Dove sta la grandezza?
(Is 41,13-20 / Sal 144 / Mt 11,11-15)
VIENI PRESTO SALVATORE
(melodia dalla cantata «Nun komm, der Heiden Heiland» di Johann Crüger)
Vieni presto, Salvatore
Tu il riposo di Israele
Stella attesa del mattino
sorgi e scendi a noi dall’alto.
Guarda tutto il nostro errare
e al tormento di chi soffre
salva l’uomo che t’invoca
crea la pace sulla terra.
Il tuo volto nella storia
trasfiguri il nostro pianto
nel dolore del creato
che sospira redenzione.
Ogni lingua già proclama
nella fonte d’ogni amore
che Tu sei Signore Eterno
per la gloria di Dio Padre.
Dal Vangelo secondo Matteo (11, 11-15)
In quel tempo, Gesù disse alle folle: «In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono.
Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elìa che deve venire.
Chi ha orecchi, ascolti!».
Un complimento pubblico pronunciato da Gesù stesso, mentre il regno di Dio già subiva violenza. Colui che del Regno aveva annunciato la venuta – Giovanni Battista – è a questo punto del racconto evangelico, già incarcerato. Da dove gli viene questa grandezza per la qual Gesù spende esplicite parole, creando tuttavia una sproporzione tra i nati di donna e i piccoli del regno?
Probabilmente la ragione prima di questa grandezza elogiata sta, in origine, in quella capacità di aver vissuto il deserto. Ho ritrovato un libro di Carlo Carretto che descrive di questa necessità di ritornare al deserto. «Se hanno fatto così i profeti, se ha fatto così Gesù dobbiamo di tanto in tanto farlo anche noi: andare nel deserto. Si tratta di fare un po’ di deserto nella propria vita. Fare il deserto significa isolarsi, distaccarsi dalle cose e dagli uomini, principio indiscusso di sanità mentale.
Fare il deserto significa abituarsi all’autonomia personale, a restare coi propri pensieri, la propria preghiera, il proprio destino.
Fare il deserto significa chiudersi in una camera, restare soli in una chiesa deserta, costruirsi in una soffitta o nel fondo di un corridoio un piccolo oratorio dove localizzare il rapporto personale con Dio, dove riprendere il respiro, ritrovare la pace.
E infine il deserto significa nient’altro che obbedire a Dio. Non temete che ne abbia danno la comunità dal vostro momentaneo isolamento. Non temete che diminuisca il vostro amore per il prossimo aumentando l’amore personale per Dio: anzi ne sarà avvantaggiato!
Ricordiamo qui una cosa importante e terribilmente vera: l’amore dei fratelli, la dedizione alla comunità umana dove dobbiamo incarnarci fino in fondo, la comprensione umile e vitale del povero e dei suoi problemi, sono cose impegnative e logoranti. Solo un amore forte e personale per Dio può validamente sostenerle e mantenerle nella loro freschezza e divina novità.
Sì, farsi piccoli, più piccoli ancora, il più piccoli possibile: è il grande segreto della vita mistica. E quando ci si è ridotti a un punto, senza più consistenza se non quella dell’anima che guarda, o del cuore che ama, abituarsi a rovesciare la posizione, l’eterna posizione dell’orgoglio, la difficile posizione dell’io che si crede sempre centro dell’universo».
Abìtuati, figlio, al deserto! (Josif Brodskij)
Il tuo Dio è l’aurora
e più tardi l’alba
e più tardi ancora il meriggio.
Tu sei terra che attende la Luce.
Siediti e cerca di rimanere immobile,
siediti e cerca di sperare.
Non pensare ad altro:
Dio è davanti a te.
Dio viene a te.
Contemplare non significa guardare
ma essere guardati.
E Lui è là che ti guarda.
E se ti guarda, ti ama
e amandoti, ti da ciò che cerchi:
se stesso.
Il cuore nostro è insaziabile.
Dio solo ci basta.
Le cose mai.
Fare e vivere il deserto per lasciarci guardare da Dio e, se possibile, incontrarlo. Mi è sempre sembrato impossibile…oneroso! Specialmente ora che, lasciati gli impegni più pesanti per età e per problemi di salute, mi ritrovo a vivere la solitudine che pesa. Sono un essere sociale e, pur nella fatica delle relazioni, ho trovato sempre entusiasmante e arricchente il vivere la mia fede nell’ esperienza comunitaria, nell’ incontro con l’altro. Eppure invidio chi sa scegliere il deserto perché ne capisco l’importanza per fare il punto della propria vita e rituffarsi in essa con maggior vigore e visione. Grazie, don Stefano perché ci accompagni in questo avvento con riflessioni spirituali attraverso anche suggestioni artistiche sia sonore che visive che nutrono il bisogno di bellezza.