Abitare la Galilea delle genti

Alcuni dettagli – non indifferenti – fungono da scintilla, innescando in Gesù una precisa volontà: trasferirsi da Nazareth (la casa famigliare) a Cafarnao, nella Galilea delle genti, dove inizierà a ripetere le stesse parole di Giovanni Battista, da poco arrestato. Ripetere con le proprie labbra la parola di un altro – soprattutto se quest’altro appare come un perdente – è già indizio di coraggio. Occorre tuttavia che quella parola sia stata ben ascoltata, meditata e compresa.
Da piccoli impariamo a ripetere un po’ tutto quello che ascoltiamo in giro, senza nemmeno sapere il significato di alcune parole. A volte, soltanto quando abbiamo provato a ripeterle e a dirle con le nostre labbra, ne abbiamo compreso il significato e il valore. Al negativo, per fare un esempio: davanti ad un bambino che ripeterà qualcosa di non buono, i genitori si guardano basiti come a chiedersi: «Chi gli ha insegnato queste cose? Dove le ha imparate?».
C’è un tempo nella crescita di una persona che coincide proprio con questo tempo in cui si ascoltano e si assorbono pensieri, opinioni, parole di ogni genere. Non parlo solo del tempo dell’apprendimento di alcune nozioni, di alcuni meccanismi e di alcuni funzionamenti. Parlo di un tempo in cui una cosa pare tutto… e pure il suo esatto contrario. Ci illudiamo di poter crescere una persona immergendola completamente in un pensiero unico, univoco. Nella migliore delle ipotesi quella persona si chiederà, ad un certo punto, se esiste al mondo soltanto quel modo di pensare e di vedere le cose.
Per stare alle parole del Vangelo di oggi, il vero problema non è abitare la Galilea delle genti. Addirittura questa collocazione geografica di un Gesù adulto (che ha già attraversato le tentazioni nel deserto) è la condizione ottimale, auspicata perfino dalla parola più antica del profeta Isaia. L’uomo lamenta spesso (o sempre?) di abitare in una babilonia, in un mondo dove non ci si capisce più, dove non c’è più una linea guida e tuttavia siamo abbastanza insofferenti ad ogni forma di pensiero unico o di imposizione. Perchè? Ci manca il tempo della riflessione, dell’interiorizzazione, del metabolizzare quella parola che può farci crescere e di rifiutare ciò che invece ci può perfino impedire di vivere.
Eccola dunque la Galilea delle genti che vive attorno a noi e in noi, un vero crocevia di pensieri pagani, dove sacro e profano (per usare questa categoria più proverbiale che tutto!) si mescolano, dove tenebre e Luce coesistono, dove il male non può essere estirpato come fosse zizzania dal campo del buon grano. La vera questione non è che siamo immersi in un’infinità di opinioni, ora più che mai messe in scena per inasprire la contrapposizione più che il confronto.
La Galilea delle Genti, ove Gesù si stabilirà, è esattamente questa marasma che tuttavia lo obbliga ad una riflessione personale, ad un’interiorizzazione profonda, ad una valutazione precisa. Ascoltata la Parola di Dio, ascoltate le parole di Giovanni Battista, osservati attentamente i comportamenti degli uomini che spesso paiono delle vere tentazioni diaboliche, dopo un lungo tempo di discernimento, Gesù porta sulle sue labbra lo stesso invito del precursore. Il fatto che Giovanni Battista sia in carcere deporrebbe a sfavore di una ripetizione del suo messaggio, eppure Gesù vede in quel sacrificio personale la verità del messaggio. La Parola è vera quand’è incarcerata o crocefissa. La buona notizia del Vangelo abita proprio nel paradosso che seppur incarcerata o crocefissa, la Parola continua a fare Luce, a farsi udire, a parlare.
Il dato di base biblico o culturale è di fatto sempre una constatazione al negativo: siamo un popolo che ha camminato, cammina e camminerà sempre nelle tenebre… ma queste tenebre – dato positivo – non potranno inghiottire la Luce perché è proprio lì che la Luce splende. Laddove gli uomini sentenziano lontananze, divisioni o separazioni, sarà proprio la Parola fatta carne a dire l’assoluta, totale e gratuita vicinanza di Dio, che è l’esatto contrario di quanto compiono gli uomini. Ecco perché c’è annunciata e richiesta la conversione.
Quando pregando «Padre nostro..» portiamo alle nostre labbra questa parola del Figlio di Dio, mi chiedo se ci accorgiamo del potere sovversivo di queste parole. Noi abbiamo della preghiera una visione troppo statica, come di formule fisse e rigide che solo a cambiare due parole insorgiamo (così è pure accaduto in qualche ambiente della fede). La preghiera dei figli è parola di Gesù che noi portiamo alle nostre labbra. Pure nel segreto noi operiamo questo discernimento sempre più necessario tra gli uomini che si sentono quanto mai privi di riferimenti.
Fa’ che sentiamo, Signore,
la tua presenza e il tuo amore,
promesso ai cuori umili e spezzati
che temono e amano la tua Parola.
Il tuo Figlio prediletto
è venuto incontro a tutti gli uomini
agli abbandonati (e tutti lo siamo).
Egli per tutti è nato in una stalla
ed è morto in croce per tutti.
Signore, destaci tutti
e fa’ che siamo svegli
per riconoscerlo e confessarlo.
(Karl Barth)
Dal Vangelo secondo Matteo (4,12-17;23-25)
In quel tempo, quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.
Padre nostro
di tutti e di noi due
dei nostri padri e dei nostri figli
che sei nei cieli
sempre di fronte a noi
e più avanti di noi
sia santificato il tuo nome
fa’ che ci ricordiamo di Te
e ti riconosciamo tra noi
per quello che sei,
nostro Signore e nostro Dio.
venga il tuo regno
che è giustizia, pace e amore
tra noi e in tutto il mondo
sia fatta la tua volontà
che è volontà di vita,
e di bene per tutti,
che vede chiaro
dove per noi è buio
come in cielo così in terra,
come nel giorno che farai salvezza e verità
così ora, qui, tra noi.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
dacci giorno per giorno il necessario e non di più
per la vita e per la gioia della nostra casa
dacci il frutto del nostro lavoro
facci sentire nostra la fame di ogni uomo
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
perdona i peccati di ognuno di noi
mediante il perdono che ci diamo a vicenda
e non ci abbandonare alla tentazione
ma liberaci dal male
non ci lasciare soli con i nostri mali,
non ci provare troppo duramente
ma dacci nel nostro amore
la libertà dal male
perché a te appartengono il regno la potenza
e la gloria nei secoli dei secoli.
Amen.
(Enrico e Mariangela Peyretti, 1975)

Quando non ci si riesce a capire, quando anche il “proprio mondo” appare estraneo, c’è un rischio maggiore di ogni altro: chiudere lo sguardo su di sé ed andare a ripescare forme di un passato noto, che rassicura. Chiudendo lo sguardo su di sé, si limita ENORMEMENTE il proprio punto di vista, ed andando a cercare stabilità nel passato, non è detto che si riesca trovare soluzioni adatte per l’oggi. Molto probabilmente non ve ne saranno. È difficile, sí, ma non impossibile, mantenere lo sguardo aperto, accogliere le difficoltà del presente e cercare di affrontarle con soluzioni che stiano nel presente e tengano conto delle sue peculiari caratteristiche. Per questo, io credo, non dobbiamo smettere di chiedere a Gesù di guidarci.
Grazie don Stefano, grazie per questa preghiera del Padre nostro, per tutte le riflessioni di questi giorni accompagnate dalla musica, per la condivisione del dolore per le tragedie umane, di fronte alle quali mi sento impotente, sembra, e forse lo è, una frase di circostanza, ma davvero non so cosa fare se non chiedere a Dio di far diventare gli uomini che comandano più buoni, più umani. Speriamo che in questo anno ci sia meno avidità e più accoglienza, da parte di tutti noi.