Accucciati per fede
(Gen 2,18-25 / Sal 127 / Mc 7,24-30)
Se avete un cane, vi sarà decisamente più facile comprendere il Vangelo di oggi. D’ora in poi, ogni volta che troverete il vostro fedele amico a quattro zampe ai piedi del tavolo mentre state mangiando, sarà proprio lui a farvi ricordare questa pagina di Vangelo. E con tutti i cani che abbiamo nelle nostre case, altro che Vangelo a tutte le creature e ai confini del mondo! Ci sono parole e preghiere che si fissano anche attraverso delle immagini e la vista di certe scene di vita domestica ci riporta alla Parola stessa del Vangelo. Non è male questo andirivieni dalla vita quotidiana al Vangelo. È forse ciò di cui abbiamo più bisogno per proseguire il nostro costante cammino di conversione.
Anche il prete che celebrò il mio battesimo, scrisse nel suo testamento che, dopo la sua morte, desiderava essere soltanto accucciato come un cane ai piedi del suo Signore. Se sapessimo che lo stare accucciati a quella maniera è indubbiamente prova di affetto e segno di sicurezza – beh! – che altro dire? Non poteva usare immagine più semplice perché ci si potesse ricordare non solo di lui ma perfino del suo testamento. (Ovviamente chi non ama i cani, avrà trovato l’immagine profondamente irriverente!)
Va detto subito che non tutti i cani sono uguali. Ci sono cani randagi e cani che abbiamo addomesticato. Di questi il padrone conosce comportamenti e abitudini. Essi pure, nei confronti del loro padrone hanno sviluppato una discreta conoscenza: gli orari, il timbro della voce in tutti i suoi toni, perfino il rumore dell’automobile del padrone quando rientra a casa o lo stesso passo mentre si avvicina all’uscio. La coda che scodinzola è metronomo della loro felicità. Disse lo scrittore francese Yvan Audouard: «Vorrei conoscere la musica di cui la coda del mio cane batte la misura».
Un cane è forse la prova per l’uomo che ci sono linguaggi che vanno oltre la parola stessa. In un certo qual modo, è un bello scacco per l’essere umano, che pur vantando il dono della parola, non sempre ne fa uso appropriato, tanto che, quando sembra che con gli amici a quattro zampe ci si comprenda meglio, si dice manchi loro la parola. Non preoccupatevi, è solo un piccolo e simpatico delirio: se pure loro parlassero, avrebbero le nostre stesse difficoltà a comprendersi! In letteratura – sui due piedi mi viene in mente “La Fattoria degli animali” (1945) di George Orwell – si conoscono storie immaginarie di animali parlanti ma altro non sono che caricature umane e allegoriche proiezioni di sentimenti, ragionamenti o pagine della nostra storia. Tutto decisamente più macchinoso e complicato.
La parola che ci contraddistingue da ogni altro essere vivente può essere allo stesso tempo la fonte della nostra confusione, dei nostri fraintendimenti. Uno strumento da utilizzare più propriamente se ne avessimo compresa la portata. E quando certe parole le definiamo più somiglianti a versi di animali, bisognerebbe chiedere scusa agli animali stessi.
Per la piccola storia, sapendo bene che un cane non potrei portamelo appresso in chiesa (non gli varebbe il titolo di “cane del parroco”), non disdegno di invitarli ad accucciarsi vicino a me, quando mi raccolgo a pregare nella mia stanza. Credetemi: sentono benissimo che quel tempo non è più né loro, né per loro. «Ogni vivente dia lode al Signore» dice il salmo. E così li penso loro pure intenti a dar lode in qualche modo con un linguaggio a me sconosciuto. Non fosse che per quella quieta postura. Potessimo noi stare così quieti e docili nella vita! Penso davvero che siamo i più tormentati e inquieti su questa Terra. O forse siamo quelli che danno più nell’occhio quanto ad agitazione. E la pace è davvero un dono, una meta da raggiungere.
Dichiarato il mio palese debole per questi animali di grande fedeltà e compagnia, ringraziando pure il buon Dio di averli creati e di aver concesso che ci potessero stare accanto così docilmente (che imbarazzo certe volte la loro obbedienza a fronte di tutte le nostre testardaggini!), possiamo ora meditare il Vangelo.
Alcuni semplici dettagli certamente già li conosciamo: «cane» era il termine che si dava alle popolazioni straniere che non condividano la stessa fede. Se non in senso dispregiativo, il riferimento sarebbe proprio alla mancanza di parola, a quell’incapacità di parlare con Adonai? Ma Adonai – il Signore – aveva chiesto l’ascolto prima di ogni cosa. E così la donna straniera, si intrufola in casa come un cane che ascolta con tutti i suoi sensi: sente il buon profumo di Cristo e riconosce la voce di quell’uomo che ella vorrebbe avere anche solo come il padrone per il cane. Una briciola di Gesù, un po’ del suo tempo e delle sue attenzioni, è l’alimento che sazierà la sua fame? È attirata da quell’uomo come se già fosse addomesticata. Non è randagia. Ella sa che ai piedi di quella tavola dove Gesù stesso siede, per tutti c’è un frammento di quella misericordia che non avrà né fine né confine.
C’è un’infinita, estenuante e fiduciosa attesa negli occhi dei cani ai piedi della tavola. Il loro sguardo implora e interroga la nostra capacità di condividere. Per dire loro «No! Ti do nulla!» basterebbe non guardarli. Se invece li hai guardati negli occhi, essi sanno già che non sei passato oltre e non hai ignorato la loro supplica. Così Gesù guardò negli occhi quella donna, di lingua greca, di origine siro-fenicia.
In quel dialogo umanissimo, dove Gesù sembra fare il prezioso, si intuisce la passione di Gesù di risollevare quella donna portandola ad una comunicazione tra pari. Ora è veramente figlia per quel suo ricorrere al Padre, proprio ricorrendo a quel fratello di nome Gesù. La donna siro-fenicia non è più estranea anche se il sentire comune della gente la paragonerebbe ancora ai cani. Va pure detto che i cani non abbaiano di dolore. Hanno tendenza a non manifestarlo troppo il dolore. Potrebbero essere prede facili di qualcuno di più forte. Gesù infonde quella fiducia necessaria perchè la donna possa far sentire la sua pena, il dolore per la figlia… non si tratta quindi di addomesticamento e sottomissione quanto piuttosto di diventare familiari con la sofferenza altrui. «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Isaia 53,4)
Che Gesù comprendesse e parlasse il greco possiamo anche dedurlo, immaginarlo. Ma la comunicazione passa da quell’aver osato entrare in quella casa dove Gesù non voleva farsi trovare, da quel porsi ai piedi di Gesù, da quegli occhi che lo fissano. Così la comunicazione diventa comunione. Quel giorno anche Gesù cercava quiete, un rifugio temporaneo per non essere completamente divorato. A quella donna straniera bastavano le briciole. Fu anche questa una grande storia di comunione e di condivisione… per noi e per tutti.
Signore Gesù Cristo,
tu sei il sole che sempre sorge, ma non tramonta mai.
Tu sei la fonte di ogni vita, crei e sostieni ogni vivente.
Sei la fonte di ogni alimento, materiale o spirituale,
che ci nutre sia nel corpo che nell’anima.
Sei la luce che dissipa le nubi dell’errore e del dubbio,
e mi precedi a ogni ora del giorno,
guidando i miei pensieri e le mie azioni.
Possa io camminare nella tua luce,
essere nutrito da quello che tu mi dai,
essere sostenuto dalla tua misericordia
ed essere riscaldato dal tuo amore.
Erasmo da Rotterdam
Dal Vangelo secondo Marco (7,24-30)
In quel tempo, Gesù andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto.
Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia.
Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia».
Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.
…Senza alcuno strumento visibile
se non noi che siamo strumenti
e ci facciamo suonare a vita.
Dobbiamo cambiare il DO… da dare.
Dobbiamo cambiare il FA…da fare.
cambiare il MI.. cambiare dentro.
cambiare il SOL… son solo un uomo,
sono solo un bambino,
son solo un lavoratore.
Assoli, assonanze,
dissonanze, consonanze,
Jazz, soul.
S.O.S. – Save Our Soul
salva le nostre anime…
(Alessandro Bergonzoni – Paolo Fresu, Musica da lettura)
Il Vangelo di oggi mi ha richiamato un altro episodio evangelico: le Nozze di Cana….anche lì una Donna anticipa l’ora di Gesù… anche li Gesù sembra rispondere male…anche li senza parlare la Fede fa il Miracolo x la gioia di molti. Avvenga secondo la tua Fede….Grazie