Il soffrire non Ti è estraneo
Santi innocenti (1Gv 1,5-2,2 / Sal 123 / Mt 2,13-18)
[I lettori e gli amici cercheranno nella loro casella di posta elettronica il pensiero di oggi, inviato agli iscritti con sistema automatico. Sebbene fossi più puntuale del solito sulla sveglia, mi sono letteralmente perso ad ammirare l’opera d’arte, di cui parlerò in questo articolo. Così, alle ore 7 – puntualmente – il sistema di invio non ha trovato ciò che doveva inviare… stavo ancora scrivendo e non mi sono accorto di quanto tempo fosse già passato. Comunque sia, ci siamo!]
Il calendario delle festività natalizie – evidentemente – non ha intento cronologico e così il tempo di Natale ha una pluralità di significati. Nascere in terra è l’inizio della vita ma con un pizzico di poesia in più, lo stesso evento – la nascita appunto – è detto anche «venire alla luce». E così ci accorgiamo che questa azione – il venire alla luce – è qualcosa di quotidiano e anche spirituale, piuttosto che un solo evento puntuale che coinciderebbe col giorno della nascita. Allo stesso modo, sempre con un altro po’ di poesia, si nasce in terra ma si può nascere anche in cielo. Nulla di stravagante: se il Figlio di Dio è nato sulla Terra degli uomini, non è meno improbabile o impossibile che gli uomini possano nascere in cielo, laddove facilmente gli uomini collocano Dio. E così sul calendario al Natale di Gesù segue il martirio di Stefano, evento che tuttavia risale ad alcuni anni dopo la morte e resurrezione di Gesù. La vicenda del santo, raccontata nel libro degli Atti degli Apostoli, ricalca in tutto e per tutto la passione e morte di Gesù, parole comprese.
La festa di san Giovanni (ieri) ha il suo perché nella profonda vicinanza con Gesù stesso ed ha al contempo quella giusta distanza per poter osservare tutta la vicenda del Maestro e descriverla in un nuovo Vangelo, l’ultimo in ordine cronologico.
Questo convivere di differenti tematiche attorno al Natale di Gesù, sembra rubarci quell’innocenza bambina che osservava con tenerezza il presepio senza percepire il dramma di un rifiuto, dell’incapacità dell’uomo di far posto ad una donna che sta per partorire e al suo figlio che deve nascere. Maria «diede alla luce il suo figlio»… e noi intanto cerchiamo di fare luce attorno a questa vicenda che è la vita, fatta di letizia e di sofferenza. Cercare la Luce è evento natalizio: cercare la luce anche nei giorni bui, anche nei momenti in cui la luce sembra essersi spenta, anche quando le tenebre del male o dell’errore sembrano vincere sul bene e sulla verità.
E dunque, fatta questa lunga premessa (che voleva essere un accenno di risposta ad un commento di ieri) eccoci davanti ad un altro martirio, precedente a quello di Stefano e contemporaneo del Bambino di Betlemme: è il mistero del male ingiusto e innocente. Chissà se ancora lo si racconta ai bambini. E chissà come sarà raccontato… chissà come sarà percepito. Alcuni parroci collocavano in questo giorno la benedizione dei bambini: a questo punto penso perfino che fosse un gesto profetico. Non tanto la benedizione in sé (quelle si possono donare in ogni istante) quanto piuttosto l’educare i piccoli a riflettere sul mistero del male e del male fatto a degli innocenti, difesi certamente dai corpi delle loro stesse madri eppure non scampati alla crudeltà di Erode. «Così è togliere la poesia del Natale!» potrebbe obiettare qualcuno. Ma è un mistero che non rimane nascosto ai nostri orecchi e, talvolta neppure ai nostri occhi.
Di quel bambino di appena un anno, morto assiderato circa un mese fa sul confine con la Polonia, ho provato a parlarne in una scuola durante un recente incontro nel tempo dell’Avvento. Niente di più naturale per dei ragazzi che superare quella linea di confine e prendere quel neonato per portarlo in salvo, al caldo. E la domanda dunque ricade sugli adulti: «Cosa ci voleva? È così difficile? E perché si lasciano morire ancora degli innocenti? Di cosa sono colpevoli?»
Il racconto della strage degli innocenti, se da una parte sembra dunque togliere incanto al Natale (ammesso e concesso che ce ne sia!), accende una luce su verità che non vorremmo mai guardare in faccia, su luci che non vogliamo lasciar risplendere sui lati più oscuri della vicenda umana. È la Luce che permette all’uomo di vedere chiaramente e se la Luce è Gesù stesso – «Io sono la luce del mondo» dirà un giorno nel Tempio di Gerusalemme (Gv 8,12) – ecco perché si portano vicino al Natale queste tragiche questioni.
Quel Natale di Gesù che fa apparire visibile ai nostri occhi la grazia di Dio non è l’invidiabile storia felice dentro un groviglio di disgrazie umane e terrene. Quel Natale di Gesù è esattamente l’altro nome di quel Dio che volle farsi conoscere e non rimanere estraneo a queste umane ingiustizie. Accusato di essere spettatore dei nostri eventi dolorosi, Egli decise di immergersi in un mare di problemi, conservando tuttavia la sua essenza di Luce: altrimenti come potremmo vederci chiaro, come potremmo muovere un passo dopo l’alto?
C’è un’opera d’arte – quella che apre questa pagina – che ha cercato di racchiudere tutto questo in poesia. Non è la soluzione, certo. Ma è il segno di un mondo che provava a riflettere, a ragionarci sopra e quando un artista riusciva a completare l’opera questa rimaneva come segno, come testimonianza di un lavoro fatto nel fondo delle coscienze e non solo. Giusto per collocarci: l’opera porta la firma di Domenico Ghirlandaio. Siamo a Firenze, anno del Signore 1485. L’opera fu commissionata per l’altare di una chiesa particolarissima, la chiesa dello «Spedale dei Gittarelli», i bambini abbandonati, «gettati» perché non voluti o perché impossibilitati a farli crescere.
In quest’opera d’arte, è fortissimo l’accostamento simultaneo che si fa tra il Natale, l’adorazione dei Magi e la strage degli innocenti. Quest’ultima è raffigurata sullo sfondo, nella parte alta dell’opera a sinistra, al di fuori delle mura di una città ben fortificata, sulle sponde di un fiume che scorre lento. Ma in primo piano, in mezzo certamente ai ritratti dei committenti o degli sponsor (oggi metteremmo targhe con nomi, all’epoca ci si faceva raffigurare all’interno del quadro stesso) tra il fastoso corteo dei Magi giunto alla capanna, spiccano due infanti inginocchiati, nelle loro vesti candide, gli unici (escludendo ovviamente Maria, il Bambin Gesù e Giovanni Battista) muniti già di aureola. Il piccolo martire innocente di destra è presentato al Bambin Gesù da uno dei Magi, quasi a sottolineare che l’offerta di quella tenera vita è più preziosa dell’oro e di tutti gli altri doni. L’altro, quello di sinistra, sta accanto a Giovanni Battista. Non a caso. Sul suo volto gocce di sangue, come corallo che impreziosisce l’opera… della vita innocente offerta.
Porre questa scena sull’altare maggiore di una chiesa fu chiaramente un segno: la sofferenza dei «gittarelli», come la morte dei santi innocenti, non è indifferente a Dio e l’epifania di Dio (cioè la sua manifestazione, la sua precisa volontà di farsi conoscere) non è estranea all’umano soffrire. Dietro al Bambin Gesù, alcuni muratori stanno costruendo un muro, segno di quell’opera che si stava realizzando: uno spedale ove raccogliere chi non aveva riparo, dimora, casa.
La scomparsa dell’arcivescovo Desmond Tutu lascia a noi il suo celebre monito: «Se sei neutrale in situazioni di ingiustizia, hai già scelto la parte dell’oppressore». Attorno al Natale di Gesù dovremmo tornare a raccontare anche delle continue stragi degli innocenti, semplicemente per non essere neutrali. Questi innocenti non hanno neppure potuto sperimentare la salvezza che si attua nella fuga. Non a tutti è dato di scampare dalle catastrofi naturali, dalle guerre, dai regimi ingiusti. Gesù è un povero tra i poveri, ma molti lo sono più di lui: coloro che non possono fuggire.
La preghiera di oggi potrebbe essere molto semplice e spontanea: chiedere a Dio, come fa quel re mago nel quadro, di volgere il suo sguardo non a noi ma a chi ha donato la sua vita in un martirio silenzioso.
Dio, gioia dei cieli,
Dio, gemito di tutto il creato,
Dio, amante della vita,
donaci il tuo Spirito
per mezzo del quale gridarti sempre:
«Abbà-Padre».
Dal Vangelo secondo Matteo (2,13-18)
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi.
Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremìa:
«Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande:
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata,
perché non sono più».
Signore Gesù, noi non comprendiamo
ma sappiamo che Tu sei venuto
a dare un senso anche alla morte:
che nessuno di noi perda mai
la fede davanti a qualunque sventura
e sappia stare, come la Madre,
sotto il legno in silenzio e in attesa.
Amen.
Un tempo tantissime persone erano analfabete ma attraverso la pittura potevano “leggere” la Parola, altrimenti a loro preclusa.
La pittura era come i giornali di oggi, cosicché la Parola si diffondeva.
Così purtroppo anche le pagine più dolorose potevano essere lette e meditate.
Oggi anche a noi vengono raccontate tante stragi, non con la pittura, ma con immagini vere.
Non so se sappiamo meditare su queste cose, ma una cosa so di sicuro.
Alla fine dei tempi i bambini di Betlemme si ergeranno a puntare il dito contro Erode.
E noi… per noi si ergeranno i tanti bambini morti per i nostri rifiuti.
Che il Signore abbia pietà di noi….
Questa riflessione di oggi mi è tanto più preziosa in quanto ha contribuito a farmi procedere un gradino in più nel mio percorso di fede. La luce già di per sé aiuta soprattutto a “vedere meglio”. Tanto più logico allora che la Luce divina ci aiuti a “vedere meglio”, non già con gli occhi, ma con il cuore. Ma vedere cosa? Le cose belle già le notiamo, ci immergiamo e crogioliamo volentieri… Sono le cose dolorose, quelle che fanno male a noi e, soprattutto, quelle che noi – agendo più o meno consciamente – provochiamo agli altri che facciamo più fatica a guardare, affrontare e confessare.
La presa di coscienza è scomoda. Non è bello rendersi conto che le nostre azioni, ma anche le nostre non azioni, sono una scelta di azione, si sceglie di “astenersi” anche quando, pur nel nostro piccolo, si potrebbe agire… E capita, capita a tutti, soprattutto quando si è più presi da impegni e scadenze varie e “non si ha più tempo per niente”. C’è da imparare invece a prendersi più tempo, più respiro, innanzitutto per non soccombere al vortice degli oneri che ci accolliamo e che ci vengono accollati. Ma in secondo luogo anche per poter riflettere debitamente sul proprio agire, per evitare di “passare oltre” le piccole o grandi necessità dei fratelli e delle sorelle (parenti, amici, conoscenti o sconosciuti che siano) che incontriamo lungo il percorso della nostra vita. Darsi più tempo anche per allenarsi ad essere meno indifferenti a quella gran marea di vita di cui tutti facciamo parte.
Grazie don per aver rinnovato i fili e dato un senso a quello che stiamo leggendo in questi giorni. Sia nei vangeli che nella cronaca quotidiana. È davvero inutile non raccontare ai bambini il vangelo di oggi, quando la realtà odierna racconta le stesse ingiustizie e crudeltà.
Forse dovremmo, noi adulti, rieducarci ad ascoltare la loro schiacciante semplicità: i confini sono solo convenzioni, che si possono facilmente superare, se si vuole…
Guardando la statuetta di Gesù Bambino di un bellissimo presepio, ho notato che un piedino è rimasto senza due dita, forse un piccolo incidente prima di essere deposto lì… Questo mi ha fatto pensare a tanti Bambini che sono nella sofferenza, rifiutati, abusati, ignorati, perseguitati, sfruttati, sono bambini poveri ossia mancanti di dignità. Ma forse anche i nostri bambini ricchi di tante cose sono mancanti di valori, di esempi, di ascolto… Donaci, Signore, il tuo Santo Spirito per donare ad ogni bambino il vero Valore della vita che sei Tu e non permettere che di fronte alle ingiustizie ci voltiamo dall’altra parte.
Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)
Difronte al male tremendo della guerra e dello sterminio nazista ha meditato sul Mistero del Natale con queste bellissime parole:
[…]Il Figlio dell’ Eterno Padre dovette scendere dalla Gloria del cielo perchè il mistero dell’iniquità aveva avvolto la terra, Egli venne come la luce che illumina le tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolto.
A quanti lo accolsero Egli portò la luce e la pace; la pace col Padre celeste, la pace con
quanti come essi sono figli della luce e figli del Padre celeste, e la pace interiore e profonda del cuore; ma
non la pace con i figli delle tenebre.
Ai figli delle tenebre il Principe della pace non porta la pace, ma la spada. Per essi Egli è la pietra d’inciampo, contro cui urtano e si schiantano.
Questa è una verità grave e seria, che l’incanto del Bambino nella mangiatoia non deve velare ai nostri occhi.
Il mistero dell’incarnazione e il mistero del male sono strettamente uniti.
Alla luce, che è discesa dal cielo, si oppone tanto più cupa e inquietante la notte del peccato.
Il Bambino protende nella mangiatoia le piccole mani, e il suo sorriso sembra già dire quanto più tardi, divenuto adulto, le sue labbra diranno: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e affaticati.
Ai bambini di Betlemme, che non possono ancora dare alcunché da parte loro, le mani del bambino nella mangiatoia prendono la tenera vita, prima ancora che sia propriamente cominciata. Difronte ad essi sta la notte dell’indurimento e dell’accanimento incomprensibile, il re Erode che vuole uccidere il Signore della vita. Difronte al Bambino nella mangiatoia, gli spiriti si dividono, egli è il Re dei Re il Signore della vita e della morte. Egli pronuncia il suo “Seguimi” e lo pronuncia anche per noi, ponendoci difronte alla decisione di scegliere fra la luce e le tenebre.
“Seguimi”, questo invito percepì anche il giovane Stefano. Egli seguì il Signore nella lotta contro le potenze
delle tenebre, contro l’accecamento della testarda mancanza di fede; gli rese testimonianza con le sue
parole e col suo sangue; lo seguì anche nel suo spirito, nello spirito dell’amore, che combatte il peccato, ma
ama il peccatore e intercede per l’assassino davanti a Dio anche in punto di morte[…]