Terra di latte e miele
Angela Newberry, Terra di latte e di miele II
(Es 3,13-20 / Sal 104 / Mt 11,28-30)
Quella che abbiamo imparato a chiamare «storia della salvezza» ha i suoi inizi attorno ad un piccolo gruppo di persone che – istinto di sopravvivenza – iniziò a crescere di numero tanto da costituire un vero pericolo per il faraone d’Egitto il quale iniziò seriamente a preoccuparsi così tanto da temerne una rivolta o una guerra. Unico modo che il potere conosce per conservare una certa pace – cosa che pure il faraone saprà fare – sarà di imporre un pesante giogo di lavori forzati. Niente tempo per pensare. Ancor meno per sognare. Ore di lavoro pagate con cipolle, cucinate magari in mille modi, ma sempre cipolle.
In questo stato di oppressione il popolo iniziò a gridare aiuto, non in tutte le direzioni come a cercare alleati che potessero insorgere insieme contro l’oppressione del faraone. Essi gridarono direttamente verso il cielo. Ed il cielo ascoltò. Noi non riusciamo ad immaginare in quali condizioni potessero versare quegli uomini ridotti a schiavi. Probabilmente non riusciamo nemmeno ad immaginarlo ai giorni nostri ogni volta che vediamo qualcuno che parte dalla propria terra verso una terra che non si conosce, ma dove si spera di poter trovare riposo. Sempre esposti alle minacce di chi opprime, non c’è nemmeno tempo di chiudere occhio. Orecchio e piede vivono sempre in allerta, in continua tensione. Non c’è tregua, non c’è riposo.
Il cielo risponderà a quei gemiti di disperazione. Mosé diventerà la guida che condurrà il popolo degli ebrei verso una terra promessa dove – stando alle parole stesse della rivelazione – scorrono latte e miele. Il primo è il cibo per i piccoli che nemmeno devono faticare per guadagnarselo. Tutta la fatica che può fare un neonato sta proprio lì, in quelle grida di affamato così presto interrotte quando viene appoggiato al seno della madre. Il miele nella Scrittura è simbolo della Parola di Dio, dei suoi comandi, delle sue istruzioni. Come sono dolci le tue parole al mio palato! Sono più dolci del miele alla mia bocca. (sal 109,103) I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi. Il timore del Signore è puro, rimane per sempre; i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti, più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante. (sal 19,9-11).
In questa «storia della salvezza» Dio interverrà – lo disse espressamente – in tutti i modi per intenerire il cuore del faraone che invece andava via via facendosi sempre più duro, come una pietra. Non bastarono le parole balbettate di Mosé a commuoverlo. Fu un vero confronto di forze. Non c’era proprio più riposo nemmeno per il faraone che dovette escogitarsi a resistere a prove inimmaginabili per lui e per il suo regno.
Quando il popolo finalmente poté partire non fu proprio una passeggiata. Anche il cuore di quelle persone che sognavano una qualche liberazione, nonostante i loro piedi fossero già ben oltre il confine dell’Egitto, anche il loro cuore iniziò ad indurirsi. Ne deduciamo dunque che questo indurimento del cuore è la vera questione per ogni uomo, faraone che sia oppure no. Dal cuore indurito nascevano solo capricci e lamenti, di gente mai contenta. Dio ricorse alle minacce: «Se ascoltaste oggi la sua voce!» Non indurite il cuore […] Per quarant’anni mi disgustò quella generazione e dissi: «Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie» Perciò ho giurato nella mia ira: «Non entreranno nel luogo del mio riposo» (Sal 95).
Le parole di questo salmo – lo ricordo benissimo – furono una potente questione nel cuore di un’amica: «Come può Dio escludere dal luogo del suo riposo?». Minacciare e ammonire è, a volte, l’unico modo per rimettere in cammino, materializzando in quelle parole di monito un pericolo che potrebbe davvero concretizzarsi non certo perché Dio abbia stravolto il suo disegno di Bene per noi.
Le pochissime parole del brano di Vangelo che oggi ascoltiamo non sono parole che ci vedono affaticati in ragionamenti o in interpretazioni. Sono parole che vengono dal cuore stesso di Gesù. Egli è più che un luogo geografico di riposo. Egli è pure compagno di questo cammino, compagno mite e umile, dal cuore sempre in ascolto. Una direzione che orienti il cammino ci serve necessariamente, perché vivere è come una meta da raggiunge. Qual’è dunque la meta se non questo riposo che Dio continua ad offrire ai suoi figli? Getta nel Signore il tuo affanno, ed Egli ti darà sollievo (Sal 54).
Tu, Signore,
quando dici: «Venite a me»
non è solo un’ordine.
La tua Parola apre una strada
e ci dà la forza di percorrerla.
Dal Vangelo secondo Matteo (11,28-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Signore,
che sappiamo della Tua accoglienza,
finché non scarichiamo su di Te i nostri pesi,
finché non confessiamo le nostre debolezze,
a Te che si venuto per portarle ?
Poiché Tu ci apri le braccia,
qualunque siano i nostri sentimenti
di scacco o di stanchezza,
allora Signore liberaci da noi stessi.
Là dove noi siamo quanto mai vulnerabili,
proprio là si radica una forza venuta da Te,
per ricevere il nostro prossimo,
così come egli è,
per offrirgli un riparo,
la possibilità di una sosta.
Signore,
insegnaci l’accoglienza
dal profondo dell’anima.
Lytta Basset
“Poiché oggi non posso riceverTi sacramentalmente vieni almeno spiritualmente nel mio cuore…”: quante volte l’anno scorso abbiamo letto ed ascoltato questa invocazione ed ancora oggi qualcuno lo fa, per diversi motivi. Noi conosciamo quale è l’impedimento e se Lo desideriamo o meno nell’anima nostra. Che il Signore accresca la fame che abbiamo di Lui, perché possiamo desiderare la Sua Parola ed il Suo corpo quale ristoro per affrontare le fatiche di ogni giorno. Ognuno ha le sue ma Dio è per tutti e donandoci Gesù ci ha dato il Suo tutto. Ritornare a Lui non per veder risolti i problemi ma per portare con Qualcuno il loro peso e già per la legge della fisica questo vale, ancora più per quella del cielo.
Questo brano di oggi mi ha riportato alla mente le notti da piccina quando, risvegliata nel sonno da un incubo, andavo a cercare conforto nel letto della mamma. Lei mi accoglieva, confortava ed accompagnava nuovamente al mio lettino, rassicurandomi che non mi avrebbe lasciata sino a che non mi fossi riaddormentata. Qualcosa di simile trovo oggi in questo brano. Dapprima la dichiarazione immediata di accoglienza, che già sola allevia ogni senso di oppressione, poi la rassicurazione di un giogo più leggero, meno faticoso da portare, che rincuora vieppiù. Se Dio è padre, Gesú qui è apertamente nostro fratello maggiore. Un fratello attento e premuroso, che ha a cuore il benessere dei suoi fratelli più piccoli. Cosa chiedere di più?!