Correggiamo anche questo? (o almeno spieghiamoci meglio)
L’immagine è cruda e cruenta. L’ho ricevuta ieri da chi, non troppo lontano da qui, ha subìto altri danni da quest’ultimo nubifragio. Vigneti andati in rovina e, tra le vigne, questi poveri pennuti caduti a terra, colpiti da proiettili di grandine mentre scappavano, anch’essi, in cerca di un riparo più sicuro. Occhi di viticultore capaci di vedere che vittime ce ne sono state: piante di vite spezzate, uccelli stroncati al suolo.
L’immagine mi rimanda ad un versetto del Vangelo… e, nemmeno a farlo apposta, è contenuta nel brano odierno: «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro». Parole che vanno comprese come si deve per evitare proprio quegli equivoci che diventano perfino proverbi come il famoso «non cade foglia che Dio non voglia». E ruotiamo sempre attorno alla solita questione: quella della (onni)potenza di Dio che passerebbe parte del suo tempo a rimetterci al nostro posto, noi fragili e povere creature mortali. Noi e tutte le altre creature, si intende.
Per traduzioni di latino o di greco non eseguite correttamente si prendeva un brutto voto ai tempi del liceo. Anche la preghiera del «Padre nostro» finalmente, seppur dopo enormi fatiche di ricezione, la pronunciamo nella sua miglior traduzione. Con buona pace di una certa filologia. Anche il Vangelo, e la Sacra Scrittura in genere, hanno subito questo felice processo di traduzione per arrivare a noi e alla nostra comprensione. È vero anche che il passaggio di più traduzioni può farci correre il rischio che lievi accenti ci diano un altro significato. Se dunque Dio sarebbe Colui che per sua misteriosa volontà fa cadere a terra anche i passeri, quanto più ci sarebbe da volargli lontano, quanto più conveniente sarebbe stargli alla larga! E poi, in cosa sarebbe Vangelo (buona notizia) se altro non dice ciò che, in modo quasi istintivo e primitivo, gli uomini pensano a prescindere dal Vangelo stesso?
Suppongo dunque che anche qui ci sia di mezzo una questione di traduzione, da migliorarsi. Non è un’esercizio stilistico e grammaticale. Ne va della nostra comprensione e potrebbe persino ricadere su atteggiamenti della nostra fede. Quelle creature cadute a terra sotto la potente grandinata, sono cadute sotto lo sguardo di Dio. La sua volontà è piuttosto di non perderci mai di vista anziché distrarsi un attimo da chi, poi,… cadrebbe a terra. È volontà di Dio che nulla vada perduto e che tutti gli uomini siano salvati. Si tratta allora di capire cosa è salvezza, anche laddove interviene – implacabile – la morte.
Nelle tenebre, in certe ore buie dell’esistenza, Dio ci può aver detto qualcosa. Nel segreto del nostro cuore, della nostra coscienza può essere che abbiamo maturato un pensiero che sia in sintonia col Vangelo. È proprio quella scoperta che ci apre alla salvezza, ci fa sentire custoditi da Dio come la pupilla dell’occhio. Ed è proprio questo che dobbiamo annunciare sui tetti.
Non è un Dio geloso che teme la nostra carriera, che teme il nostro desiderio di essere come Lui. Ma occorre conoscere attentamente quali sembianze ha preso, se davvero desideriamo diventare ciò che siamo: sua immagine e somiglianza. Dopo che ebbe lavato i piedi ai suoi discepoli, Gesù disse: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». (Gv 13,13-14)
E nel brano di oggi si parla esattamente di maestro e signore. «Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore». Non occorre essere il discepolo che supera il maestro (altro proverbio?). Ci basti diventare come Lui. Andare oltre non occorre. Avrebbe perfino il piglio della presunzione, ma quanto dunque è difficile, a volte, assomigliare al Maestro e Signore! E ci può succedere di fare come se nemmeno lo conoscessimo: invece di dare testimonianza di Lui sembra proprio che preferiamo rinnegarlo. Come se non avessimo mai visto il Maestro lavare i piedi ai suoi discepoli ma soltanto un Dio che gioca con la paletta scaccia mosche, qualche pallottola per ammazzare pennuti e qualche naturale rimedio per rimettere gli uomini al loro posto!?!? È più facile per noi continuare a sostenere l’idea generica di un dio punitivo piuttosto che impegnarci a conoscerlo dalle pagine della Scrittura e dalla vita umana di Gesù per poi volerlo testimoniare attraversi gesti di un’esistenza che gli assomigli.
Tutto mi inganna.
Il tuo mondo, con le sue innumerevoli parole,
mi fa piangere e ridere:
le tue creature tutte
mi spingono e tirano da tutte le parti
con tanti penosi artifizi.
Preso dai desideri,
voglio mettere tra le tue mani,
come uno strumento,
questa mia mente allucinata.
O Signore, colpisci le corde
delle sue mille illusioni
e falle risuonare del tuo dolce canto.
(Robindranat Tagore)
Dal Vangelo secondo Matteo (10,24-33)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia!
Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».
Signore, la tua Parola mi dona la vita:
aiutami a rendermene conto!
Ti ringrazio per il dono della vita,
con le sue ricchezze e povertà.
Concedimi di accoglierti
e di diventare sempre più tuo figlio.
Signore, io sono sempre
nel tuo pensiero, nel tuo cuore.
Aiutami a scoprire il senso delle mie giornate
nell’amore che Tu mi doni
e che mi chiami a vivere.
Fammi comprendere
quali sono le situazioni della mia vita
che hanno bisogno di essere illuminate da te.
Fa’ che non mi rassegni di fronte alle tenebre
dalle quali mi sento circondare
e che tante volte minacciano anche il mondo.
Aiutami a crederti
compagno della mia vita in ogni momento:
nella sofferenza, nel peccato, nella gioia.
Perdonami quando non ti permetto
di fare una tenda nella mia vita.
Aiutami a capire cosa significa
farti concretamente
un posto nella vita, nella mia carne,
nei miei giorni, nella mia fragilità.
Amen
Copio queste frasi da un libro che sto leggendo in questi giorni, a proposito della sofferenza scriveva Pierre Teilhard de Chardin:
…Il Mondo rappresenta un immenso andare a tentoni, un’immensa ricerca, un’ immenso attacco: i suoi progressi possono compiersi solo a prezzo di molti fallimenti e di molte ferite. A qualunque specie appartengano, i sofferenti sono l’espressione di questa condizione austera e nobile…
Riusciremo, noi uomini e donne a “compiere i progressi necessari” imparando dalle sofferenze che ci si presentano a che il Mondo, inteso come il nostro pianeta, la comunità la famiglia, ma prima di tutto noi stessi si cambi modo di pensare e di agire, di esistere?
si riuscirà a diventare migliori dando un valore ai disastri, alla morte e alla sofferenza? O rimarrà solo distruzione, mancanza e dolore fine a se stesso?
Il 26 luglio dell’anno scorso abbiamo trovato un uccellino mezzo morto nel giardino, il collo ritorto, pigolava e gemeva…come non provarne compassione? Ricky avrebbe voluto facessi un miracolo ma gli ho detto che io non li so fare e che solo Dio può, che la “sola” cosa che potevo fare era accarezzarlo e stargli vicino, facendogli sentire un po’ di calore. Se Dio è in ciascuno di noi, Dio era lì, con noi, con lui e questo mi sono sentita di doverlo dire a mio figlio, riportando le parole del Vangelo di oggi. E quando è morto lo abbiamo messo sotto terra e fatto una croce con il bastoncino del ghiacciolo che aveva appena finito di mangiare. Dio è con noi ed è il solo miracolo da chiederGli ogni giorno, in ogni cosa che ci accade… non tanto o solo che Lui lo sia ma che noi lo sentiamo perché alle volte è così difficile vederLo, sentirLo e accorgerci che Lui non ha mai smesso un solo momento di starci accanto e di amarci. Nulla di noi Gli è nascosto, nemmeno i nostri capelli ed è una meraviglia per il nostro cuore.
Anche oggi ci hai accompagnato con forza al cuore del problema: non equivocare sul Vangelo, ricordarci che il nostro è il “ Dio con noi e x noi”. E ancora una volta ci hai rinfrescato la memoria e ci hai ricondotto alle nostre responsabilità, a far attenzione alla presenza di Dio in noi e intorno a noi, ad affinare il nostro ascolto per sentire e seguire il suo insegnamento: ad amare.
Grazie, di cuore, don Stefano. Sono vicina a te e alle persone della tua comunità così colpite dalla furia del maltempo e ti chiedo il favore di avvisarmi se ci sono delle situazioni che noi, tuoi fedeli social, possiamo contribuire ad alleviare.
“Si tratta allora di capire cosa è salvezza, anche laddove interviene – implacabile – la morte.” In questi giorni, in un convento sperso nei boschi del Casentino, ai vespri e poi a cena qualcuno ha sollevato la questione della sofferenza e poi della morte, soprattutto se riguarda le persone nel fiore degli anni. Questo mi ha riportato alla mente quanto scriveva, credo Adriana, due giorni fa: siamo burattini nelle mani di un onnipotente che fa di noi, e dei passeri, ciò che vuole? Io credo che il nostro ruolo nel mondo sia nascosto ai nostri occhi miopi. Non è colpa nostra ma della nostra finitezza. Tolkien ne “il signore degli anelli” racconta che la morte è il dono che è toccato in sorte agli uomini. E non riesco a vedere la morte (e la sofferenza) come implacabile, ma come quintessenza della nostra umanità, talmente fondamentale che Dio, per esserci vicino, lo ha condiviso per suo essere davvero “uomo”. Credo che sia Confucio che ha scritto “c’e un modo per sapere se hai fatto ciò per cui sei nato:se sei ancora vivo non lo hai ancora fatto”. E allora non ci sono morti premature o sofferenze “gratuite”, anche se noi non le vorremmo mai provare o vedere nelle persone che amiamo. Nulla di inesorabile da placare, ma un momento in cui “ho liberato del peso la sua spalla, le sue mani hanno deposto la cesta”.
Un abbraccio a tutti i luranesi che si trovano in difficoltà e stanno cercando di riparare i danni; che non si avveri il danno peggiore che sarebbe ritenere quello che è successo un “castigo” invece che un evento atmosferico, causato o no dalla noncuranza dell’uomo per il suo pianeta (i terremoti c’erano anche ai tempi dei dinosauri…)
Negli ultimi due-tre anni, complice la perdita di alcune persone importanti, mi è capitato di riflettere con più attenzione sulla morte. Una riflessione in particolare mi ha illuminata un po’ di più. Quella di un pastore che, in occasione della celebrazione di un rito funebre “a scoppio ritardato”, ha ammesso lui per primo di essersi interrogato più volte sul senso della morte. Cos’è che decreta che quello lí era proprio “il suo momento”? La risposta che si da Padre Vladimir (questo il nome) era che il momento è quello giusto quando quell’individuo “è pronto”. Un po’ come un frutto su una pianta. Piante diverse con frutti diversi, che maturano prima o dopo, che fanno frutti piccoli o grandi, ciascuno secondo la sua natura. Ora non si può sapere al 100% in effetti come sia, ma questa prospettiva che rimanda all’equilibrio del contesto naturale di cui anche noi esseri umani siamo parte, mi è sembrata molto coerente con ciò che mi immagino possa essere il pensiero di Dio. Quello stesso pensiero che, come mi diceva la nonna, mi ha generata prima ancora che prendessi forma nel ventre di mia mamma.