… perché per amare bisogna essere in due
Mercoledì – quarta settimana di Quaresima
(Is 49,8-15 / Sal 144 / Gv 5,17-30)
«… Perchè per amare bisogna essere in due». Leggendo il libro «La storia di tutto» di Giovanni Nucci, più volte ritorna questa espressione. La si trova all’inizio quando si parla della creazione dell’uomo. Poi subito in riferimento all’amore che unisce Išh e Išha, il terrestre e la terrestre, Adamo ed Eva. Poi, proseguendo la storia, lo si dice di Abramo e suo figlio Isacco, il figlio che Dio gli aveva dato a conferma di una promessa che gli pareva di così improbabile realizzazione. E ancora lo si dice in riferimento al perdono che Giuseppe offre ai suoi fratelli come si regalano sacchi di grano a chi conosce la carestia.
Per tutto il resto del libro, di tanto in tanto torna questo ritornello e così, pagina dopo pagina, fino a Gesù, il Figlio. Senza dimenticarci della parabola del Padre misericordioso, dove in modo brillante si coglie il dispiacere del padre quando il figlio maggiore, fratello di colui che s’era perduto fin quasi a morire. non vuole comprendere che anche per dirsi fratelli occorre essere almeno in due. Un figlio era come morto ma torna alla vita nel tornare a cercare la relazione con il padre, l’altro figlio è pure lui a rischio di morire perché rinchiuso in un legalismo incapace di vedere nell’altro più che un invidiabile antagonista, un fratello grazie al quale si è strappati dalla solitudine del figlio unico.
Gesù si presenta come Figlio unico di Dio. In terra ha bisogno di un padre secondo la Legge e ai suoi discepoli dirà: «uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). Nel vangelo di Giovanni, oltre alla questione del sabato (già presente negli altri Vangeli) sabato così spesse volte infranto, c’è un’aggravante nell’accusa che viene mossa a Gesù e che sarà il motivo della condanna: chiamava Dio suo Padre (Gv 5,18).
A guardare Gesù davvero si coglie chi è il Padre. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, aveva già detto Gesù parlando con Nicodemo (Gv 3, 16). Una buona parte della crescita di un figlio avviene per imitazione. A volte in modo quasi inconsapevole fino al giorno in cui ti trovi davanti ad un figlio che ripete le stesse tue parole, un gesto, un modo di fare… basta vedere come fa un bambino quando vuole fare come i grandi: ad un certo punto vuole essere messo alla stessa tavola. Perfino quella mensola applicata al seggiolone che tanto delimitava il suo mondo commestibile diventa un ingombro fastidioso quando vede che più in là c’è una tavola più grande, unica. E poi vuole pure un suo bicchiere da prendere con le proprie mani… e perfino il bicchiere con due manici che gli permettevano di afferrarlo ad un certo punto non è più così bello, perché più bello è il bicchiere in vetro come quello di mamma e papà. E poi, quando vede i grandi che fanno un brindisi alla vita nei giorni di festa, lui pure non smetterebbe di ripetere all’infinito quel gesto dal quale coglie la comunione, la gioia da un tintinnio di vetri e quel desiderio di bene e di vita che si materializza proprio in quel segno di festa. Anche per le posate si dica la stessa cosa: quelle ergonomiche per bambini ad un certo punto vengono gettate via perché si vogliono quelle dei grandi. E ovviamente dicasi per il cibo. È bello assaggiare il mondo, comprendere ciò che è buono e fa bene, attraverso il cibo.
E fu per questo che il Figlio di Dio, i peccatori, Lui, li portava sempre a tavola. Perché gustassero com’è buono il Signore (salmo 33) e perché, imparando a mangiare alla maniera di Gesù, diventassero figli della stessa tavola, e fratelli di quella comunione.
Una madre mette al mondo il figlio. Il padre poi ha il compito di introdurlo nel mondo, di portarlo fuori. La madre per far nascere un figlio deve spingerlo fuori. È il figlio stesso che vuole uscire. E sarà già volte così. Il grembo, che prima era tanto comodo da galleggiarci, comincia ad essere stretto e la madre non ha che assecondare con dolore quel desiderio di venire al mondo. Il padre, che con la madre ha costruito la casa, ad un certo punto dovrà accompagnare il figlio nel mondo (… ma quale mondo?).
«Che lavoro fa il tuo papà?». Il mio papà – sembra dire Gesù fin da bambino – da’ la vita. È un creativo, un creatore. Dice, comanda e tutto esiste. Il Figlio era già presente – dice la teologia – quanto Dio si faceva conoscere come il Creatore di ogni cosa. Il padre secondo la Legge, Giuseppe, anche lui a modo suo era un creativo, un factotum. Colui che costruisce un tavolo con le sedie, un letto o una credenza, ma che sapeva anche dare al figlio la gioia di sapere che il suo papà può aggiustare qualcosa che s’è rotto, s’è guastato. E il figlio parlava di misericordia, metteva insieme i pezzi di vite infrante, spezzate, sepolte.
Come nel profondo di ogni essere umano, così Gesù portava dentro questa grande nostalgia: di Un Padre il cui lavoro è sempre chiamare alla vita. Un lavoro infinito, eterno, che non avrò mai fine. Ed è per questo che se lo sentite parlare di vita per Lui, questa è sempre e solo eterna. Avrebbe voluto gridarlo ai quattro venti. Vedeva la vita nella bellezza dei fiori, nella libertà degli uccelli del cielo. Di una vita così ne avrebbe parlato – dicono – perfino ai morti!
Ogni giorno, si ritirava in preghiera per sentire la voce di suo Padre, per sentirsi chiamato alla vita, incoraggiato a stare nel mondo in un certo modo. E poi Lui, il Figlio, se ne andava in giro per il mondo, senza neppure un luogo dove posare il capo (Mt 8,20) a cercare fratelli, consapevole com’era che laddove ci sono fratelli c’è casa, pane e amore. Perché per amare bisogna essere in due… è tutto il suo Vangelo.
Signore Dio e Padre di tutti,
rendici forti nella fede e limpidi nell’amore.
Scalda i nostri cuori e le nostre lingue
per risvegliare la fraternità.
Anche se il nostro sguardo non penetra nei tuoi piani,
Tu ci conduce dalle tenebre alla Luce,
e ci riveli ciò che è nascosto.
Perciò vogliamo cantare con gioia,
Dio amante della vita,
Padre di tutti i tuoi figli, una moltitudine di fratelli.
Amen.
Sokratis Sinopoulos Quartet, Eight Winds (variation), Eight Winds
Dal Vangelo secondo Giovanni (5,17-30)
In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati.
Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.
In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno.
Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.
Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.
Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.
(salmo 144)
Se per amare bisogna essere in due (serve necessariamente chi ama e qualcuno o qualcosa da amare), affinché l’amore sia generativo occorre però corresponsione. Non basta che io ami, serve che vi sia risposta a questo amore per creare una conoscenza, un’amicizia, un’unione…per dar vita. Anche Gesù ha bisogno di noi per amarci e portare il Suo Amore, anche se ci ha dimostrato, a costo della Sua vita, che si può amare nonostante tutto: i rifiuti, l’indifferenza, gli insulti, lo scherno, la flagellazione e la peggiore delle uccisioni, perché inflitta ad un innocente.
“Dolce sentire come nel mio cuore ora e umilmente sta nascendo amore…”, possa essere così con il risveglio della primavera, possa essere così sempre… Amare sopra ogni cosa, perché dopo l’ascolto viene l’amore.
“Una buona parte della crescita di un figlio avviene per imitazione”… Per questo noi genitori abbiamo un compito bello e impegnativo da portare avanti, consapevoli che tutto quello che facciamo o diciamo è ricordato dai nostri figli, che non mancano di farci notare se non siamo stati coerenti tra quello che abbiamo detto e fatto.
Per amare è necessario si essere in due, succede a volte però che uno dei protagonisti ami l’altro ma non viceversa. Accade a noi e sappiamo quanto può essere triste, accade a Dio, spesso, lui ama noi ma non tutti amano Lui, per cui immagino la sua tristezza. E una domanda mi assilla da sempre: come ha potuto Dio amare così tanto l’adama’ da permettere che suo figlio morisse. Un giorno ho avuto una risposta da un frate: Dio non ha voluto la morte di suo figlio, Gesù è stato ucciso perché i sacerdoti temevano di perdere denaro e potere, in quanto Gesù ha rivoluzionato il modo di perdonare: niente sacrifici, niente offerte, ma solo l’ amore del Padre dona il perdono.