Parlano solo i numeri… e a conti fatti?
(Gen 1,20-2,4 / Sal 8 / Mc 7,1-13)
Questa di oggi – preciso subito – non sarebbe proprio una riflessione a commento del Vangelo. Piuttosto un pensiero a margine di cose che accadono nel corso di una giornata. Spero tuttavia possa contribuire a questo nostro umano vivere. E siccome al Vangelo importa molto la nostra umanità, mi dico che anche queste considerazioni, per un verso così scontate, potrebbero essere urgenti.
Lunedì 8 febbraio (ieri): sono riuscito a partire per gli esercizi spirituali. Partito un po’ di corsa – a dire il vero – riuscendo a dimenticare a casa due o tre cose da mettere in valigia. Cose necessarie. A questo punto mi stan pure bene i negozi di un centro commerciale. E tra una cassa automatica fai da te e una cassa con operatore, scelgo la seconda opzione. Insomma, anche nel fare spesa cerco contatti con esseri umani e non con marchingegni elettronici che ripetono il prezzo ad alta voce. In un negozio, può succedere ancora di aiutare qualcuno a prendere un articolo dallo scaffale. La piccola signora non osa… si intuisce che non riesce ma è in imbarazzo a chiedere. Chi oserebbe oggi? E allora basta un: «Ha bisogno? Vuole una mano?» e tutto funziona ancora.
Per finire sono dovuto entrare in quattro negozi e la considerazione -sconcertante – è stata la medesima. Quanto vi sto per raccontare è successo dunque nel quarto negozio, al termine di un attento esame dei nostri comportamenti. Cose che saranno capitato anche a voi, certamente! Semplicemente non ci si fa più caso. Ci siamo abituati? Rassegnati? Se per scelta si entra in un negozio, sotto sotto è forse perché si desidera ancora quel semplice ‘buongiorno’ quando arrivi alla cassa. D’accordo: è lunedì! Ma è lunedì di un tempo in cui tutti han voglia di riprendere a lavorare. E quindi la storia del pigro lunedì non fa più testo. Piuttosto ti immagini il negoziante che gioisce dicendo a se stesso: «In zona gialla ma si lavora! Benvenuto lunedì» Soprattutto se sono negozi chiusi nel fine settimana.
Con mia grande sorpresa, non un ‘buongiorno’ e neppure uno sguardo rivolto al cliente. Io o chiunque altro. Gli articoli appoggiati in cassa e il/la commesso/a prosegue il suo discorso con il/la collega, mostrando una certa sicurezza nel fare due cose al contempo: proseguire una discussione (per altro poco edificante circa il capo, gli orari, gli articoli, i saldi… il che non farebbe nemmeno buona pubblicità al marchio, ma sorvoliamo) e servire in fretta il cliente, senza nemmeno dare un’occhiata alla merce. Le uniche parole non sono nemmeno parole. Sono cifre. Il totale da versare. Insisto garbatamente: «buongiorno, grazie, arrivederci, buon lavoro» … ma nulla!
Ci prendo gusto a questo esperimento sociale – o meglio – mi faccio più attento nel valutare se sono eccezioni o se è normalità. Praticamente sconfitto. È così (quasi) ovunque. Ma non ce l’ho con il personale. Credetemi: ho provato davvero a mettermi nei loro panni. Il lunedì, appunto. Le condizioni sfavorevoli in cui lavorare, i saldi accanto al loro stipendio… davvero ho cercato di scagionarli tutti quei giovani commessi, vittime pure loro di un sistema, di ingranaggi che ormai girano così. La buona educazione insieme alle tecniche di marketing – deduco – non la si insegna neppure più per attirare clienti.
Giunto ormai nel quarto negozio, assisto desolato e calmo alla medesima scena: alle mie orecchie giunge solo il suono del prezzo da pagare. Poi mi sfiora un pensiero, un’intuizione! Come una voce interiore che dice: «Dillo!». Mi faccio coraggio. Un bel respiro. Forse un’invocazione d’aiuto, una sommessa preghiera allo Spirito che mi assista. Mi dico pure che se non lo faccio io, forse in quel giorno nessuno lo farà, abituati come siamo all’indifferenza. E così, con tanta calma e con garbo, esprimo il mio rammarico a quell’incapacità di salutare. Va pure detto che non c’era fila in cassa e non tutti quelli che entrano in un negozio finiscono per passarci. Molti entrano, fanno un giro e se ne vanno. Praticamente un piccolo esercizio di correzione fraterna, se così si può dire, intavolando pure un discorso che ha scoperchiato un vaso di Pandora: hanno talmente tanto da fare ed il personale è sempre di meno, gli affari non girano…
Immagino che non sarà sempre e dovunque così. Ci saranno anche commessi garbatissimi, gentili ed educati. Forse nei negozi dove i prezzi sono più alti. Per quattro negozi in così poco tempo, c’è quasi materia per uno studio sociologico! E non mi andrebbe neppure di dire che erano giovani perché sembra sempre che… Sì, giovani erano. Inesperti? Principianti? Beh, se così fosse, allora è proprio il caso di aiutarli a crescere facendoglielo notare con le dovute maniere che è più bello per tutti se saluti, se guardi negli occhi, se fai una domanda in più. Sono giovani e dunque li reputo persone ancora in tempo per imparare, per modificare un comportamento. E per un verso è consolante.
Ovunque si sente questo desiderio di baci, abbracci e strette di mano… ma intanto perché non prestare attenzione a tutte quelle parole buone omesse, a quei saluti negati e forse ancora attesi da qualcuno? Di questi tempi non abbiamo altro che questo potere: farci accoglienti con la parola che buca le nostre mascherine sanitarie e giunge al cuore. E non solo con chi conosciamo! Se salutiamo quelli che ci salutano, che merito abbiamo? Fanno così anche i pagani, diceva Gesù. Il fatto è che ci siamo convinti che di questi convenevoli non ci sia più bisogno, mentre non molto tempo fa stavano alla base di solidi rapporti di stima, di rispetto, di amicizia, di solidarietà. La fiducia si costruiva anche ascoltando i consigli del negoziante che conosceva bene i suoi prodotti. Il suo obiettivo era la felicità del cliente. Oggi entriamo in un negozio con l’occhio di chi deve stare attento alla fregatura.
Provate anche voi, per favore, a fare questi piccoli esercizi di rianimazione dell’umano. Altrimenti rischiamo il paradosso: stiamo diventando buoni conoscitori della Parola di Dio meditandola giorno dopo giorno, ma sempre più incapaci a farla risuonare attorno a noi, nel quotidiano. Ci vuole delicatezza, tatto, garbo. Basterebbe invocare un aiuto dall’alto piuttosto che tacere sempre per viltà, per pigrizia, per rassegnazione, per indifferenza. Sembra davvero che degli spiriti impuri ci rendano muti. Se siamo ancora in tempo, non facciamo diventare abitudine o tradizione questo modo di vivere dentro un’insensibile indifferenza. Annullerebbe la parola di Dio.
Se l’uomo non parla più al suo simile, e parlano solo i numeri, a conti fatti che succede? Molti si chiedono dove si originano queste crisi dell’umano e da cosa dipendono. Qualche collegamento lo si potrebbe anche ipotizzare: c’è una decadenza culturale, che fa decadere pure la capacità di stupirsi, di meravigliarsi, di contemplare, di ammirare. Queste due cose insieme fanno poi decadere la capacità di pregare, di celebrare un culto, una liturgia. Ci sono tanti modi per intendere l’uomo e l’umano. La fede potrebbe anche incontrarli tutti. Tuttavia c’è un modello di concepire l’uomo che è proprio contrario alla fede, alla contemplazione e temo che questo modello sia quello adottato dalla nostra attuale civiltà. Sognare un dialogo alla cassa di un negozio, forse significa operare per il Vangelo e questo stesso Vangelo, indubbiamente, ci sta chiedendo di provare ad agire ancora un volta per un mondo migliore.
Dio, che hai fatto dei cieli la tua dimora,
guarda a noi, piccole creature
che viviamo qui, su questa terra.
Donaci lo Spirito che ci riempia di gioia!
Dal Vangelo secondo Marco (7,1-13)
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».
Non su di noi, Signore,
non sul nostro modo di agire
concentra l’attenzione degli uomini,
ma sul tuo amore fedele e potente
perché tu solo sei degno di lode.
Troppa gente ancora si chiede:
«Ma Dio esiste veramente?
A cosa serve la sua presenza?».
La tua presenza è spirito e vita,
tu susciti amore e perdono.
Gli uomini cercano idoli:
ideologie e miti da consumare,
conti in banca e case di piacere,
onorificenze e posti di comando,
il controllo e il plauso dei social…
Loro idolo è anche la scienza,
gli sportivi e i cervelli elettronici:
hanno sensibilità e movimenti,
memoria e grandi capacità di lavoro
ma non hanno cuore e intelligenza
sono solo delle macchine sofisticate.
Come loro diventa chi le fabbrica,
uno schiavo chi le usa tutto il giorno;
come loro è sterile e disumano
chi ai loro circuiti affida la sua vita
e crede solo nel potere dell’uomo.
Noi invece ci affidiamo al Signore,
solo lui è vero aiuto e difesa;
la Chiesa si affidi al Signore,
solo lui è vero aiuto e difesa;
ogni uomo si affidi al Signore,
solo lui è vero aiuto e difesa.
Il Signore ci conosce per nome,
ci benedice con amore di Padre:
beati voi poveri e miti,
voi uomini puri di cuore;
beato chi soffre e perdona,
chi ama e riscatta i nemici.
Beato chi vuole giustizia,
chi costruisce con tenacia la pace;
beato chi ha cura dell’ultimo,
chi spera e insegna a sperare;
beato chi ha cuore e coraggio
d’esser uomo e non uno schiavo.
Dagli idoli e miti dell’uomo
viene morte, sangue, dolore
e bestemmie che salgono al cielo.
Dai credenti e dagli uomini onesti
viene vita, gioia, fiducia
e una lode incessante al Signore.
(Sergio Carrarini, Salmi d’oggi, salmo 113b)
“Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me”. Questa frase del Vangelo di oggi è la sintesi di quello che è una buona parte delle persone di oggi che si dichiarano cristiane. Si parla in un modo e ci si comporta all’opposto. Essere coerenti è un duro lavoro.
Riguardo al socializzare tra clienti e cassiere: sono cassiera in un cinema, io e le colleghe, quando l’afflusso di gente ce lo permetteva, salutavamo quasi tutti, pochi clienti ricambiavano, ma devo confessare che anche noi a volte non salutiamo, per pigrizia, perché abbiamo un problema, perché il lavoro è una monotona routine. Ma quando riapriremo, Grazie all’accento posto da don Stefano, cercherò di salutare,o almeno fare un sorriso, sempre.
Io ho trovato un’isola felice. Il mio farmacista è premuroso,attento, ti ascolta e ti suggerisce il rimedio spesso chiedendoti che cosa hai in casa. Poi sono stata nel mio piccolo negozio dove Elisa, così si chiama la proprietaria che vedova di occupa del negozio per andate avanti, ti controlla sempre le scadenze, ti fa presente che quel prodotto va bene se lo consumi subito altrimenti te ne offre un altro. In cartoleria ho trovato una giovane signora che per cambiare un refil mi ha regalato una molla cercandola! Sono tornata a casa in ritardo,ma contenta di essere viva.
È successo proprio stamattina durante l’adorazione in una chiesetta del mio paese.
Un tonfo. Il piccolo gruppo di persone raccolte in preghiera si gira di colpo rendendosi conto che una signora ha avuto un malore ed è caduta a terra proprio davanti a Gesù esposto.
Bello vedere come tutti si sian dati da fare: chi ha soccorso immediatamente la signora che fortunatamente non ha mai perso conoscenza; chi ha chiamato il 118 e i parenti. Ma la cosa che più mi ha stupito (e forse non dovrebbe) è l’amorevolezza con cui è stata “accudita” in attesa dell’ambulanza.
Mi piace pensare che in quei momenti in cui il nostro sguardo non era più rivolto a Gesù, Lui abbia guardato noi.
Ce la possiamo fare a cambiare.
Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te…
Parola e(è) Vita…
Donare un sorriso rende felice il cuore. Arricchisce chi lo riceve senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante, ma il suo ricordo rimane a lungo.
Nessuno è così ricco da poterne fare a meno né così povero da non poterlo donare. Il sorriso crea gioia in famiglia, da sostegno nel lavoro ed segno tangibile di amicizia.
Un sorriso dona sollievo a chi è stanco, rinnova il coraggio nelle prove, e nella tristezza è medicina.
E poi se incontri chi non te lo offre, sii generoso e porgigli il tuo: nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come colui che non sa darlo.
F. Faber
Da giovane ho fatto prima il facchino (allora la preparazione dei sacchetti con la spesa del cliente e il portarli fino alla macchina era il nostro compito!) e poi la cassiera in un grande magazzino. Il cliente che ti faceva sudare per trovare la moneta per dargli il resto faceva “inversare” tutta la giornata e viceversa quello che cercava il fondo alla borsa per trovare le monetine ti faceva sorridere per qualche ora. Da allora tengo da parte la moneta, anche se di questi tempi non serve più. Però devo dire che in genere i commessi rispondono ai miei saluti e al mio sorriso. L’abitudine che ho preso da mio marito di ringraziare sempre in modo amplificato (grazie molte) anche per cose dovute generalmente risveglia l’altro dall’apatia dell’abitudine e del saluto automatico. È vero che in questi periodi manca il sorriso. Ma possono sorridere anche gli occhi… su con il morale, probabilmente là dove sei sono un po’ particolari. Buona giornata e buon ritiro.
Se vi può consolare io chiacchero abbastanza cominciando col saluto e poi una cosa tira l’altra tanto che la cliente o il cliente dietro ti guardano male nonostante la cassiera faccia andare lo stesso le mani… mi è capitato una signora che ha fatto notare alla cassiera che il suo compito era lavorare, facendo diventare rossa lei e io di rabbia, considerando che ‘ste poverette per andare in bagno devono chiedere il cambio… ho pensato… io ho lavorato in catena…un giro in fabbrica lo farei fare a tanti… per cui non tutto è perduto. Magari bisogna proprio scoprire il vaso di Pandora e chissà che esca anche la buona educazione. Ciao
Beh ma sai che anche prima della pandemia questa cattiva abitudine serpeggiava già un po’… Magari piú latente. Ma anche al Donizetti, dove svolgo la mansione di maschera di sala (ovvero il personale che si occupa dell’assistenza agli utenti), ci era già capitato qualche sporadico caso di utenza che, ignorando il consueto saluto d’ordinanza (magari perché ritenuto ormai “di prassi” quindi ignorabile…? Bah!) proseguiva dritta verso il proprio posto. Poi per contro ci sono sempre stati, e ci sono fortunatamente ancora, utenti attenti ed accorti, che non solo salutano, ma chiedono opinioni rispetto al programma della stagione. Quelli che poi a Natale lasciano un panettone con spumante “per le maschere” ai colleghi del guardaroba con un biglietto di ringraziamento per tutti. Sarà un po’ per la mia spontanea espansività, ma anche un po’ per sver toccato con mano la bellezza di scambi di questo tipo, che mi ostino a salutare sempre, talvolta anche sconosciuti che incrocio per strada e con lo sguardo. Non si perde altro che un po’ di fiato, ma si può guadagnare la bellezza di un sorriso condiviso.
Rivolgere il saluto è praticamente l’unico esercizio per me, rimasto vivo in questo tempo, sia a distanza che virtuale.
La scorsa settimana, in ufficio, ho fatto i complimenti ad un signore che salutandomi si è tolto il cappello,un meraviglioso Borsalino.
Mi basterebbe un semplice saluto, che a volte non arriva, neppure se lo ribadisci, e ci rimango male.
Ma insisto,così pure le mie colleghe.
Sono casi sporadici ma non dobbiamo abituarci, così come entrare con cappuccio alzato sulla testa e occhiali da sole, aggiungete poi la mascherina, ma con chi sto parlando?