…quindi la barca?
Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani – V giorno
(Eb 8,6-13 / Sal 84 / Mc 3,13-19 oppure i testi proposti per la settimana di preghiera: Dt 30, 11-20 / Mt 5, 1-12)
La barchetta di carta voi gliel’avete preparata? Non so come dirvelo… non ne ebbe bisogno! Almeno per il momento. Il fatto è che cambiò direzione, come il vento. Diede una nuova svolta e, per stare ancor di più in mezzo ai suoi, fece qualcosa di assolutamente nuovo. Salì sul monte, per chiamare a sé quelli che voleva Lui. Quel monte non è che una collinetta eppure questo piccolo rilievo attorno al lago di Tiberiade diventerà celebre tanto quanto le altre grandi montagne del primo testamento, perché su quei monti Dio ha parlato, s’è fatto conoscere.
Invece di salire in barca per scostarsi dalla folla, andò in direzione opposta. Un vero cambio di direzione. Vedendo quelle folle che da ogni dove lo cercavano, qualche interrogativo, probabilmente, se lo pose. Cosa cercano? Cosa vogliono? Perché tutta questa pressione? Quello che stava per compiere sul monte era già la risposta: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). Sembrava Lui stesso in balia di quelle ondate di folle che lo cercavano e che gli portavano malati e spiriti impuri perché li guarisse. E sembrava davvero che fosse lì per quello: soddisfare ogni loro richiesta. E non erano capricci di folla. Era il desiderio di essere guariti, di essere risanati. Ma il rischio c’è di pensare che Egli sia qui esclusivamente per guarire e così per noi Dio sarebbe credibile solo se ci desse un segno, se ci facesse un miracolo.
Forse sbagliamo proprio quando chiamiamo Dio sulla cima dei nostri monti insormontabili; sbagliamo quando siamo noi a dargli appuntamento perché si manifesti come Colui che può fare ciò che non non riusciamo. Il più delle volte, si finisce per essere delusi. Per poi ridurci (e dico bene ridurci!) a dire che non lo sentiamo, non lo vediamo, non lo troviamo… non gli crediamo. Meglio così se non si manifesta come noi vorremmo! Meglio se non si fa trovare laddove noi lo cerchiamo. Perché così abbiamo semplicemente a cercarlo di nuovo o a seguirlo laddove veramente Egli è. È che spesso siamo noi ad avere la pretesa di un’intervento divino dove noi vorremmo, mentre è Lui che chiama a sé. E non è per un attimo, per questo o quel momentaneo bisogno di Dio. Chiama a sé quelli che lui vuole per essere con Lui. La traduzione soffre ancora un po’: perché stessero con lui, dice. Meglio sarebbe tradurre per essere con lui. E non è una sottigliezza linguistica. Essere con Lui: questa è la nostra chiamata. Non siamo noi a chiamare Dio, a convocarlo, a dargli appuntamento. È Gesù stesso, Dio-con-noi che ci chiama per essere noi-con-lui.
Quindi la barca è Lui che ce la offre: una piccola comunità di discepoli, messi in salvo dal rischio di farsi calpestare dalla folla con tutti i suoi bisogni e desideri. Unico intento è stare anzitutto con Lui. In seguito si potrà andare ad annunciare il Vangelo e scacciare quei demoni che pur sapendo benissimo chi è Gesù, impediscono agli uomini della cui casa si sono impossessati, di essere con Lui. Ecco perché diventa urgente scacciare demòni: essi sono come la zavorra che impedisce di andare verso di Lui. È lui che interviene nella nostra storia personale portandoci, con il passo lento di chi sale su un monte, a capire che in tutto quanto ci accade è un dono il poter essere con Lui.
Presso la Comunità di Grandchamp, ogni giorno si ripetono queste parole: «Prega e opera affinché Dio possa regnare. Durante tutta la giornata, lascia che la parola di Dio dia vita nel lavoro e nel riposo. Mantieni il silenzio interiore in tutte le cose per dimorare in Cristo. Sii colmo dello spirito delle beatitudini: gioia, semplicità, misericordia».
Sii Tu benedetto, Dio nostro Padre,
per il dono della tua parola nella Sacra Scrittura
e per la sua potenza trasformante.
Aiutaci a scegliere sempre la vita
e guidaci, con il tuo Santo Spirito,
verso la felicità che Tu vuoi condividere con noi.
Amen.
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 3,13-19)
In quel tempo, Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni.
Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè “figli del tuono”; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì.
Anche se in fondo ai mari
e nei più alti cieli
si mormora di te,
so che non hai altra casa:
sei il mio inevitabile Ospite
sconosciuto e muto.
E ci accomuna
la disperazione di amare.
Pure se santità significhi
dimore inaccessibili
qui è la tua casa.
Quanto inganna il pensarti lontano:
spazio illusorio alla mia
e tua autonomia:
Tu non puoi che celarti qui
nel presente, non puoi
che essere in urto
né puoi sfuggire alla sorte
della tua amata immagine
(David Maria Turoldo, Canti ultimi)
Esiste una parola straordinaria, e non potrebbe che derivare dal greco, ed è “epifania”. I Greci ne conoscevano bene il significato: epifania è il sacro che si manifesta, che irrompe, inaspettatamente, nel quotidiano. Le epifani sono spesso silenziose, discrete, ma frequenti. Noi siamo invece abituate alla società dello spettacolo, che tutto espone, in una rutilante vetrina che si offre al consumatore. Non sono le epifanie che mancano, ma lo sguardo che le colga.
Fin da piccola mi è stato insegnato ad avere soggezione di Gesù: dovevo stare attenta a come mi comportavo perché lui vedeva tutto quello che facevo e avrebbe potuto punirmi, dovevo ricordarmi di dire le preghiere tutte le sere, dovevo dire le preghiere e portare una candelina davanti alla sua immagine quando dovevo affrontare un compito in classe o un’interrogazione. Insomma, non proprio un idea esatta di Gesù. E però questi insegnamenti un po’ rimangono dentro, ed è vero che se non si è esauditi in ciò che viene chiesto, è una delusione, soprattutto quando preghi per un ammalato. E poi, negli anni, fai un percorso, ti fai aiutare a comprendere meglio, ma non è così facile e immediato capire. Poi ti capita di leggere riflessioni come quella di stamattina, e vai in crisi di nuovo. Chi è Gesù? Dove è nella mia vita? Lo sento? Si fa sentire? Forse Gesù non è una persona dentro di noi, ma è l’amore che sentiamo dentro noi che ci fa pensare e agire in un determinato modo? È la speranza a cui ci aggrappiamo in momenti in cui la speranza sembra venire meno? Ecco io oggi mi sto soffermando molto su queste domande, su questi pensieri, e tento di trovare una risposta.
Oggi la riflessione risuona con maggiore urgenza nel mio cuore: saluto per l’ ultima volta un grande, umile uomo, Claudio Salvetti, che ha camminato sempre con Dio e ha aiutato a farlo, con il suo esempio, molti di noi.
Una preghiera di ringraziamento a Dio perché c’è l’ ha fatto incontrare.