Il male è nel mondo. Ma il Bene come si inventa?
(Eb 3,7-14 / Sal 94 / Mc 1,40-45)
Nel racconto evangelico di ieri, cui segue l’episodio odierno, si diceva chiaramente che, seppur “assediato” da malati e indemoniati che premevano alle sue porte per ottenere la guarigione, Gesù si ritirava in luoghi appartati a pregare. Probabilmente c’è pure capitato di chiederci come pregasse Gesù, un po’ come i discepoli quando spiano il loro Maestro che non li ha ancora istruiti quanto alla preghiera, come di consuetudine facevano gli altri Rabbi, gli altri maestri. In quell’incontro c’è un’intimità, una famigliarità che non si può spiegare a formule. Difficile teorizzare. Come pregava Gesù lo si può forse capire da ciò che compie dopo aver pregato. La sua ultima preghiera, sulla croce, fu dono per noi e abbandono nelle mani del Padre.
In questi giorni – mi accorgo – sto sostando parecchio a meditare sulla preghiera di colletta all’inizio della celebrazione eucaristica di questa prima settimana del tempo ordinario. Ha una sua logica interna, un suo “funzionamento”, un modo di procedere che è una lezione. Dice la preghiera: «Ispìra nella tua paterna bontà, o Signore, i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera, perché veda ciò che deve fare e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto». In pratica noi chiediamo a Dio che quando siamo raccolti insieme per pregare, ci ispiri pensieri ai quali seguiranno dei propositi che ci daranno occhi per vedere ciò che dobbiamo compiere. Infine chiediamo la forza di compiere, di realizzare, di incarnare quel pensiero fattosi intenzione e quindi azione. È bellissima! È limpida e chiara questa preghiera. Mette ordine in mezzo a tutti quei sentimenti e pensieri, spesso contrastanti, che sorgono nel nostro quotidiano. E che ci lasciano così spesso incapaci di agire.
Da piccoli, tra amici, ci si sfidava a prendere il mano rami di ortiche senza pungersi. C’era un segreto, di cui non conosco la scientificità: bastava fare un profondissimo respiro, trattenerlo e in quel mentre cogliere le ortiche. Forse una scarica di adrenalina iniettava nel corpo ciò che serve per resistere; forse un respiro di coraggio; forse il desiderio di resistere alle irritazioni del male. Giochi da bambini che tuttavia sembravano essere sfide al fastidioso male… così a portata di mano.
Mi pare di intuire che da quei tempi di preghiera, Gesù ne uscisse più rafforzato, ancor più capace di intuire il bisogno dell’altro ma soprattutto prendendo come di petto certe situazioni. Non tergiversa davanti alla richiesta del lebbroso. Le sue azioni, i suoi gesti – spesso contrari alla Legge stessa – nascono da precisi intenti, propositi concreti che sono nati pensando a Dio. Che sia questo il nocciolo della preghiera? Il seme che sboccerà in gesti di carità, la sorgente inesauribile che inventa il Bene? Il male è nel mondo… te lo trovi sulla strada, ma il Bene chi lo inventa? Dov’è la sorgente, la fonte? Pensare a Dio ci fa risalire alla fonte del Bene. Voglio davvero pensare che proprio per questo Gesù si ritirasse in preghiera. Egli tornava alla fonte del Bene come a riconoscere il volto di suo Padre sfigurato da tanti dubbi e da tante domande dei suoi figli che abitano sulla terra.
Un lebbroso che vuole essere purificato e Gesù che intercetta questo desiderio. La volontà di Gesù si accorda alla volontà del lebbroso e così fiorisce il bene. La vita si feconda proprio in questo modo: in un’incontro di buoni pensieri, di buoni propositi. Quel lebbroso non grida solo ciò che – per Legge – gli è chiesto di gridare al fine di ridurre i danni da contagio. Quel lebbroso da voce al suo desiderio di incontro, al suo bisogno di guarigione da cui veniva poi una riammissione alla vita sociale. Incontrandolo e sentendo quella richiesta esplicitamente indirizzatagli, Gesù «ne ebbe compassione». Ha prevalso nella scelta dei verbi il verbo ormai noto a chi frequenta i Vangeli che mette l’accento sulla compassione che nasce come da un grembo o da uno stomaco in rivolta. Altre fonti greche del medesimo testo, riportano verbi più diretti: «si adirò». Questo per altro ci permetterebbe di comprendere quell’ammonimento severo che segue la guarigione e quel cacciare via subito. Gesù non vuole pubblicità. Il Bene si fa in silenzio e ancora non è giunta la sua ora di essere cacciato fuori dalla città per essere crocefisso, anche se la sua sorte pare già qui anticipata.
Davanti a certe situazioni di disperati non possiamo tacere. È la nostra condizione che ci farebbe perfino gridare contro Dio perché nemmeno sapremmo dove andare a sbattere la testa. E così ricorriamo a Te. I tuoi pensieri siano i nostri pensieri. Se solo capissimo che tu ci ami… qualche nuovo proposito scaturirebbe dalle nostre mani.
O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta,
arida, senz’acqua. […]
A te si stringe l’anima mia
e la forza della tua destra mi sostiene.
(dal salmo 62)
Dal Vangelo secondo Marco (1,40-45)
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito, la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Signore Dio
Tu non sei Dio di morti ma di vivi.
Dacci la tua benedizione,
perchè siamo opera tua.
Mantienici in Vita,
rifacci nuovi appena ci vedi vecchi,
e se a Te ci chiudiamo
a Te riaprici
per amore di Gesù Cristo.
Amen.
(Huub Oosterhuis)
Ignoravo questi tuoi pensieri. Una persona mi insegnò a entrare in ottogiorni.it. Ora posso ricordare durante il giorno le tue brevi riflessioni molto pratiche nello scorrere delle mie giornate. Si ascoltano, durante la S. Messa, e magari poi le si dimentica, ma “verba volant, scripta manent”.Grazie di cuore a questa tecnologia e a te, don Stefano, che ci unisci in un'”agape fraterna”.
Mi piace pensare ad un Gesù misericordioso e se quel “si adirò” si riferisse alla vista del dolore del lebbroso, dolore comune a tutti coloro che erano riuniti davanti alla sua porta?
Spesso nelle preghiere chiediamo a Dio, alla Madonna, ai Santi, di essere esauditi nelle nostre intenzioni, e credo che sia umano, se c’è una malattia, se manca il lavoro, per la pandemia, e però mi sono accorta che mi sento meglio quando vado in chiesa in momenti in cui non c’è nessuno. Mi siedo davanti al tabernacolo, non chiedo nulla, non recito formule, sto solo in silenzio. Ora, alla luce della bella preghiera della colletta, credo si debba chiedere di riuscire a formulare buoni pensieri, buoni propositi, buone parole, per poter seminare un po’ di bene e soffocare il male che a volte, se non addirittura spesso, esce da noi, anche se non vorremmo, ma esce.
Tese la mano e lo toccò… Gesù non fa quanto è giusto secondo la legge, ma quanto è bene. Con la forza e la sicurezza che solo un dialogo costante col Padre può dare. In ogni suo gesto Gesù ci dimostra la forza della preghiera. Ma quanta fatica a lasciarmi coinvolgere dal suo esempio!
Meravigliosa sì la preghiera della colletta…lasciarsi ispirare da Lui, per compiere il bene “udito e visto”, quello che Lui stesso fece. Ritirarsi, rientrare in sé stessi e pregare per riconoscere quella volontà più grande a cui la nostra deve cercare di conformarsi, per essere “come Tu mi vuoi” e per sentirsi amati… Ciò che più conta è ciò che si sente e c’è in noi, il dentro più che il fuori perché è su quello che maggiormente si può agire maggiormente e su cui si può incidere qualcosa di diverso. Un lavoro che durerà tutta la vita perché anche Gesù, così come possiamo fare noi, imparò dalle cose che visse e patì e Lui è il nostro maestro di vita.
Leggendo le riflessioni di oggi mi tornano in mente i giorni del lungo ricovero in ospedale dopo l’incidente. Non ricordavo nulla, potevo fare poco o niente, eppure ricordo che mi sentivo capace di pregare, in un autentico dialogo con Dio, come mai prima. Al rientro a casa poi, con piú stimoli e cose da fare, non riuscivo più così bene… Anche adesso, quando riesco, cerco di prendermi anch’io del tempo per isolarmi, per allontanarmi dalle incombenze e cambiare aria. Allora sí che riesco a tornare a sentire quel bel dialogo, ed è davvero ritemprante, mi lascia sempre più leggera e serena.