Àlzati, mangia
XIX domenica del Tempo Ordinario (B)
(1Re 19,4-8 / Sal 33 / Ef 4,30-5,2 / Gv 6,41-51)
È tempo di vacanze. Tempo necessario per donare riposo al corpo, alla mente, allo spirito. Perché vivere è un duro mestiere, è una grande fatica sotto il sole. La stanchezza quando per troppo tempo non trova riposo può diventa pericolosa e la fatica si intreccia col lamento. Se la vita è un cammino, la stanchezza può far dimenticare la meta.
Gesù provava compassione davanti allo sfinimento di intere folle. Si avvicinavano a Lui per trovare riposo. Egli stesso lì invitò ad avvicinarsi a Lui per ricevere ristoro (Mt 11,28). E di quel medesimo ristoro, si meravigliavano che parlasse di pane disceso dal cielo. Se discende dal cielo significa che è un dono, è gratuito. È quel pane per il quale non ci si deve affaticare ulteriormente. Quel pane è risposta a tutte quelle preghiere che dalla terra salgono in cielo, preghiere di uomini e donne troppo stanchi di vivere.
Un midrash (antichi racconti annotati come commento a margine di testi biblici) racconta che durante il giorno gli uomini fanno salire al cielo le loro preghiere. Di notte, mentre gli uomini riposano è il turno di Dio che di tutte quelle preghiere ne farebbe un immenso tappeto che si può distendere solo nel vasto cielo e su quel tappeto è Dio stesso che si prostra a pregare.
Il Figlio di Dio pregò davvero prostrandosi a terra, Lui pure davanti alla fatica più grande per l’uomo: vivere e poi saper morire. E morire senza mormorare, senza maledire la vita stessa, ma semplicemente ringraziando per aver vissuto. Preghiamo e chiediamo a Dio di tutto un po’. Le nostre preghiere mutano col mutare dei giorni, le nostre richieste variano a secondo dei nostri bisogni. Chiediamo per ottenere, a volte senza nemmeno sapere bene come chiedere. E neppure siamo sicuri di ciò che stiamo chiedendo.
La Bibbia è pure un’antologia di preghiere e non solo nel libro dei Salmi. In tutte le pagine, tra le vicende più disparate, uomini e donne elevano al cielo le loro suppliche, le loro richieste. Ci capita oggi di ascoltare proprio una di quelle preghiere nata nel cuore del grande profeta Elia costretto a fuggire dalla regina Gezabele per trovare salvezza. C’è solo un piccolo dettaglio: la salvezza per il profeta Elia coincideva in quel preciso momento della sua vita con un desiderio di morire.
«Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Arrivano, nella vita, momenti in cui questa preghiera può affiorare alle nostre labbra. Scoraggiamento, stanchezza e prove possono esasperare a tal punto da desiderare la morte quale unica via di salvezza possibile per trovare pace. E non è un caso che solo dopo aver pregato così il profeta Elia potrà addormentarsi. Se non fosse riuscito ad esplicitare quella preghiera, sarebbe ancora sveglio per cercare quali parole dire. Quella preghiera, che ai nostri orecchi pare alquanto delirante, sarà invece ciò che permetterà al profeta di lasciar fare ancora una volta a Dio.
Preghiera legittima che nasce nello sconforto, nella stanchezza. Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele recita il salmo 121. La risposta di Dio non si fa attendere: un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Pregare è dunque saper stare in attesa di un cenno da parte del Signore, cenno che viene sempre nella forma di una parola e di un segno.
Ecco dunque, nel giorno in cui la Comunità si raduna per l’Eucarestia, Pasqua della Settimana, la risposta fedele di Dio perfino al nostro desiderio di morire, alla paura di non farcela, al lamento per la pesantezza del cammino: questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.
E noi… ancora qui a dire che si deve andare all’Eucarestia perché è precetto? Un obbligo? Basterebbe davvero essere più sinceri nell’ammettere le nostre stanchezze, le nostre fatiche. E poi avere uno sguardo pieno di stupore per tutte le volte che il Signore stesso, con la Parola e il Pane dell’Eucarestia, ci ha rinnovato le forze. E ci ha messi nuovamente in cammino.
Gli occhi del Signore su quelli che lo temono
su quelli che sperano nel suo amore
per liberare le loro vite dalla morte
e farli vivere nel tempo della fame.
Sì, noi attendiamo il Signore
è lui il nostro aiuto e il nostro scudo
in lui si rallegra il nostro cuore
abbiamo fede nel suo santo Nome:
ci accompagni il tuo amore, Signore
perché noi speriamo in te.
(salmo 33, 18-22)
Dal Vangelo secondo Giovanni (6,41-51)
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Anche di Te noi abbiamo pietà,
perché devi avere il cuore che scoppia;
e le notti che certo piangi per noi!…
Fino a farti pane, nostro cibo,
e a dirci: «Mangiate, alzatevi
che lungo è ancora il cammino».
Signore, ti chiediamo due grazie:
noi, di non cedere allo scoraggiamento,
e Tu di non dirti mai deluso di noi.
Chi mangia del tuo pane
ha già in sé la vita permanente:
questo cibo per varcare dal tempo all’eterno;
mentre porti a compimento
tu stesso, o Cristo, il nostro esodo:
Figlio di Dio, accompagnaci Tu
nell’attraversata,
perché non moriamo.
Amen.
(David Maria Turoldo)
“Alzati,mangia!”
Col pensiero torno a vent’anni fa. Aprile 2001, domenica delle Palme, Ospedali Riuniti di Bergamo. Il medico del reparto dove è ricoverato mio papà sta comunicando a me e a mia mamma che gli restano pochissimi giorni di vita… Asciugate le lacrime, mia mamma toglie dalla sua pesante borsa un pane (credo che noi donne ci teniamo dentro un kit di sopravvivenza). Me lo porge con queste parole: “Devi mangiare, hai a casa due figli piccoli che ti aspettano. Il papà sarà sempre con noi”.
Tre anni fa, un pane impastato col lievito e col sale del Vangelo e cotto nel forno della casa parrocchiale, ha portato consolazione e speranza al dolore più grande che possa capitare a una madre e a un padre…
Quando canto in chiesa “È il Tuo Pane Gesù che ci dà forza…”, il sapore del Pane Eucaristico condiviso si fonde col sapore di questi due pani.
Pane e Vita…
Spesso porto l’eucarestia ad una signora anziana di circa 94 anni, ogni volta che vado gli chiedo come sta? Mi risponde sempre dicendomi che si sente stanca e chiede al Signore di farla morire. Prima dell’eucarestia facciamo insieme un momento di preghiera consegnando al Signore questa sua stanchezza, ricevuta poi L’eucarestia il suo volto si rilassa e ci lasciamo con la promessa di pregare l’uno per l’altro.
Anche oggi Pasqua della settimana,come già dal Vangelo delle domeniche precedenti Gesù vede,sente le fatiche e le paure degli apostoli,dei profeti e delle genti,si preoccupa e viene in loro aiuto.
Oggi,come allora viene a risollevarci,a guarirci dalle nostre fatiche, attraverso la Sua Parola e con il Pane .
Da quando morì mia nonna ho cercato di mantenere vivi i contatti con le sue amiche, un po’ per confortare loro ed un po’ per confortare me stessa. Come dicevo loro: “Io vi ho conosciuto perché eravate amiche della nonna, ma poi siete diventate anche mie amiche!”. Ma il tempo corre per tutti e, poco alla volta, il tempo di ciascuno giunge al termine e si matura al Cielo. Dopo la nonna è mancata anche una vicina e poi anche Laura, una delle amiche più strette, ed ora la Marisa è rimasta “orfana” di amiche. Privata della distrazione che traeva dalla loro vicinanza, anche lei inizia a sentire più pesanti “le primavere” accumulate e, più d’una volta, mi ha confessato di pregare perché “la tirino su” anche lei. Ma più che per la fatica dello stare al mondo, è la noia dello star soli, senza amici nè stimoli, e la preoccupazione per tutti i soldi che sta “buttando via per la badante… Che costa neh!”. Io posso far poco, pochissimo davvero, ma già prestandole ascolto, confidandole le mie conquiste e le mie speranze, riesco a contagiarla con un po’ di vita. Tant’è che poi, alla fine delle telefonate anche dei giorni più melanconici, non manca di chiedere: “Te però chiamami ancora neh… Che mi fai tanto, tanto piacere. Grazie!”. Qualche cosa si può fare tutti, nel nostro piccolo e piccolissimo, che talvolta è pure più grande di quanto non pensiamo.
“La vita senza Dio è più triste” e questo è vero ovunque
ed in qualunque momento della vita ci si trovi. Grazie Signore per essere entrato nella nostra vita, avendo trovato il momento propizio per farlo…occorre disponibilità di cuore per accoglierTi e permetterTi di farci vivere in pienezza, perché nulla togli ma tutto aggiungi e moltiplichi, se Te lo lasciamo fare, fidandoci più di Te che di noi.