Venire alla Luce… infinito umano
(At 4,23-31 / Sal 2 / Gv 3,1-8)
Di Nicodemo sentimmo parlare proprio nel racconto della passione di Gesù. Era il Venerdì santo. Assieme a Giuseppe d’Arimatea andò da Pilato per chiedere il corpo di Gesù e poterlo seppellire. Scrive l’evangelista Giovanni: «Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei» (19,39-40)
«La Scrittura si spiega con la Scrittura», dicevano i Padri. Come mosse da un sottile vento dello Spirito si sfogliano le pagine del Vangelo, non fosse altro che per questi rimandi a fatti o persone che ritornano diverse volte lungo il racconto. Nicodemo si discosta molto dagli atteggiamenti dei farisei e dei capi dei Giudei. Pur appartenendo a questi gruppi che nel Vangelo di Giovanni assumono connotazioni sempre più ostili nei confronti di Gesù, Nicodemo mantiene – diremmo oggi – una sua libertà di pensiero. Non si nasconde nel gruppo per cercare forza e rimanere anonimo. Egli è attratto della Luce che di notte risplende ed attira a sé. Si avvera così quanto Giovanni scrisse nel Prologo: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. […] Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,9.11-13)
Nicodemo raffigura bene l’uomo che è in ricerca, che non si accontenta di nascere e crescere secondo la carne, secondo leggi fisiologiche o biologiche. Nicodemo è l’uomo che ha custodito questo infinito-umano desiderio di venire alla Luce.
Qui da noi, i più piccoli della Comunità lo hanno imparato ormai bene. Ogni tanto mi permetto soltanto di accertarmi che sia ancora custodito in loro il senso di certe espressioni che assumono significati sempre più profondi. E così chiedo: «Nascere si dice anche…?» «Venire alla luce» rispondono loro. «E morire…?» «Consegnare lo spirito» dicono. Lo hanno compreso bene mi pare. Col tempo, crescendo, spero si ricorderanno di questi due impegni: venire alla Luce e consegnare lo spirito. Per far sì che due fatti puramente umani – nascere e morire appunto – assumano un significato non riconducibile a due eventi puntuali come fossero due date su una lapide. Venire alla Luce e consegnare lo spirito sembrano proprio esercizi dell’anima da farsi ogni mattino e ogni sera. Ogni istante.
La Luce fu prima ancora del Sole, della Luna, di tutte le stelle e di tutte le sorgenti luminose. Venire alla luce non è solo nascere dal grembo di una donna una volta per tutte. Venire alla luce è seguire Gesù come simbolicamente facciamo ogni anno nella grande Veglia pasquale. La liturgia ha questa forza di riassumere con dei segni e dei simboli ciò che è vero per l’umano ma pure ciò che, illuminato dall’alto, acquista una nuova luce. Proprio ieri, invitando la Comunità a fissare lo sguardo al segno del Cero pasquale, invitavo a riflettere a come la vita dell’uomo si consumi tra due fuochi: ci sono fuochi che accendiamo in terra per scaldarci, per illuminare la notte e difendersi dalle insidie, per cuocere vivande. Così proprio nella notte di Pasqua abbiamo benedetto fratello Fuoco per queste sue funzioni primitive. Ma poi abbiamo acceso quel Cero e come illuminati da un fuoco che veniva a noi dall’alto, ci siamo messi in cammino. E ci siamo sentiti, nel corso di quella notte, rinascere come figli di Dio. Lo Spirito è fuoco disceso a noi dall’alto, come ascolteremo nella solennità di Pentecoste a chiusura del tempo di Pasqua.
E accanto alla simbologia della Luce e del fuoco, si accosta quasi paradossalmente la simbologia dell’acqua, liquido amniotico per chi nasce secondo la carne e liquido battesimale per chi vuole conoscere Dio e lo scoprirà, alla luce del Figlio di Dio, come Padre di tutti. Sono giorni, questi del tempo pasquale, da non sprecare ma da utilizzare per rileggere tutto ciò che siamo e ciò che desideriamo essere, diventare sempre più.
Nicodemo, quasi fosse un diplomatico, si avvicina a Gesù utilizzando l’espediente della lusinga: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gesù, il Figlio di Dio venuto a noi come un dono, Colui che cammina inseguendo lo Spirito, invita subito Nicodemo ad orientare lo sguardo verso l’Alto. Un alto che non sa di supremazia, un alto che non rimarca la differenza con chi è piccolo. «Alto» pare piuttosto coincidere con ciò che noi chiamiamo profondità, con una statura spirituale che non si può misurare. È, in fondo, quel desiderio di assomigliare a Gesù, di avere i suoi sentimenti, di raggiungere la sua statura, la sua maturità. E allora, solo alla fine, inseguendo anche noi lo Spirito, potremo scoprirci quali figli di Dio.
Scrive Giovanni, nella sua prima lettera: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! […] Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,1-2)
O Padre, che per mezzo del tuo Figlio
ci hai comunicato la fiamma viva del tuo fulgore,
accendi in noi il desiderio del cielo,
perché, rinnovati nello spirito,
possiamo giungere alla festa dello splendore eterno.
A noi che, rinnovati dai sacramenti pasquali,
abbiamo abbandonato la somiglianza con il primo uomo,
concedi di essere conformati alla tua immagine di creatore.
Per Cristo, nostro Signore. Amen.
(dalla liturgia)
Dal Vangelo secondo Giovanni (3,1-8)
Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
Marco Frisina, Alto e glorioso Dio (San Francesco), canta Frate Alessandro Brustenghi, tenore
Alto e glorioso Dio
illumina il cuore mio,
dammi fede retta, speranza certa,
Carità perfetta.
Dammi umiltà profonda,
dammi senno e cognoscimento,
che io possa sempre servire
con gioia i tuoi comandamenti.
Rapisca ti prego Signore,
l’ardente e dolce forza del tuo amore
la mente mia da tutte le cose,
perchè io muoia per amor tuo,
Come Tu moristi per amor dell’amor mio.
Le letture di questi giorni mi paiono sempre incredibilmente calzanti rispetto agli eventi della mia vita, il che mi stupisce e fa sentire accompagnata al contempo. La nonna paterna negli ultimi giorni pare abbia deciso di “tirare i remi in barca”, il che scatena prevedibile apprensione in tutti noi che la seguiamo più da vicino. Rileggere oggi questo brano è un po’ come avere un promemoria della via da seguire. Noi per primi resettare un po’ i pensieri e dedicare un po’ di tempo all’esercizio spirituale di ricordarci il significato di “venire alla luce” e “consegnare lo spirito”, rinascere dall’alto per entrare nel regno di Dio.
Dopo la Sua infinita Misericordia il Signore non poteva farci dono più grande… Gesù consegnò liberamente il Suo Spirito e sempre liberamente lo fece discendere sui suoi discepoli, affinché fossero riconosciuti per le parole e le opere, pronunciate o fatte in verità e spirito.
Vieni Spirito Creatore a rinnovare la terra e a fare nuove tutte le cose e noi resteremo in docile ascolto del soffio del vento fresco con il quale giungi, non si sa dove e quando…