Due figli, due fratelli

IV domenica di Quaresima (C)
(Gs 5,9-12 / Sal 33 / 2Cor 5,17-21 / Lc 15,1-3.11-32)

Il Signore ti ristora, Dio non allontana
Il Signore viene ad incontrarti, viene ad incontrarti

Dal Vangelo secondo Luca (15,1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Le parabole della misericordia  – quella del padre misericordioso più di tutte – definiscono il regno di Dio, lo spazio della sua presenza, del suo agire in favore dell’uomo, per noi che spesso ricerchiamo e costruiamo la nostra identità marcando differenze, sottolineando diversità attraverso un processo sottile, a volte subdolo, che può perfino portare a marcare confini, a scavare trincee di separazione, linee di difesa e di confronto… fino a costringerci a tornare indietro, a leggere le più tristi pagine della Scrittura, quelle in cui si narra di Caino che uccide. Succederà anche alla religione – ed è probabilmente un suo principio intrinseco – di determinare con insistenza alcune categorie a noi ben note: il bene e il male, la giustizia e l’ingiustizia, i buoni e i cattivi.

Tre parabole raggruppate nel capitolo 15 del Vangelo di Luca, parabole motivate dalla mormorazione di scribi e farisei. Due parabole (quella della pecora e della moneta ritrovate) dove si cerca ciò che è perduto e una dove si attendono due ritorni. In tutto tre parabole che si concludono con una festa. Ma torniamo all’inizio del brano evangelico dove sono ben marcate le due categorie: i pubblici peccatori e gli osservanti della legge religiosa: In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». I farisei e gli scribi che mormorano tra loro, che parlottano, mugugnano… incapaci di dire il loro disappunto a questa comunione del Figlio di Dio coi peccatori. E nella parabola invece, un Padre che lascia libertà di andarsene e che dal profondo delle sue viscere genera tutta la sua misericordia, senza nasconderla affatto. E parole chiare, ordini precisi… per la festa. Vitello compreso che, nel caso, avrebbe ingrassato per offrirlo al Tempio… al bisogno. Il sacrificio si trasforma in festa, non al Tempio ma nella casa perché quel padre sa benissimo che non se ne fa nulla Dio del grasso dei nostri sacrifici se non siamo capaci di misericordia.

Ad ascoltare attentamente la parabola sono proprio i buoni ad essere più esposti al vero rischio: fare affidamento sulla propria bontà. Per il Vangelo non è problematica l’errare del figlio minore, ma il non voler partecipare alla festa del figlio maggiore. Al cuore della Quaresima, al cuore del cammino penitenziale, c’è un annuncio di gioia perché non travisiamo il senso dell’osservanza e comprendiamo il senso dell’accoglienza da riservare ai peccatori. In fondo, riconosciuto che tutti siamo cattivi, erranti o peccatori, per cosa staremmo dunque camminando se non per ritornare alla gioia, per convertirci alla bontà, per avere la vita piena?

Il Vangelo è anzitutto rispetto di ogni cammino e attesa di ogni ritorno. Prima d’essere – come molti credono – il libro dell’igiene morale di una religione. Ed ecco dunque: nella medesima casa, sotto il medesimo tetto, attorno allo stesso tavolo, ci sono due figli, due fratelli. Per comprendere la parabola in tutta la sua forza, dovremmo anche e più semplicemente metterci dalla parte del figlio maggiore, quello buono. Siamo noi quei credenti che si sentono “apposto in coscienza” per tutte le ragioni che sappiamo sempre addurre. Siamo proprio noi quei figli – sempre in casa – che ancora faticano a comprendere come il Padre possa sperperare tanta ricchezza per far festa al figlio disgraziato. Lo scandalo evangelico non sta nel peccato – questo è perdonato e la parabola lo dice chiaramente – ma nell’amore smisuratamente generoso del Padre e nella dura resistenza del figlio sedicente buono che si autoesclude dalla festa, rinnegando perfino la fraternità. Al padre rimprovererà apertamente che «quel suo figlio è tornato»… non volendo dunque riconoscerlo più il fratello. In realtà – così vuole la parabola – non sappiamo se il figlio maggiore entrerà o meno. Proprio perché quello spazio di decisione è il nostro.

Entrare in casa, entrare nel regno di Dio scompone il nostro mondo, scompone il mondo di coloro che si credono buoni. Sentirsi diversi per onestà, sentirsi non contaminati, vedere che il mondo va alla malora e starsene fermi nella propria integrità morale è grandissima soddisfazione. Ma non è soddisfazione che piace a Dio. Gesù – lo ha detto – non è venuto ad abolire la Legge, ne è venuto a complimentarsi con chi volta le spalle alla casa del Padre. Ma poiché questo può anche accadere, ecco che il Vangelo fa proseguire la vita, la storia e racconta il desiderio di vita che abita anche al fondo del cuore del figlio più disgraziato. L’amore di Dio dunque non agisce per costruire una moralità pubblica come scribi e farisei (a quella basterebbe che l’uomo vi si impegnasse). L’amore di Dio raggiunge la più smarrita delle creature.

Noi siamo nel mondo per aprire il banchetto della festa. Noi siamo nel mondo per andare a preparare la Pasqua che il Signore vuole ancora vivere in mezzo a noi. Invece di mugugnare contro il figlio che torna senza vederne un fratello, basterebbe che noi pure chiedessimo al Signore: Dove vuoi che prepariamo la Pasqua perché tu la possa mangiare con noi? (Lc 9,22)

[…] Padre, perdonami
Tu conosci le stelle
fanno parte dei sogni
che un uomo lo sai
ha sulla pelle.
Padre, perdonami
ma sembravano belle
e cadevano tutte 
lasciando ferite.
No, non erano stelle.
Abbracciami stasera,
non lasciarmi solo,
credevo di volare
e non c’era il cielo.

Lui mi ha visto ed ero ancora lontano
e per primo mi ha teso la mano,
le braccia aperte come fossi il mondo, 
ho conosciuto l’amore più profondo.
Fratello mio, non provare rancore
se il mondo perde e se vince l’amore.
Non mi lasciare da solo a far festa
a cosa serve questa veste d’oro
se tu rimani in disparte da solo? […]

(Marcello Marrocchi, il figliol prodigo)


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Piccoli Pensieri (2)

Maria

Signore Gesù, fa’ che sia sempre attenta hai bisogni del fratello e lo possa sempre riconoscere come tale, per partecipare alla festa che il padre ha preparato per il suo ritorno; fa’ che la casa del mio cuore sia sempre aperta per festeggiare insiemi con la gioia della fede.

27 Marzo 2022
Carla

Leggendo questo vangelo mi veniva dentro una tenerezza nei miei confronti. Un amico un giorno mi disse: ” non lasciare che le tue ferite mettano in risalto ciò che tu in realtà non sei”. Però mi accorgo che ho ancora moltissima strada da fare…perdonare sé stessi è ancora più difficile che perdonare i più prossimi a me e anche agli sconosciuti. Fossi io capace di un perdono così gratuito come mi regala ogni volta il mio Signore …mi accorgo delle pretese che ho nei confronti di mio marito o delle mie figlie ad esempio, o degli amici. Spesso non mi trattano bene o hanno un modo diverso dal mio di concepire la vita, ma quando mi offendono è raro che io sappia fare come Gesù, cioè dimenticare subito e perdonare, come ha fatto quel padre, che incute una tenerezza infinita, con suo figlio, o come Gesù che era mite, spaventato quel venerdì santo ma che non rispondeva alle offese, agli insulti che gli venivano fatti, che con paura affrontò di morire per me, che si sentì solo, ma che si rivolse a Suo Padre ed accettò quella morte così crudele in croce .

27 Marzo 2022

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