Qual buon vento!
(Mi 5,1-4 / Sal 79 / Eb 10,5-10 / Lc 1,39-45)
Il Vangelo di Luca si apre con un’ambientazione molto precisa e facilmente riconoscibile: il Tempio di Gerusalemme. È simbolo di come e dove l’uomo collochi il proprio rapporto con Dio. Il pellegrinaggio che aveva come meta il Tempio di Gerusalemme ne era l’espressione più visibile. Ma Luca ci aiuterà a capire molto presto che l’ambientazione del suo racconto è quasi sempre altrove, in case e luoghi dove la vita appare più eloquente. L’incontro tra Maria ed Elisabetta lo dice chiaramente. Due donne in dolce attesa, o «in speranza» (così è chiamata la gravidanza in tedesco) danno vita ad un incontro che ha qualcosa di straordinario, pur nella sua semplicità.
Questi passi che Maria muove verso la cugina Elisabetta, sono i primi passi di un nuovo modo di credere e di vivere. Quel Figlio che cresce nel suo grembo non è venuto a mettere in piedi una religione in più. Come disse Marcel Gauchet, il cristianesimo è «la religione che chiede di uscire dalla religione». Anzitutto dunque non si tratta di un ennesimo tentativo degli uomini per raggiungere il cielo quanto piuttosto l’esatto contrario: è il cielo che viene a farci visita. Maria poi dice chiaramente che credere secondo il Vangelo è pure saper muovere i propri passi verso l’altro. La casa di Elisabetta – come poco prima la casa di Nazareth – diventa così il luogo per la scoperta della fede e per la gioia di incontri che rendono più umani. Scopriamo così che la casa non è mai un luogo comune nel Vangelo.
Maria ha fretta di vedere la cugina. È il segno che l’angelo Gabriele le diede per farle comprendere quanto a Dio nulla fosse impossibile. E così si alza in fretta, scrive Luca. Nulla a che vedere con la nocività della nostra fretta quotidiana che ci porta spesso alla dispersione, alla distrazione, all’impossibilità di un incontro. Riceviamo troppi stimoli esterni e vorremmo essere al contempo in più posti? La fretta è cattiva consigliera, nemica esplicita di cose ben fatte. C’è però nel Vangelo questa fretta che potremmo chiamare salutare. Intanto quel bambino nel grembo di Maria è già il segno di un Dio che impara a limitarsi nel tempo e nello spazio, ma che dilata i cuori. Maria, attende un figlio ma non perde tempo. Attendere non è restare passivi. Maria vive l’urgenza dell’amore e della carità: c’è un Vangelo da portare o un regno da cercare!
Accade così un incontro di generazioni: Maria, la ragazza di Nazareth, sposa di Giuseppe si mette accanto ad Elisabetta per camminare al passo delle necessità altrui e per ascoltare dalla donna avanti negli anni, qualche parola buona sul cammino della vita.
«A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?». Questo incontro – e tale potrebbe essere ogni incontro – diventa subito domanda e benedizione. «Qual buon vento?» sembra dire Elisabetta. Un vento di meraviglia, di stupore, un vento che rinnova la vita. Si scambiano parole umanissime, buone, vere ed autentiche benedizioni. Ne risente perfino quel figlio che ha trovato spazio nel grembo di Elisabetta – quel figlio che da piccolo è già considerato grande per la sua missione e da grande imparerà a farsi piccolo – esulta di gioia. Generare alla vita, mettere al mondo è anche creare un contesto di parole buone dentro le quali far crescere.
Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi (Rom 8,22), ma è bello vedere queste due madri, che ancora non vedono il volto del proprio figlio, parlare teneramente. È l’immagine della vita spirituale: noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. (1 Gv 3,2). Come Maria siamo in cammino e come Elisabetta accogliamo. La Parola del Vangelo, sembrano raccontarci Maria ed Elisabetta, ci chiama a percorrere quella strada che conduce al disvelamento di quel Figlio di Dio che è in ciascuno di noi. Spesso, per imparare seguire questa strada, bisogna nuovamente imparare a camminare nella vita, reimparare a scegliere, a distinguere ciò che è utile da ciò che non serve, il necessario dal superfluo o dal fuorviante.
Scrisse Chiara di Assisi alla sorella Agnese: L’anima dell’uomo fedele – che è la più degna di tutte le creature – è resa dalla grazia di Dio più grande del cielo. Mentre infatti i cieli con tutte le altre creature non possono contenere il Creatore, l’anima fedele è sua dimora e soggiorno.
O germoglio di Jesse,
che ti innalzi come segno per i popoli,
tacciono davanti a Te i re della terra
e le nazioni ti invocano:
vieni a liberarci, non tardare.
Cantate al Signore con gioia,
grandi prodigi ha compiuto.
Cantatelo in tutta la terra!
Alleluia!
Forte è la tua Parola,
penetra come una spada
ci trasformerà
e vivremo nella Luce!
Alleluia!
Dal Vangelo secondo Luca (1,39-45)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Che cosa, o Donna, ti spinse a quel viaggio
con dentro al cuore l’annuncio dicono?
Come gazzella sui monti correvi
e al tuo passaggio esultava il creato.
Fontane in festa e uccelli cantavano,
anche le fronde pareva chinarsi:
o fiumi e selve, battete le mani
a Lui che passa pur chiuso nell’arca.
Sopra il trono più eccelso passava,
ma ora solo le cose intuivano
e nel silenzio faceva ala
a questa aurora dell’ultimo giorno.
Agile e sola sui monti di Giuda
così già madre l’offriva alla terra:
la pentecoste si è aperta sul mondo,
profetarono per prime le madri!
Che si incontrino tutte le madri
con te, divina Madre,
e tutti i fanciulli sussultino di gioia
già dai loro grembi,
e sia ogni bimbo felice di nascere
perché è stato concepito un uomo nuovo:
l’uomo-Dio, Gesù Cristo,
il frutto più benedetto di tutta l’umanità.
Amen.
(David Maria Turoldo)
La fretta di Maria di raggiungere Elisabetta, per avere conferma del segno datore dell’angelo e per portare la sua lieta notizia.
E la nostra fretta di questi giorni pre natalizi, accentuata dall’ansia che le feste ci vengano rovinate ancora una volta dalla pandemia.
E se invece cogliessimo l’occasione di tornare al vero senso del Natale? Di rallentare per fermarci davanti ad una povera mangiatoia?
Se almeno noi cristiani sapessimo raccontare questo lieto evento prendendo esempio da Maria, non ci sarebbe più l’ansia di avere dimenticato o sbagliato qualche regalo o che intorno alla tavola del giorno di Natale manchi qualcosa o qualcuno.