Quella giusta compassione
Felice Boselli, Fanciullo che dona una moneta a un mendicante cieco (particolare), 1690-1710
XXX domenica del Tempo Ordinario (B)
(Ger 31,7-9 / Sal 125 / Eb 5,1-6 / Mc 10,46-52)
Attenti come siamo di questi tempi ad ogni questione che riguardi la privacy, il fatto che l’evangelista Marco riporti anche il nome di questo mendicante cieco potrebbe già essere un bel problema. Ma dietro ciascun nome c’è una storia. E ogni storia ha un volto, i suoi tratti. Bartimeo è – alla lettera – figlio di Timèo, perché dietro ad ogni figlio c’è sempre un padre. E una madre, certo. Forse il padre era morto da tempo. Forse il padre lo avrà abbandonato considerando quel figlio cieco una maledizione. O non sarà che il figlio stesso si sia allontanato di casa per non essere un peso? Forse il padre aveva convinto quel figlio a rendersi utile comunque alla casa mendicando agli angoli delle strade. Tutte ipotesi e congetture. Plausibili. Forse pure poco rispettose. Ci basta il nome. Per ripartire dal nostro nome. Dalla nostra storia. Da rispettare. Ci potrebbe pure bastare di saperlo figlio, anche se – come dirà Giovanni – noi fin da ora siamo figli ma ciò che saremo non è ancora stato rivelato (1 Gv 3,2). I nostri occhi sono incapaci a vedere. E come se non bastasse, a proposito di vista, Gesù stesso dirà: «Chi ha visto me ha visto il Padre». (Gv 14,9)
Ci sono epoche e tempi – o più semplicemente stagioni della vita personale di ciascuno – in cui sembriamo veramente ciechi. Certamente questo nostro tempo pare proprio una di quelle epoche in cui manchiamo di visioni, di prospettive, di sogni. Eppure non sono mancati profeti che ci hanno assicurato che i più anziani avrebbero fatto sogni, e i giovani avrebbero avuto visioni (Gl 3,1). Siamo nell’ignoranza e dunque nell’errore, come dice la lettera agli Ebrei. Ignoranti quanto al futuro. E non si tratta di avere la sfera di cristallo, ma almeno di avere una direzione, un senso di marcia e invece è un continuo errare e torniamo sempre sui nostri passi a vivere come dei déjà-vu storici, cose già vissute in passato che sembrano ripresentarsi a noi. E così la percezione è proprio quella di girare a vuoto, di errare.
Abbiamo davvero bisogno di qualcuno che sappia ascoltarci, che sappia compatire le nostre infermità, le nostre debolezze. La lettera agli Ebrei fa l’elogio del Figlio di Dio, Gesù, mettendo in luce proprio questa sua capacità di provare giusta compassione. Perché anche la compassione ha la sua giustizia, una giusta misura, un giusto modo.
Certo è che quel Dio che noi continuiamo a non vedere, per come se ne parla nella Scrittura è un Dio sempre attento al grido dell’uomo. E solo dopo che s’è gridato a Lui – solo dopo – Egli interviene. Resta vero il fatto che possiamo anche averlo accusato di non farsi neppure sentire, di essere sordo e cieco pure Lui. È proprio lì che i nostri occhi potrebbero aprirsi alla rivelazione contenuta nelle Scritture e nella vita stessa di Gesù che ne è il compimento esplicito: Dio ascolta chi grida a Lui. Forse Bartimeo non intendeva nemmeno gridare a Dio e per questo si rivolgeva semplicemente al figlio di Davide. Sarà Gesù stesso che riconoscerà la fede di quest’uomo che ha saputo vedere in un uomo, fattosi vicino, fattosi fratello, il volto stesso del Padre.
Cos’è dunque questa crisi del nostro tempo? Cos’è questa crisi della fede? Non è forse che abbiamo smesso di gridare a Dio o anche solo di cercare uomini e donne che sappiano compatire le nostre infermità e ci possano prendere per mano e condurci in una direzione che sia buona per ciascuno?
Bartimeo è perfino invitato a tacere, a non gridare… a non pregare. Forse che abbiamo noi pure ascoltato coloro che ci chiedevano di smettere di pregare? Quanto sono convincenti le parole degli amici: cosa vai a fare in chiesa? Cosa serve pregare? A cosa serve fare il bene? Credo siano queste le provocazioni sempre antiche e sempre nuove alla nostra fede.
L’uomo grida. Un fratello ascolta. Dio stesso ascolta. E poi c’è una chiamata, un invito ad alzarsi e ad avvicinarsi proprio a colui che è stato mandato a ridare la vista ai ciechi. È così che Dio realizza le sue promesse: ascoltando il grido di chi si rivolge a Lui e mandando sulla sua strada la persona giusta al momento giusto che sappia farci vedere quel Dio che nessuno ha mai visto e che pure continua a camminare con noi.
Ora i due sono faccia a faccia. Uno però non vede ancora l’altro. Ma lo può ascoltare: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». È il Figlio di Dio che ancora una volta si fa riconoscere nei panni del servo. Non siamo noi a dover fare qualcosa per Dio, fatta salva questa licenza di gridare a Lui, perché aver fede sarebbe proprio custodire questa libertà di gridare a Dio. Fatto salvo questo ascolto da riservare ai nostri simili, se abbiamo noi pure quella giusta compassione che è propria dei figli di Dio.
«Signore, che io veda di nuovo». Improvvisamente ci accorgiamo che la richiesta di Bartimeo potrebbe essere la preghiera di ciascuno. Che noi si veda di nuovo la compassione di Dio. Che noi si veda tutta quella parte di umanità sofferente, dolente, che grida in attesa di giusta compassione. In breve, quando giungere alla conclusione del nostro brano di Vangelo, comprenderemo che vedere è seguire Cristo. Vedere è camminare dietro a Lui. Siamo ciechi quando diciamo che non sappiamo più chi seguire, chi ascoltare… eppure non smettiamo di dirci figli di Dio, di chiamarci discepoli di Cristo.
O Dio, Padre buono,
che nel tuo Figlio unigenito
ci hai dato il sacerdote compassionevole
verso i poveri e gli afflitti,
ascolta il grido della nostra preghiera
e fa’ che tutti gli uomini vedano in lui
il dono della tua misericordia.
Amen.
(orazione di colletta dalla liturgia odierna)
Dal Vangelo secondo Marco (10,46-52)
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Possa il Signore Gesù porre, pure a noi,
le mani sugli occhi,
perché iniziamo a volgere lo sguardo
non alle cose che si vedono,
ma a ciò che non si vede:
apra a noi quegli occhi
che non scrutano le cose presenti,
ma quelle future,
e sveli a noi quello sguardo del cuore
mediante il quale si vede Dio in spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo,
al quale solo la gloria e la potenza,
nei secoli dei secoli.
Amen.
(Origene)
Nella mia “composizione di luogo” questa volta avrei voluto essere io al posto di Bartimeo e gridare “Figlio di Davide, abbi pietà di me” guarisci la mia infermità!
Oppure essere cieca come Tobi e curata dall’Arcangelo Raffaele, per tornare a vedere con quale compassione Gesù e Raffaele si sono chinati sulle nostre miserie, e non parlo di quelle fisiche!
Ha ragione la signora Adriana che mi ha preceduto, a dire che non sappiamo più avere compassione verso chi è nel dolore, difficoltà, fragilità, etc…..
Nel mio lavoro di assistenza domiciliare sono sempre stata a contatto con persone, sia giovani che anziani, alle prese con malattie e varie disabilita’.
Così diventa faticoso accettare la realtà, allora ho osato anch’io gridare al Padre il perché di tanto dolore e fatica.
Ho avuto risposta, penso ispirata dallo Spirito.
Queste anime sofferenti hanno proprio il compito di stimolare in noi una risposta di “compassione, cioè patire con…” che non è così scontata perché la nostra natura sarebbe di pensare solo a noi.
Così ho potuto capire e accettare la presenza del dolore in mezzo a noi, con lo splendido e faticoso compito di cercare di alleviare le sofferenze altrui.
“Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me, rendi i miei occhi attenti alle sofferenze di chi mi passa accanto…”
Quando ci disponiamo ad andare contro corrente, superando la paura del giudizio della gente, c’è sempre una parola che fa giustizia, come nel caso di Bartimeo “CHIAMATELO”.
Io ho la netta impressione che le ragioni dell’odierna crisi della fede siano da ricercarsi da entrambe le parti. Sia dal gregge che dai pastori. Spiego meglio: il gregge -i fedeli- sono senz’altro molto più coinvolti dalle “questioni del Mondo” che dalle “questioni dello Spirito”, complice senz’altro un contesto che negli anni ha spinto sempre più in primo piano l’apparenza a discapito della sostanza e questo è innegabile. Dall’altra parte però va anche riconosciuto che purtroppo non si contano molti pastori capaci di “tenere il polso dei tempi” ed andare a cercare le pecore che si disperdono, andare loro incontro ed indirizzarle sulla retta via. Pastori intesi non solo come consacrati, ma anche come uomini e donne di fede che talvolta preferiscono fermarsi, fissarsi, in categorie già formulate, definite da prassi e convenzioni piuttosto che mettersi in discussione cercando appigli per un dialogo. Per tanti infermi che necessitano di ritrovare la via, servono anche altrettanti buoni pastori capaci di vederli, considerarli, includerli ed accompagnarli a ritrovare la vista. Per farlo è necessario un dialogo, perché ci sia dialogo è necessario che ci si venga incontro (come Gesú richiama a sè Bartimeo) e per farlo bisogna essere capaci di fermare il proprio percorso, prestare attenzione e disporsi a cambiare eventualmente direzione. Per tutto questo benvengano pastori come Papa Francesco, capaci di fornirci indicazioni attraverso cartelli stradali (e morali) intelleggibili per tutti gli uomini e le donne del nostro tempo, nessuno escluso!
” Va’, la tua fede ti ha salvato “!
Colpisce questo ” Va’”, tant’è che Bartimeo, balzando in piedi, si mette a seguire Gesù.
Signore, aiutami a prendere coscienza della mia cecità e donami quella Luce che mi fa balzare in piedi e seguire convinta il Tuo amorevole cammino di salvezza.
Si è tanto presi dai nostri malesseri e dai nostri problemi che siamo ciechi nei confronti della sofferenza di chi ci passa accanto, anzi si cerca di non vederla x “ non avere noie o x paura di essere coinvolti”
Poi ci lamentiamo dell’ assenza di Dio accanto alle sofferenze dell’ umanità.
La visione della bellissima mostra fotografica del Convento del Carmine a Città Alta sulle” marginalità”e del film” I ricordi del fiume” nella rassegna” Il lontano presente” di Redona, da cui sono uscita fortemente turbata, mi ha chiarito il problema mio e delle persone” credenti” oggi: abbiamo perso la capacità di VEDERE e di provare COMPASSIONE.
MI METTE IN CRISI LA CONSAPEVOLEZZA che Dio ascolta il grido di aiuto dell’ uomo, ma se non trova chi lo raccoglie e agisce in suo nome Lui rimane muto.
Non è attraverso di me, degli uomini in genere, che Dio agisce e si fa misericordia?
Signore Gesù siamo spesso dei ciechi che credono di vedere e che pensano di non aver più bisogno di Te
Fai uscire Signore quel grido che c è nel profondo perché possiamo entrare in dialogo con Te e con i fratelli
Nel Nome di Gesù Signore nostro
“Io ora so chi sei
io sento la tua voce
io vedo la tua luce
io so che tu sei qui.
E sulla tua parola
io credo nell’amore
io vivo nella pace
io so che tornerai”.
(“Io vedo la tua luce”, un canto stupendo)
Che bello poter vivere cercando sempre un po’di Luce che è prima di noi, che ci raggiunge proprio sulle strade della nostra incomprensione senza fine. E poi quando per Grazia la si riceve poterla portare, condividere, non permettendo a niente e nessuno di offuscarla perché come aveva obbedientemente scritto mia figlia su un biglietto appeso ancora oggi sulla lavagnetta magnetica di casa “chi non riesce a fare luce è pregato di non fare ombra”.
Potremo sempre irradiare la luce, che è pace e gioia che riceviamo camminando dietro a Lui e grazie a Lui, se sapremo chiedergliela, dopo aver riconosciuto ed ogni volta che riconosceremo la nostra cecità.
Grazie per questo dono!
Buona domenica nella Luce
Gridare ripetutamente “figlio di Davide”, per voler esser certi di parlare con la persona giusta che da tempo si aspetta, pregando con un “abbi pietà di me”, per poter poi riprendere quel cammino che nel buio si era smarrito.
Grazie Gesù per esserci sempre.
Buona domenica