Una Parola che agita le acque
Martedì – quarta settimana di Quaresima
(Ez 47,1-9.12 / Sal 45 / Gv 5,1-16)
Ad un certo punto si inizia a leggere il Vangelo di Giovanni. Proprio come succede durante la Quaresima. All’inizio un mescolarsi di parole e fatti di Vangelo presi dai Sinottici (Matteo, Marco e Luca), poi i racconti e – direi – gli incontri del Quarto Vangelo. Il Vangelo di Giovanni è una riserva speciale. Quel suo quarto posto nell’ordine dei Vangeli, sembra penalizzarlo. Ci manca poi che qualcuno pensi che sia un testo più difficile! Ma per grazia, in alcuni momenti precisi dell’anno, siamo immersi negli splendidi racconti giovannei e ogni volta la percezione è proprio quella di un incontro vivo.
Il brano alla piscina di Betzatà (che significa «casa di misericordia») ha incuriosito da sempre anche l’archeologia biblica. Date le coordinate abbastanza precise che Giovanni fornisce è stato un attimo individuare il punto in cui cercare. Molto più di un attimo invece il tempo per riportare alla luce ciò che di quel luogo-segno rimane: la profondità delle vasche è assi impressionante. Del resto si sa: l’acqua al Tempio non doveva mancare dato l’elevato numero di sacrifici animali che vi si compivano ma anche per tutti quei riti di purificazione necessari per accostarsi al Tempio stesso.
Accanto a quelle acque, c’era pure un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Per effetto di cosa si agitassero quelle acque non c’è dato saperlo. Forse l’apertura di chiuse per far entrare acqua nuova? Forse c’era davvero una risorgiva che da sotto terra spingeva fuori acqua? Forse un soffio di vento che increspa appena la superficie… fatto sta che di quelle precise acque si credeva fossero agitate per effetto di un intervento divino: un angelo mandato appositamente a tale scopo. È l’acqua che porta in sé il segno forte della vita, ma anche della morte. Volontà di nascere, di rinascere o rischio di annegare, d’essere travolti.
«Vuoi guarire?». Che scoperta! verrebbe da dire a Gesù stesso e la domanda sembra apparentemente irriverente. Chiedere ad una persona che da trentotto anni è in condizione di infermità se voglia guarire sembra davvero una domanda retorica. Ma, Gesù, che sa bene cosa c’è nel cuore dell’uomo, inizia proprio con quella domanda. E la risposta lagnosa del malato ci lascia intendere che Gesù ha già toccato un punto nevralgico che non è tanto legato alla volontà quanto piuttosto al non crogiolarsi in quel male, al non entrare in strane dinamiche. Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». La risposta del paralitico sembra proprio darci conferma che l’uomo, non solo non riesce ad entrare nella piscina, ma neppure riesce ad uscire da quel loop che lo porta a piangere il fatto di non avere nessuno che lo immerga. E poi c’è sempre qualcun altro più fortunato di lui. Sono dei loop mentali incoscienti, sono delle paralisi dello spirito. Cos’è un loop mentale? Il loop mentale è un particolare stato in cui il cervello è occupato da pensieri fissi e ricorrenti che garantiscono un funzionamento al minimo indispensabile per la sopravvivenza.
Come se ci accomodassimo e… va bene così! Anche se sappiamo benissimo che così non va. Come se ci rassegnassimo anche se sappiamo bene che quello non è vivere. Come quando diciamo: «E io cosa ci posso fare?» o come quando ci sentiamo uno dei tanti. Come quando dicamo: «Cosa vuoi che sia?» ma se tutti fanno quel ragionamento, la somma di tutti quei «cosa vuoi che sia» fa davvero un danno maggiore! Insomma la domanda di Gesù non è né retorica né banale. Essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. (Ebrei 4,12).
L’incontro con Gesù, con la sua Parola, con quella domanda che per noi sembrerebbe così banale o assurda, farà lo stesso effetto dell’acqua. Quella domanda agiterà le acque interiori di un uomo che già ristagna ai bordi dell’esistenza. Tant’è che non ci sarà nemmeno più bisogno di buttarsi o essere immerso nell’acqua della piscina. Verrebbe quasi da dire che oggi c’è maggiormente bisogno di una domanda che ci metta in crisi, che agiti le nostre acque di rassegnazione, che risvegli in noi la coscienza di ciò che siamo realmente, di ciò che vorremmo oltre ogni adattamento.
Anche questo è il Vangelo di Giovanni che, in principio, dichiara subito «In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio. La Parola era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lei e senza di lei nulla è stato fatto di ciò che esiste. In essa era la vita». Quella Parola di Gesù pronunciata davanti a quell’uomo paralitico produce lo stesso effetto dell’angelo che, si credeva, scendesse ad agitare le acque. La Parola che ci interroga è messaggio divino… come tutti gli angeli che nei Vangeli restano presenti qua e là, ma solo quali messaggeri, portatori di buone notizie e di consolazione.
Nella seconda parte del racconto, c’è un’altra domanda: «Chi è stato?» Chi è stato a dirti «prendi la tua barella e cammina?». C’è qualcosa di singolare che accade. Era un sabato e Giovanni ce lo dice a guarigione avvenuta proprio per non influenzare già in partenza il nostro ascolto. Avremmo, sapendo delle regole sabbatiche, inteso semplicemente il gesto come illecito, cosa che ci autorizzerebbe subito a collocare Gesù tra il numero dei povero perseguitati. Ma Giovanni non racconta solo questo segno evangelico per farci sapere che fin dall’inizio Gesù non è visto di buon occhio dai Giudei e non solo.
Ascoltiamo bene cosa succede: in giorno di sabato – come sappiamo – ci sono cose che si possono fare e alte no. Ma qui l’accento cade su ciò che è detto: «Chi è l’uomo che ti ha detto?». Stranamente la questione non verte più sull’azione, su ciò che s’è fatto (perdere la barella e tornarsene a casa) ma su chi s’è permesso di liberare un uomo per effetto di una Parola. «Che Parola è mai questa?» dovremmo anche noi chiederci più spesso. E che forza ha la Parola che smuove le nostre acque stagnanti e ci rimette in piedi? Per altro, intendiamoci: scrivo Parola con la maiuscola perché certamente intendo riferirmi alle parole di Gesù, alla Parola di Dio, al Vangelo stesso. Ma scrivo Parola con la maiuscola anche perché la Parola è propria dell’Uomo. E pure Uomo meriterebbe una maiuscola.
Signore, Tu ci vedi e ci ascolti.
Tu conosci ciascuno e ciascuna di noi
meglio di quanto noi conosciamo noi stessi.
Tu ci ami, ami noi che non l’abbiamo meritato.
Tu sei il Salvatore di una povera umanità smarrita,
per questo ti ringraziamo e ti lodiamo.
(Karl Barth)
Ketil Bjørnstad & David Darling, Le Jour s’endort, Epigraphs
Dal Vangelo secondo Giovanni (5,1-16)
Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.
Signore, la tua Parola mi dona la vita: aiutami a rendermene conto!
Ti ringrazio per il dono della vita, con le sue ricchezze e povertà.
Concedimi di accoglierti e di diventare sempre più tuo figlio.
Signore, io sono sempre nel tuo pensiero, nel tuo cuore.
Aiutami a scoprire il senso delle mie giornate
nell’amore che Tu mi doni e che mi chiami a vivere.
Fammi comprendere quali sono le situazioni della mia vita
che hanno bisogno di essere illuminate da te.
Fa’ che non mi rassegni di fronte alle tenebre
dalle quali mi sento circondare
e che tante volte minacciano anche il mondo.
Aiutami a crederti compagno della mia vita in ogni momento:
nella sofferenza, nel peccato, nella gioia.
Perdonami quando non ti permetto di fare una tenda nella mia vita.
Aiutami a capire cosa significa concretamente
farti un posto nella vita, nella mia carne,
nei miei giorni, nella mia fragilità.
Amen.
(Salmo 4, parafrasi di Sergio Carrarini)
Grazie per questa lezione sulla Parola di Gesù e sull’Uomo. Dio è già in noi e la Parola di Gesù è la Luce per trovarlo.