Vuoi guarire?
(Ez 47,1-9.12 / Sal 45 / Gv 5,1-16)
Retourne, mon âme, à ton repos car le Seigneur t’a fait du bien.
Il a gardé mon âme de la mort.
Il essuiera pour toujours les larmes de nos yeux.
Ritorna, anima mia, alla tua pace perché il Signore ti ha fatto del bene.
Ha custodito la tua anima dalla morte.
Egli asciugherà per sempre le lacrime dai nostri occhi.
Dal Vangelo secondo Giovanni (5,1-16)
Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.
La domanda è diretta, scarna, essenziale. Decisa e pure decisiva. Non è ingenua e nemmeno banale. «Vuoi guarire?». Perché al male ci si può pure abituare. Perché pur di non star peggio si può pure finire per accontentarsi di star male. Magari consolandosi col pensiero di chi sta peggio. Forse ci si abitua pure al male, lo si sopporta con pazienza. Oppure si può scivolare o annegare in un vortice di rivendicazioni: gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me».
«Vuoi guarire?». Perché poi quel giorno era sabato. E bastava pure rispondere che – sì – si vorrebbe guarire ma quello non era certo il giorno più idoneo: da sguardi di umana compassione si sarebbe passati sotto sguardi inquisitori contro i trasgressori della legge sabbatica. E cosa fosse peggio, non sapremmo nemmeno dirlo.
Così quella domanda, rivolta al paralitico suona pure come una domanda rivolta anche «ai gestori del santuario dalle acque miracolose», una domanda rivolta alle istituzioni, a coloro che hanno il potere di decidere sulla vita altrui. Si vuole davvero che l’uomo guarisca o è meglio tenerlo sempre ammalato di qualcosa, soggiogato ad una qualche paura?
La fede non è una parziale medicazione, un’anestesia locale. Non si tratta nemmeno d’essere facili creduloni. Il prezzo di questa liberazione è caro… per colui che guarisce, salva e riabilita: uno sconosciuto Gesù, riconoscibile solo perché pagherà di persona il prezzo della libertà offerta, riscoperta, donata.
[…] Tu,
rispondi bene alla vita,
le gambe camminano
i denti sorridono
le mani dirigono l’orchestra
la testa pensa
e con il cuore
ribalti tutto.
(Gio Evan, da Anatomia semplice)
Kenny Random, È questa la vita che sognavi, Centro Culturale San Gaetano, Padova
Vuoi guarire? Risposta non scontata!
Certe volte la malattia diventa “il tutto” di una persona e se guarisce non ha più nulla da raccontare.
Malattia come idolo.
Un giorno assolato in quel paese quasi dell’eterna primavera. Piegata e strisciante a terra per via del dolore insostenibile alla schiena, supplicavo chi era con me di farmelo passate, ma sapevo che aveva fatto tutto il possibile. “Devi aiutarmi, se non riesco a lavorare che cosa ci sto a fare qui?! Sono inutile!” Mi ha guardato con compatimento “Se davvero la pensi così mi fai pena”. E se ne è andato. Sono rimasta lì trascinandomi sul prato, almeno al sole che scaldava. Se ne erano andati tutti. E mi presero la disperazione, il dolore, la solitudine, soprattutto l’impotenza e l’inutilità del mio essere lì. Avevo voluto offrire il mio lavoro, le mie mani per aiutare gli altri. Lo ammetto, ne ero orgogliosa, e adesso eccomi qui, inutile a me stessa e agli altri. È stato il senso di impotenza che mi ha aiutato a riflettere. Non avevo nulla, non servivo a nessuno, ma potevo offrire il dolore e l’impotenza. Potevo partecipare. Devo ogni giorno ringraziare Dio per questa esperienza di dolore assoluto che mi ha dato una bella botta di umiltà e che riporto alla mente quando le cose mi sembrano andare male. Grazie Dio della partecipazione al dolore del mondo.
“Si vuole davvero che l’uomo guarisca o è meglio tenerlo sempre ammalato di qualcosa, soggiogato ad una qualche paura?”
Questa domanda è davvero cruciale, è un coltello piantato tra le costole di padri e madri,educatori e insegnanti, politici ed economisti, preti di ogni chiesa, scienziati e medici…molto contemporanei!
Quanto è attuale questo Gesù che sceglie la liberazione della persona e non è preoccupato d’altro!
….
Vorrei cercare di essere “sconosciuta” che camminano accanto, non so ancora pagare di persona, mi preoccupo ancora del giudizio di altri…
A nessuno piace essere ammalato, disabile, infermo, soffrire e Gesù, camminando sulle nostre strade ha risanato tutti quelli che, bisognosi, incontrava spendendosi senza limiti e fuori dalle regole.
Il suo intento?
Non certo per farsi bello, avere notorietà, essere omaggiato…
L’ho capito nel lavoro che ho svolto in questi ultimi vent’anni.
L’ho capito perché entrando nelle case per l’assistenza domiciliare non mi capacitavo del dolore, delle difficoltà, della sofferenza quotidiana fino a che ho posto una precisa domanda al Signore: “Perché?”
La risposta… nella nostra risposta a questi bisogni fatta non solo dal saper fare ma dal saper essere… compassionevoli cioè patire con…
E non è vero che le persone in coma, o con gravi malattie altamente disabilitanti non percepiscano come vengono accuditi e il “come” fa la differenza, ve lo assicuro.
Ho capito l’agire di Gesù, il suo era di nuovo l’insegnamento ad essere accanto a chi soffre con grande attenzione, cura e un briciolo di allegria, perché serve anche quella (perdonate piccola digressione: anni fa, una mattina presto in casa di una coppia anziana, il marito da accudire e che faceva tribolare, la moglie in ansia e agitazione… ho raccontato una barzelletta, beh non ho mai visto una persona ridere così di gusto, sono venuta via contenta), certo noi non possiamo miracoli, ma anche una risata può essere un miracolo, questa nostra attenzione è un miracolo, togliere brutti pensieri è un miracolo…
Viviamo in una società nella quale purtroppo l’ammalato da’ fastidio, non produce, certi ammalati vengono chiamati “ebeti” : che tristezza! E quanto ci perde in dignità quella società… Certamente un qualsiasi ammalato vorrebbe guarire, basta guarire. Ma se non gli è permesso guarire, l’unica sua salvezza è avere fede in Colui che ha preso su di sé tutto di ogni uomo, dunque anche la malattia. La fede non è una parziale anestesia, è invece un grande, grande aiuto a vivere la condizione dell’essere ammalato.