Luce e ombre. Gioia e tristezza.

(At 16,22-34 / Sal 137 / Gv 16,5-11)

Li invitò a rimanere uniti a sé, come tralci alla vite perché la vita, fraternamente vissuta, fosse testimonianza che l’amore è più forte della morte. Nessuno più di Lui si sentiva amato dal Padre e per questo seppe dare la vita per i propri amici. Queste cose le diceva perché potessero incamminarsi sulla strada che porta alla gioia. Anzi, quelle stesse parole che rivolgeva ai suoi veicolavano la gioia. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. (Gv 15,11). 

Imparò presto a nutrirsi non di solo pane ma di ogni parola che usciva dalla bocca di suo Padre: si nutriva di quegli insegnamenti ed era felicissimo di ripetere ai suoi discepoli ciò che ascoltava e imparava. E fu quello il modo di far comprendere che Dio era Padre: era provvido nel dispensare i suoi insegnamenti, i suoi precetti. Un padre non ha che questo da fare: insegnare al figlio il mestiere dell’uomo. 

Ai suoi discepoli cercò di spiegare chiaramente ciò che gli sarebbe accaduto. Parlava dell’odio del mondo: si sarebbe riversato tutto su di Lui. Della sua morte parlava come di un ritorno a casa, da suo Padre. Improvvisamente le sue parole sembravano non essere più fonte di gioia. Al contrario, a quelle parole la tristezza riempì ancor più rapidamente il cuore dei discepoli.

Difficile spiegare da dove veniva la durezza e l’odio che gli si rovesciarono contro. Probabilmente dal fatto stesso che non riuscivano a comprendere che Dio era Padre e che tutti sono suoi figli. E così l’odio del mondo si tradusse e si condensò nel gesto di chi vuole eliminare colui che ha svelato l’identità di Dio. Per difendere un Dio senza identità, senza relazione, decisero di mettere a morte un fratello, credendo di fare cosa giusta.

Un padre si sa, quando è pieno di premura per suo figlio, lo invita a stare molto attento quando esce di casa. E sono quelle prediche e quelle ramanzine tanto difficili da sopportare finché non s’è usciti dalla porta di casa. Eppure era tutta lì la fiducia del padre: sapendo cosa c’è nel mondo là fuori, il padre non trattenne il figlio come a proteggerlo e preservarlo. Lo mandò. Con una fede incredibile riposta nel figlio stesso. Il Padre era certo della sua Parola. Il Figlio comprese che la Parola nel rivelarsi, nel rendersi comprensibile, è essa stessa la lampada per i passi da compiere in un mondo ancora avvolto di tenebre. 

Mentre voleva colmarli di gioia vide i loro cuori riempirsi di tristezza. L’improvvisa tristezza dei discepoli fu come sfondo su cui la Parola poteva risplendere quale fonte di gioia, precisamente come la luce che per splendere ha bisogno delle tenebre. Una porta aperta sul giorno fa entrare la luce anche nella stanza più buia. E solo aprendola questa luce può entrare. Il  Padre, fatte le dovute raccomandazioni, accompagnò sulla soglia di casa il Figlio e aprendo la porta la Luce entrò nel mondo. 

Dove la Luce non passa appare un ombra lunga e scura, prova di un corpo opaco, che non s’è lasciato attraversare per nulla dalla luce stessa. E quando il sole è al tramonto, le ombre si fanno ancora più lunghe. Lo Spirito, vero protagonista e autore di ogni ascolto, ci fa udire la parola di Dio. 

Mi disse: «Figlio dell’uomo, àlzati, ti voglio parlare». A queste parole, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: «Dice il Signore Dio». Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro.
Ma tu, figlio dell’uomo, non li temere, non avere paura delle loro parole. Essi saranno per te come cardi e spine e tra loro ti troverai in mezzo a scorpioni; ma tu non temere le loro parole, non t’impressionino le loro facce: sono una genìa di ribelli. Ascoltino o no – dal momento che sono una genìa di ribelli -, tu riferirai loro le mie parole.
(Ezechiele 2, 1-7)

La Parola di Dio è spesso paragonata nella Scrittura alla dolcezza del miele. Eppure per molti è ancora amara. È l’effetto di una medicina. Ora il Figlio dovrà aiutare i suoi discepoli a comprendere che quella tristezza causata da una Parola vera si trasformerà nuovamente in gioia. Lo Spirito santo, di cui siamo riempiti nel momento in cui ascoltiamo la Parola, li convincerà che c’è un solo peccato al mondo: non credere in Gesù dopo averlo ascoltato. La sua presenza non visibile ai nostri orecchi è giustizia derivante dall’unica cosa che possiamo fare: ascoltarne la Parola e la testimonianza di chi ha toccato il Verbo della vita. Il giudizio poi è già pronunciato ed è rivolto non ai figli di Dio ma al principe del mondo, il Male stesso. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. (Gv 3,17)

Spirito Santo, Consolatore,
ovunque presente,
Tu ci sveli la verità dell’amore di Dio:
fonte di Vita, vieni e dimora in noi,
purificaci dal Male
e nel tuo Amore, guidaci a Dio.

Dal Vangelo secondo Giovanni (16,5-11)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore.
Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi.
E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato».

Ascolta, Signore, questa preghiera
che ti rivolgo al risveglio
mentre spalanco le finestre
e mi preparo un caffè.
Tu non guardi alla forma, Signore,
tu guardi, ascolti e capisci
questo martellare di pensieri
e questo mio cuore in affanno.
Tu conosci la realtà della vita.
Tu stesso hai provato e sofferto
la durezza di tanti rapporti
e l’impotenza a cambiare le cose.
So bene che detesti gli arroganti,
i disonesti, i furbi, i maneggioni
e le persone che cercano l’interesse
o il potere in barba alla giustizia.
Avrei voglia di calpestare, Signore,
tutti questi prepotenti mielosi
così tronfi del potere che hanno.
Ho tanta di quella rabbia, Signore!
Ma ancor più forte della rabbia
è la tentazione di essere come loro,
di contrapporre violenza a violenza,
di combatterli con le loro stesse armi.
Non devo, Signore, non voglio,
non posso tradire il mio impegno
e il lungo cammino di fedeltà
ai valori proposti dal Vangelo.
Per questo mi alzo per tempo
e ho bisogno di pregarti con calma
in questa casa di pace e silenzio
prima di iniziare il lavoro.
Guidami, Signore, in questo giorno
sulla via dell’onestà e della giustizia;
mantienimi saldo nelle scelte
e attenua, se puoi, le tensioni.
Dammi calma e padronanza di spirito
per contrastare l’arroganza sfrenata.
Le persone oneste e laboriose
torneranno ad essere stimate;
godranno nel vedere che il bene
prevale sul male e l’arroganza.
Sei tu la speranza del giusto
e il Vangelo la guida nelle scelte;
il tuo amore e la tua protezione
sono un rifugio per l’uomo di pace.
Benedici, Signore, tutti gli uomini
che vivono sulla faccia della terra;
benedici anche i credenti
che cantano le lodi del mattino.
Benedici le persone che incontrerò
in questo nuovo giorno,
benedici anche me, tuo discepolo,
e mantienimi in comunione con te.

(salmo 5, trascrizione di Sergio Carrarini)


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