Fare squadra o essere corpo?
Santissimo Corpo e sangue di Cristo (B)
(Es 24,3-8 / Sal 115 / Eb 9,11-15 / Mc 14,12-16.22-26)
(Sarà leggero il pensiero di oggi. Non regge la solennità di questo giorno). Qui vicino a casa, sono ripresi gli allenamenti di calcio ed anche le partite. Buono – direi – per chi ha bisogno di sport, per chi ama rincorrere la palla, per giocare di squadra. Io sono seduto alla mia postazione estiva: all’ombra del noce. Il pensiero di oggi nasce proprio qui, ai bordi di un campo da calcio, nel bel mezzo di un discorso di un mister (che non conosco) incitante nel tono e nelle parole ad una competitività a tutti i costi. Normale. Altrimenti che «mister» sarebbe? Discorso che mi trovo ad ascoltare come fossi anche io in cerchio con quei giovani che vengono preparati prima «spiritualmente» poi fisicamente al match.
Alcuni anni fa, un giovane studente universitario in materie sportive mi fece dono di una copia della sua tesi di laurea nella quale accostava la ritualità dello stadio con la ritualità della liturgia eucaristica. A partire dai canti liturgici e i cori da stadio, passando per la forma dell’edificio liturgico a quella dello stadio… un vero parallelismo che tuttavia finiva per non convincermi del tutto. Sarà proprio così? Basta trovarsi insieme per fare squadra?
Il mister, mentre già sto scrivendo, incalza i suoi ragazzi. Le parole che sento, personalmente feriscono. Chissà che cosa producono nel cuore di quei ragazzi. Frasi pesanti, macigni: «Se l’avversario sbaglia allora dobbiamo cogliere l’occasione per castigarlo ancora di più». Il mister ce la mette tutta per creare con le sue parole e attorno a quella palla lo spirito di una squadra che vuole vincente ad ogni costo. «Questa partita dobbiamo vincere con tutta l’anima»… ma se l’animo non è preparato a perdere o non sapesse accettare la sconfitta che animo sarebbe? A parlare di anima mi sento ancor più chiamato in causa.
Mi sarei alzato. Lo stavo per fare. Esponendomi forse. Per chiedere a quel capo che incitava i suoi giocatori se si rendesse conto di che lezione stava impartendo a quei ragazzi. È questo il gioco di squadra? Per il suo e il loro bene, avrei voluto augurargli (non sarebbe stata una maledizione) di perdere la partita per sentire poi cosa avrebbe detto, a partita conclusa, alla sua squadra eventualmente sconfitta. Per sapere come avrebbe risollevato gli animi abbattuti.
Mi sono illuso e c’ho sperato fino alla fine che anche la ripresa dello sport dopo lockdown, divieti e coprifuoco, portasse una ventata di rispetto, di delicatezza, di cordiale complicità tra le squadre in questo mondo così in tumulto, così in contrasto. Sono davvero un ingenuo: competitività e competizione sono troppo spesso su tutti i fronti, in tutti gli ambiti, in ogni campo.
Fare squadra non è essere corpo. Essere corpo è più che fare squadra. E l’ho capito in questo giorno in cui l’accento cade ancora su quelle parole di Gesù nell’ultima sua cena con i suoi discepoli. La croce e l’apparente sconfitta che gli uomini gli stavano preparando, Lui l’anticipò con delle parole che fanno del pane il suo Corpo e del vino il suo sangue. Fu un dono a creare comunione. Fare squadra è obiettivo di imprese umane. Essere corpo è la vocazione della Chiesa, di ogni comunità. Ed essere corpo di Cristo è invito costante a donare la nostra vita. Essere corpo è incarnazione di ciò che si vive nello Spirito.
Ci sono parole che fanno bene. Parole semplici. Chiare. «Prendete e mangiatene tutti»: vincitori e vinti, santi e peccatori. La sua venuta sulla terra fu grazia, la sua benedizione. E prese il pane, il vino, frutti della terra e del lavoro dell’uomo. La grazia è già lì: raccogliere i frutti del proprio lavoro e provare la gioia di condividerli con tutti. Far gustare la bontà di quella terra che il Creatore ha donato alle cure dell’uomo fu la prima benedizione.
A questa prima grazia si aggiunge poi quel suo desiderio di accompagnarsi a noi. Companatico alla nostra esistenza. Fu compagno nel cammino della vita. E con il pane li faceva compagni, amici e fratelli. Il suo corpo donato a noi come nutrimento è certezza tutta da gustare che Egli vive per noi, con noi e in noi. Tutto è pronto! Lo Spirito ci ricorda le parole di Gesù e noi le possiamo ripetere ancora oggi perché la Parola di Dio si incarni nel nostro tempo presente.
Signore Gesù, tu ci hai amati
in maniera impossibile all’uomo,
per questo continua a donarci il tuo amore
nella speranza che pure noi amiamo
come tu ami:
fa’ che tutti attingano da Te
questa forza che trasfigura la terra
e Dio continui a trovare le sue delizie
nello stare coi figli dell’uomo.
Amen.
(David Maria Turoldo)
Dal Vangelo secondo Marco (14,12-16.22-26)
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Cerco una verità che sia semplice come il pane:
una verità che si possa toccare,
la si possa vedere,
che non ci inganni, che non sia complicata,
che non sia difficile e che, come il pane,
possa essere spezzata, divisa e distribuita agli altri.
Una verità che noi possiamo guardare in faccia, toccare,
considerare e portare intorno a noi in maniera semplice.
Non una verità per la quale siamo costretti
a pensare continuamente che cosa sia,
che cosa significhi,
ma una verità che di per se stessa,
come il pane, ci dica la sua sostanza,
la sua capacità di nutrirci,
la sua realtà di cosa concreta e immediata.
Cerco una verità che sia chiara come la luce:
una verità che non abbia tenebre,
non abbia sotterfugi, nascondigli, remore, reticenze;
una verità capace di illuminare la mia strada,
capace di illuminare anche la strada degli altri.
(Carlo Maria Martini)
Farsi Pane per tutti è stata la vocazione di Gesù… È nato a Betlemme (che significa: casa del pane),ha vissuto nella fatica di guadagnarsi il pane, ha donato pane in abbondanza tanto da farne avanzare dodici ceste piene, ha parlato del Regno di Dio come Lievito che fermenta per un pane di Vita, ed infine si è fatto pane Lui stesso per la fame di ogni uomo.Il Pane condiviso ci fa Corpo (non squadra come ci fa riflettere don Stefano) e questo Corpo diventa Dono quotidiano… Se lo vogliamo con il suo aiuto. Grazie, Gesù, Pane di Vita.