Salire per scendere

Sabato della III settimana di Quaresima (Os 6,1-6 / Sal 50 / Lc 18,9-14)

Bonum est confidare in Domino,
bonum sperare in Domino

Dal Vangelo secondo Luca (18,9-14)

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 Le parabole stuzzicano la nostra immaginazione descrivendo in modo efficace alcune situazioni che potrebbero perfino apparire come caricaturate. È il caso dei due uomini che salgono al tempio a pregare, in cerca di una loro intimità con Dio. E quando la preghiera potrebbe essere un rifugio di sincerità con se stessi e davanti a Dio ecco che amiamo circondarci degli altri che diventano solo termini di paragone. Non si tratta di caricature, non si tratta nemmeno di esagerazioni. Siamo abilissimi a polarizzarci, a distinguerci, a confrontare e confrontarci.

Si tratta di fariseismo dunque: quell’atteggiamento che convince semplicemente un credente d’essere migliore degli altri, forte d’una moralità che egli stesso s’è dato in funzione di quello che egli può ben fare o dare. E gli altri sono solo disprezzabili e disprezzati. Dio non interviene  per chi se la canta e se la suona da solo, per chi si regola i conti da sé. Il fariseo ha una sua morale fatta di distinzioni precise e sempre più marcate. Pieni e sicuri di sé non si avverte la mancanza e dunque c’è poco da chiedere. Obiettivo è diversificare, distinguersi, prendere distanze. Che senso ha dunque stare davanti a Colui che si è mescolato con le più tristi vicende umane, con colui che s’è avvicinato ai più deboli e ai bisognosi?

Il pubblicano invece sta davanti a Dio consapevole di sé, del suo male o della sua miseria. Ha poco o nulla da dire. Quello sguardo rivolto a terra lo mette in condizione di stare sotto un’altro sguardo che tuttavia non condanna ma giustifica. 

… Eppure tu vedi l’affanno e il dolore,
li guardi e li prendi nelle tue mani.
A te si abbandona il misero,
dell’orfano tu sei l’aiuto.

Tu accogli, Signore, il desiderio dei poveri,
rafforzi i loro cuori, porgi l’orecchio,
perché sia fatta giustizia all’orfano e all’oppresso,
e non continui più a spargere terrore
l’uomo fatto di terra.

(salmo 10, 14.17-18)


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Piccoli Pensieri (3)

Savina

Un plauso al pubblicano per la sua onestà, il coraggio di mostrarsi così, perché immagino che tutti preferiamo mostrare solo il lato bello e buono di noi stessi.
Non conosciamo il suo nome, ma facilmente lo possiamo vedere in fondo al tempio che si batte il petto come noi ad ogni celebrazione Eucaristica.
Come altre volte, questa Parola mi rimarrà più impressa perché ad ogni messa a cui parteciperò, battendomi il petto al Confiteor, mi sentirò come il pubblicano, bisognosa di perdono.
Mi piace pensare che Gesù abbia potuto vedere veramente questa scena, per poi raccontare per fare passare questo importante messaggio, cioè che la nostra natura tende più al male che al bene e ostentare il bene fatto non ci mette al riparo dal male che facciamo e nascondiamo.
Dunque diventiamo bisognosi di perdono e, ammesso questo, accolti dal Padre come nella parabola del Padre misericordioso.
E come in un altro passo, dove veniamo invitati a fare il bene nel nascondimento.
Il Padre ben ci conosce, mi sembra di vederlo sorridere ad ogni cosa buona che facciamo, di vederlo con il volto triste se il male facciamo, ma lo vedo proprio indispettito, (ecco, che il Signore mi perdoni!) quando cerchiamo di fare i furbi con tanti sotterfugi…
Signore abbi pietà di me, battiti il petto Savina, in fondo alla chiesa prima del segno di croce e prima di prendere posto nei banchi!

26 Marzo 2022
Pat

Ieri pomeriggio, durante la liturgia penitenziale che ha preceduto la supplica a Maria per la pace ho fatto anche io un esame di coscienza… e poi oggi viene questa parabola a destabilizzarmi. Non dico di sentirmi come il fariseo, no, conosco le mie colpe, e sono sempre le stesse, e ad ogni confessione mi riprometto di essere migliore, di liberarmi da questi limiti, e poi… ogni volta ho l’impressione che non sia cambiato nulla, trancio giudizi persino su chi incrocio in auto e non mette la freccia quando esce dalle rotonde… per non parlate del resto. La cosa che mi ha colpito del discorso di ieri di Francesco sulla confessione è che non ha accennato al “dopo”, come se la cosa importante fosse semplicemente il riconoscerci peccatori e bisognosi dell’amore del Padre. Quando prego chiedo a Dio di rendermi migliore di come sono, ma, per l’ennesima volta, delego a Lui di fare qualcosa per me. L’unica cosa che posso fare credo che sia semplicemente il rendermi conto di quando sbaglio, cercando di correggermi nel momento in cui lo faccio, quelle poche volte che ci riesco. E cercare di rimediare, se è possibile…

26 Marzo 2022

Grazie a Dio, per tutti noi, per me, Dio non è un “ragioniere”, uno che sta a contare quanti peccati e quante azioni buone ho compiuto per poter avvicinarmi a Lui. La figura del pubblicano è la più bella perché descrive di un uomo umile che non ha neppure il coraggio di avvicinarsi a Dio, non solo timoroso del suo giudizio, ma soprattutto consapevole della sua miseria. Fossi io come lui… con i miei errori e i miei, anche se pochi, pregi e libera di stare di fronte a Lui con la consapevolezza di essere amata sempre e perdonata, di avere un cuore pulito che pur desiderando il bene, magari invece fa il male…

26 Marzo 2022

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