Opere da riconoscere
Venerdì – V settimana di Quaresima
(Ger 20,10-13 / Sal 17 / Gv 10,31-42)
Portiamo un’impronta divina, ma non sappiamo dire con esattezza se questa traccia è nel corpo o nell’anima. Poi ancora ci sarebbe da fare un’ulteriore distinzione tra anima e spirito. Potremmo pure parlare di coscienza. E poi ci sono le opere che compiamo, le quali, senza un corpo non potrebbero essere fatte. Ci percepiamo – e sono immagini di antica sapienza biblica – come vasi modellati dalle mani di un vasaio. Ci percepiamo così quando ci sentiamo pieni, ricolmi, felici e appagati. A volte questo vaso è al culmine anche di pazienza o di sentimenti ingombranti, fastidiosi. Ed è lì che vorresti svuotarlo. Ci sono giorni in cui invece ci si sente svuotati, impoveriti, esausti. A prescindere da cosa potessi aver dentro. Sono proprio queste percezioni di sé, questi stati di pienezza o di svuotamento che sembrano naturalmente suggerirci l’immagine di noi stessi come di un’opera modellata a regola d’arte, da amore umano… ma non solo. M’è capitato di vedere con i miei occhi prendere forma oggetti, stoviglie di uso quotidiano tra le mani del vasaio: c’è forza che preme il giusto necessario per togliere dall’informe, per lasciar intravedere una forma che poi andrà, con dolcezza, affinata, levigata, ripulita da ogni impurità o scoria.
Nel secondo libro dei Maccabei, si legge: «È giusto sottomettersi a Dio e non pensare di essere uguale a Dio quando si è mortali!» (2 Mac 9,12). Parole scritturistiche che venivano lette nei giorni di festa al Tempio. La ascoltavano i farisei, i Giudei. Le ascolta anche Gesù. La grandezza stessa del Tempio, l’imponenza di quell’edificio, l’ampiezza dei suoi cortili, il Vuoto del Santo dei Santi che si riempiva una volta l’anno di un Nome che probabilmente faceva risuonava di Misericordia la terra intera, tutto doveva suggerire questo senso di sottomissione e di piccolezza. Impossibile dunque pensarsi uguali a Dio quando si è mortali. Se poi quel pensiero fosse stato pure esplicitato ad alta voce, ecco l’accusa: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Le tensioni tra Gesù e i Giudei sono al culmine. I sassi nelle mani per lapidare Gesù non dicono nulla di Lui. Attestano piuttosto dei loro cuori ormai induriti come pietre, raccontano che l’uomo è pure capace di compiere opere cattive. Le opere di Gesù furono opere buone. Venivano da Dio perché Egli stesso si propose in Terra come un Figlio che ripeteva ciò che aveva visto fare dal Padre, quasi per un innato senso di imitazione.
Certo – non si discute – la natura è creaturale, mortale. Ma certe opere portano indubbiamente l’impronta divina. E la diatriba coi Giudei verte tutta attorno a questa questione, come se delle creature mortali non potessero compiere opere che si potrebbero perfino riconoscere come azione stessa di Dio in noi. E così, quell’operato fatte nel tempo da creature mortali, dovrebbero essere più manifestamente riconosciute e salutate come portanti l’impronta di Dio. È questo che noi non crediamo a sufficienza. E Gesù lo dirà ancor più chiaramente: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1). Lo dirà parlando ancora una volta di certe opere che si devono compiere. E poi aggiunse: «In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre» (Gv 14,12)
La domanda potrebbe essere, se volete, anche molto diretta: possono gli uomini compiere le opere di Dio? C’è indubbiamente una condizione necessaria: scoprirsi figli di Dio e guardarsi come tali, come quando al mattino ti guardi allo specchio e ti prepari per la giornata sistemandoti per essere presentabile agli altri. Questa cura, oggi possiamo dirlo, non ci manca. Pregare al mattino – è ancora una di quelle opere che si insegnano? – sarebbe proprio riconoscerci al risveglio come figlio di Dio. Detto questo nel proprio intimo, si può uscire nel mondo per compiere, a nostra volta, quelle opere che potrebbero far sentire il Padre più presente già qui, in mezzo a noi, accanto ai suoi Figli. E così parlava anche del Suo regno: è in mezzo a voi, dentro. Dentro per esserne ricolmi. Dentro perché, riempiti, possiamo tracimare.
Da giorni ascoltavo al telefono un Uomo il quale si diceva quasi dispiaciuto che il nostro corpo, nascendo qui sulla Terra, non fosse accompagnato come tutte le cose che funzionano a meraviglia – ma che possono pure guastarsi – d’un vero e proprio «manuale delle istruzioni». Perfino gli stessi genitori sembrano faticare sempre più a dare ai figli, istruzioni per vivere molto ben oltre i bisogni primordiali. È un tempo, il nostro (o forse è sempre così il tempo?) dove mancano le visioni, sguardi profondi che scrutano nella notte. Uomini che cercano nel profondo guardando in alto, perché tutto quello che il Padre ha detto e fatto, possa ancora riversarsi in ciascuno di noi. «Perché sappiate e conosciate – disse Gesù – che il Padre è in me, e io nel Padre».
Vieni, o Spirito di fuoco:
dischiudi in noi la nuova vita
che fai germinare sulla terra.
Guidaci alla maturazione dell’amore:
dolcemente e tenacemente,
come il grano che matura nei campi.
Infrangi la paura che separa la Terra dal Cielo:
aiutaci a comprendere che la terra è la tua manifesta dimora,
che Gioia e Luce sono raccolte nel cuore degli esseri.
Caix d’Hervelois, Pièces de viole avec la Basse-Continue, (Jordi Savall, viola da gamba)
Dal Vangelo secondo Giovanni (10,31-42)
In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.
Una sola cosa ti chiedo, Signore
solo questa mi interessa veramente:
gustare con la mente e con il cuore
il messaggio che Gesù ci ha rivelato.
La sua Parola meditata ogni giorno
e l’Eucarestia che allieta le feste
sono la sorgente e la forza inesauribile
di una vita vissuta nella fede.
Dio è riparo, appoggio e consolazione
nei momenti di lotta e di prova;
Dio è libertà, coraggio e fedeltà
per ogni scelta di amore e servizio.
Leggendo le riflessioni e spiegazioni di don Stefano mi colpiscono spesso delle sincronie con la mia vita personale.
Stavo proprio pensando alla sensazione che mi danno i miei manufatti quando dipingo o faccio ceramiche: ognuno poi lo considero un pezzo di me,a volte anche con amore possessivo,ma mi piace più che altro condividere e comunque sento questi miei “prodotti” che magari regalo(venderli mi mortifica,lungi dal carezzare il mio orgoglio) come regali che io stessa ho ricevuto.
La gratitudine per la vita,per i talenti,per le relazioni illumina tutto di una immensa luce.
ESSERE PICCOLI STRUMENTI NELLE SUE MANI MI FA SENTIRE AMATA.
Quanta fatica si fa -ma davvero!- a riconoscere il riflesso dell’opera divina, soprattutto nelle fatiche, nelle difficoltà. E di certo finché restiamo fissi a guardare solo i garbugli che, pur legittissimamente, attirano tutta la nostra attenzione, facciamo anche più fatica a notare il bello che -poco o tanto- c’è comunque intorno a noi, per noi. Perciò ad un certo punto mi sono imposta di iniziare la giornata ringraziando Dio. Che poi viene anche abbastanza facile quando tiri su le tapparelle e guardi fuori nel giardino e vedi frotte di uccellini già al lavoro, belli freschi e cinguettanti. Loro pure, nel loro piccolo, avranno le loro giornate sí e le giornate no… Eppure io m’incanto a guardare la loro bellezza ed eleganza, senza fronzoli e accessori, frutto “al naturale” di una forza creatrice che non può che essere d’amore.