafora evangelica del Regno di Dio,mi sembra possa essere intesa come metafora di educazione. ” Fare lievitare” è far crescere una persona, educare…
etimologicamente :fare venire alla luce qualcosa che è nascosto in lui.
Ora ho capito perché tu, don Stefano,ami
molto fare il pane…il pane, impastato e lievitato, prende molti significati, dal linguaggio religioso al linguaggio pedagogico. Ed è attraverso questi due linguaggi che noi troviamo la connessione
con Dio.
Stamattina mi sono svegliata con un groppo in gola, la preoccupazione per il domani ha avuto la meglio, le notizie di questi ultimi due giorni fanno tremare. Si ha veramente bisogno di pace, misericordia e giustizia, anche se a qualcuno non interessa la pace ma tifa per la guerra. Non è cristiano essere tristi, ma oggi io lo sono. E rileggo le tue riflessioni, don Stefano, per aggrapparmi a quello che di positivo trasmetti nelle tue parole, tra le quali, velatamente, avverto un po’ di preoccupazione. E cerco di concentrarmi su ciò che tante volte mi è stato detto “ sta attaccata al Signore, per lui sei preziosa “.
Ma quanto è più nutriente il cibo,anche poverissimo, quando accompagnato da buone parole ed azioni. Di recente studiavo per l’università “L’invenzione del bambino” di Maria Montessori e, quando aprí la sua prima “casa dei bambini” accogliendo i primi ospiti chiaramente denutriti, si stupiva di come questi, nonostante non avesse allora i mezzi per una mensa scolastica, già solo per lo stare in un ambiente migliore, più sano e luminoso, durante il giorno, apparissero dopo un po’ di tempo sani “come se avessero fatto una cura di aria e sole”. Quanto può influire un ambiente sano sul metabolismo e l’assimilazione dei nutrienti, per poverissimi che siano!