Tu parli “amorese”? (cercasi traduttori simultanei)
Pentecoste
(At 2,1-11 / Sal 103 / Gal 5,16-25 / Gv 15,26-27; 16,12-15)
«Amorese» è un vocabolo che non esiste nella lingua italiana. Almeno per i grandi. È un vocabolo che non esiste in nessuna lingua del mondo. Per i piccoli invece – me l’hanno detto loro proprio ieri mattino durante il «Laboratorio della Parola» (un tempo di catechesi e preghiera attorno alla Parola di Dio per i piccolissimi, dai tre anni in su) – è la lingua che parlano gli amici di Gesù, i figli di Dio. Come si parla italiano, francese, inglese… e tutte le altre lingue del mondo, l’«amorese» pare agli occhi dei piccoli, la lingua degli amici di Dio, quando, pieni di Spirito santo, dicono e fanno cose nascoste fin dalla fondazione del mondo (Mt 13,35). A volte i piccoli se ne escono con certe trovate! Lo hanno detto dopo aver visto una mamma abbracciare il suo bambino. Nel più totale silenzio.
– «Avete capito?» chiedo io.
– «Sì!» rispondono concordi.
– «Cosa avete capito?»
– «Che si vogliono bene».
Dopo aver raccontato quanto accadde nel giorno di Pentecoste, cercavamo di capire quale potesse essere quella lingua nativa che tutti sono in grado di capire. «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». (At 1,7-11)
È la più grande opera di Dio sapere il mondo totalmente abbracciato dal suo Spirito. Fasciato, avvolto della sua Luce. Fin da principio. Ci sono messaggi che arrivano al nostro cuore ancor prima che impariamo a parlare questa o quella lingua. E anche chi avesse il dono di parlare molte lingue, se non conoscesse questa lingua nativa non sarebbe granché.
La nostra stessa esistenza è una parabola e noi crediamo che il suo culmine sia in quell’ascesa di autonomia e successo, di indipendenza e di affermazione. Quel desiderio di farsi un nome. Come accade nei giorni in cui gli uomini decisero di costruirsi una torre a Babele. E una gran confusione di lingue e di messaggi. E non sappiamo più ascoltare. Sempre più esperti nel cogliere un non detto che ascoltare quanto è detto.
Si cercano traduttori simultanei, gente disposta a proclamare con quanto si è in grado di fare, e forse in un modo più semplice ma ben determinato, con i propri talenti e carismi, ciò che Dio vuole far sapere al mondo. Questa grande riassetto dell’intero pianeta dopo la pandemia sembra un’enorme calibratura, una quadratura, una convergenza… operazioni quasi meccaniche da fare su macchinari che si sono inceppati. Almeno gli amici di Dio, in questo giorno di festa, non dimentichino che solo grazie allo Spirito di Dio noi possiamo proclamare le grandi opere di Dio, per gli uni e per gli altri: per chi è malato e per chi crede di essere sano, per chi è prostrato e per chi crede di camminare. L’opera di Dio – se n’è ampiamente riflettuto nel tempo di Pasqua – è che si creda in Gesù. L’opera di Dio è quell’umanissima via inaugurata da Gesù attraverso la quale noi possiamo rendere presente nel mondo il suo costante, permanente ed eterno amore. E se nella carne noi sentiamo piuttosto la debolezza, la fragilità, lo Spirito ci prepara alla Vita, ci istruisce e ci guida perchè arriviamo alla pienezza, alla maturità, alla statura di Cristo. L’«amorese» è la nostra lingua nativa, la nostra lingua madre. Lo sanno i piccoli. Ce ne dimentichiamo da grandi. Lo Spirito ce lo attesta e ce lo ricorda.
Vieni, Spirito santo,
invia dal cielo un raggio della tua luce.
Vieni, padre dei poveri,
vieni, portatore dei doni; vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto,
dolce ospite dell’anima, soave ristoro.
Riposo nella fatica,
frescura nella calura opprimente,
conforto nel pianto.
Luce forte di gioia,
penetra nel profondo il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza,
l’uomo non è nulla, non conosce salvezza.
Lava le nostre sozzure,
feconda l’aridità del nostro cuore,
guarisci le nostre ferite.
Piega la durezza dell’orgoglio,
riscalda la freddezza del cuore,
conduci chi sbaglia nel cammino.
Concedi ai tuoi fedeli,
che il Te solo confidano
i tuoi santi doni.
Dona il frutto di una vita santa,
dona salvezza finale, dona gioia perenne.
Amen.
Dagli Atti degli Apostoli (2,1-11)
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
Signore, sulle scogliere della nostra ragione;
più che nel caos delle origini
ora, come il vento che agita il mare,
si libri il tuo Spirito.
Il tuo Spirito faccia, Signore,
di ogni creatura un roveto,
e Tu della fiamme continua a parlarci.
(David Maria Turoldo)
Dal Vangelo secondo Giovanni (15,26-27; 16,12-15)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Tu non chiedi di amarti solo a parole!
Tu non ti accontenti delle nostre adesioni
del nostro plauso, del nostro consenso!
Per te l’amore è qualcosa di concreto,
di reale, di palpabile:
si mostra con i fatti
nelle decisioni e nelle scelte
di ogni giorno.
Anche e soprattutto
quando sono costose,
quando non è facile
schierarsi dalla tua parte,
seguire la tua strada,
compiere la volontà del Padre.
Aiutami, Signore, allora
ad accogliere la tua Parola
anche quando si rivela esigente.
Donami la forza, il coraggio,
di farla diventare realtà nella mia vita.
E quando mi trovo nella prova,
quando sono tentato di barattare
la tua pace e la tua gioia
con qualche vantaggio effimero,
donami saggezza di scegliere
ciò che conta veramente.
Il tuo Spirito mi ricordi le tue parole
perchè io possa affrontare
la complessità della vita con animo sereno.
Roberto Laurita
Niccolò Fabi, Una mano sugli occhi, Una somma di piccole cose
E non pensare che poi tutto capiti a noi
È solo un piatto di spine
Ma tu sai cos’è, tu sai come
avvicinarsi al confine
Sarà più facile in due rimanere svegli
Cosa ti aspetti dal sole
Tu non parli mai
Ma ciò che vuoi
è solo un giorno normale
Tu insegni il silenzio
in tutte le lingue del mondo;
io scrivo d’amore, ma poi mi nascondo.
Mi hai visto correre nella pioggia,
inseguire un giornale in spiaggia,
Una ricongiunzione, la mia assoluzione.
È questo che sei per me.
Questo sei per me.
Quello che tu sei per me
Quello che tu sei per me
Mi hai visto grasso toccare il fondo
Hai visto tutte quelle cose di cui io mi vergogno
Hai fatto finta di non vedere
quando tradivo, giocavo e imbrogliavo
Ma io so perché, sì so perché
Ancora adesso stringiamo i pugni
e non ce ne andiamo da qui.
Conosci tutti quelli che amo,
la loro vita e la mia,
alcuni li hai visti arrivare,
altri andarsene via.
Non è più baci sotto il portone,
Non è più l’estasi del primo giorno,
è una mano sugli occhi prima del sonno.
È questo che sei per me.
Questo sei per me.
Quello che tu sei per me,
quello che tu sei per me,
questo sei per me.
Il tornare a parlare la propria lingua nativa è usate il linguaggio della condivisione,della comunione….dell’ amore,superando le divisioni della Babele di oggi,abbattendo i recinti e gli steccati,in cui ci rinchiudiamo per sentirci al sicuro,ma che alimentano egoismi e incomprensioni.
Sento parlare e leggo – di questi tempi- di “chiesa in uscita”come nuovo cammino per la Chiesa.Mi viene spontaneo collegare questa immagine all’uscita degli Apostoli dal Cenacolo, dopo l’effusione dello Spirito S.
e mi viene da pensare che sarebbe proprio ora che la Chiesa uscisse dalle sue rigide istituzioni per aprirsi all’incontro…
per essere veramente “cattolica”, cioè universale,in quanto aperta a tutti gli uomini del mondo (come hai spiegato tu, don Stefano). Per questo invochiamo lo Spirito Santo, perché ci guidi, ci rinnovi in questo “nuovo” cammino,inteso come un ritorno allo spirito della Chiesa primitiva.
Nel mio percorso di credente mi sono rimasti impressi un paio di momenti di crisi più definiti di altri. Uno fu in prossimità della Cresima, di cui non riuscivo a cogliere il senso e che mi generò una serie di dubbi e domande a catena che mi portarono poi, affacciatami alle superiori, a ritirarmi dalla Chiesa per un po’. Ma i dubbi rimanevano e macinavano, fino a che, un po’ per caso o frose per destino, un pomeriggio entrai nella Chiesa delle Grazie a Bergamo dove, trovando un confessionale attivo, fui spinta ad andare ad esporre le mie domande. Non ricordo tutte le mie confessioni, ma quella sí perché fu particolarmente significativa. Era un prete anziano, straordinariamente pacifico, che davanti al mio fiume di perplessità non si scompose, mi sorrise bonariamente con tutto se stesso e, con misurata lentezza, mi disse che la chiave di tutto era solo una: l’amore. Non da pensare, immaginare, ma da agire, da mettere sia nelle relazioni della mia vita (senz’altro) che nelle azioni della mia vita. “Vivere”, concepito nella sua completa integrità, orientata dall’amore. Da lí non è che i dubbi si dissolsero come neve al sole… Ma un granello di fiducia in più nell’opera della fede, quello sí, iniziò a radicare in me. A pensare l’amore come “chiave di volta” aiuta moltissimo a dare un senso anche a tutte le spinte contrastanti che ci sono, nella vita degli uomini ed anche nella Chiesa. È nell’amore che bisogna avere fiducia, eppure è così facile scordarsene!