Affidati alla Terra e al Cielo
Commemorazione di tutti i fedeli defunti
(Gb 19,1.23-27 / Sal 26 / Rm 5,5-11 / Gv 6,37-40)
(Is 25,6.7-9 / Sal 24 / Rm 8,14-23 / Mt 25,31-46)
(Sap 3,1-9 / Sal 41 / Ap 21,1-5.6-7 / Mt 5,1-12)
In questi tempi anche la morte è peggiorata, Signore: salva anche la morte, ridonale la dignità di una santa morte, Signore. Che mai nessuno separi la tua Resurrezione dai nostri giorni, Signore. Sia la stessa morte un finir di morire. Signore, tu solo sei la Luce che illumina ogni uomo, e la Luce è la Vita: Signore, che tutti vivano una Vita che abbia senso. Amen.
(David Maria Turoldo)
Dal Vangelo secondo Giovanni (6,37-40)
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
E di certo non saranno diminuite le lacrime che ancora oggi scorreranno sui volti di molti perché ad aumentare è stato il numero di coloro che non sono più con noi. Di questi tempi, siamo stati generosi con la morte: abbiamo dato! Quando è troppo, diciamo così. Abbiamo dato. Si moriva uno alla volta. Ora ancora siamo tornati a contare i morti a decine e centinaia. E non si fa che parlare di chi abbia fino ad ora pagato il prezzo più caro in termini di vittime. Pare perfino che la morte stessa abbia voluto riprendersi il suo spazio nella vita, già che molte volte abbiamo vissuto, fingendoci ignari di questa realtà. E l’abbiamo nascosta, non ne parlavamo praticamente più e Lei – come fattasi gelosa di questo nostro atteggiamento – s’è ripresa il suo spazio tra gli esseri umani. S’è fatta più cattiva, s’è abbruttita e nessuno più la chiama “buona” o “sorella”. È cattiva e nemica.
La morte è quotidiana, come il nascere. Quotidiana come il vivere. Quotidiana come il pane e la parola che lo accompagna. È quotidiana la morte nel cibo che prendiamo ed è finito il tempo in cui ci si cibava di soli semi, profondamente convinti che lì dentro c’era la forza della Vita in nuce. Si uccide per mangiare. È triste e grave quando si fa morire per mangiare di più. Quando si lasciano altri morire, lontano, in altre terre (come fossero altri mondi!) perché si crede di poter compensare alla paura di morire con un benessere ingordo che illude ma è ancor più effimero.
La morte è quotidiana nel gatto morto sul ciglio della strada o nel riccio schiacciati dall’automobile che sfreccia, nella mosca che infastidisce. La morte è quotidiana in una lotta continua contro il nostro “io” che ci fa dimentichi della lettera D maiuscola in favore di una m. E così il nostro io vuole… e fa “mio” tutto, mentre Dio non può che donare. E per questo istintivo bisogno di possesso, perfino Dio è mio. E non esagerò mai nel ricordarci che è “Padre nostro” e che noi siamo fratelli. E che se qualcosa ci risulta essere più nostro che altrui è solo per un mistero di affidamento. Ma fraintendiamo ancora: i nostri figli sono più preziosi dei figli degli altri. Non riusciamo più a sapere che ciò che è prezioso per ciascuno è prezioso ugualmente per gli altri.
In uno dei tre brani di Vangelo che oggi sono proposti, quello che stiamo meditando ora, Gesù parla utilizzando più volte questo pronome possessivo “mio”. Parla di una sua volontà e di una volontà del Padre. Parla di ciò che il Padre gli ha dato… ma si coglie immediatamente questa fiducia paterna che dona al figlio; si capisce perfino cosa si intende per custodire. In principio travisarono e ancora travisiamo. Custodire non è farsi padroni. Custodire la vita non è mai stato questione di farsene padroni, eppure…
C’è questo senso di affidamento nell’aria oggi… ci affidiamo al Cielo quando pensiamo a coloro che abbiamo affidato alla Terra. Perché così parla il linguaggio delle nostre liturgie, dei nostri riti che compiamo attorno alla morte: “Noi affidiamo alla terra il nostro corpo mortale…“. Sono giorni di semplici pellegrinaggi, corporali o spirituali, verso quel fazzoletto di Terra dove abbiamo sepolto i nostri morti. Chi potrà ci andrà anche fisicamente, ma tutti ci andremo anche solo col pensiero. E conta anche questo pellegrinare del pensiero, perché anche il pensiero s’è fatto distratto, superficiale. Oggi la Vita si scopre nuovamente più profonda delle apparenze. Oggi la Vita si scopre come fragilità che s’affida alla nostra custodia e alle nostre cure.
Una volta di più, proverò ancora ad insistere nello spiegare che non è Dio a volere la morte. E che se ancora questo pensiamo di Dio ciò significa che quello sarà un dio che esce dalle nostre fantasie, frutto soltanto delle nostre paure o della nostra scarsa disponibilità a custodire e difendere la Vita, a partire dalla fragilità. Perché Gesù, nostro fratello, non ha mai detto che Dio abbia voluto la morte di uno solo dei suoi figli. Anzi, ci ha detto perfino che neppure un passero cade a terra senza Dio. Noi così inclini a credere maggiormente ai proverbi dei nostri padri e poco avvezzi alla rivelazione. A lasciare che Un Altro ci spieghi come stanno veramente le cose. “Non cade foglia che Dio non voglia“: non è implacabile destino sovrano che incombe sulle nostre teste. Che almeno abbiamo la decenza di tradurre meglio. Per favore. Che nemmeno i proverbi sono eterni. Non cade passero, non cade foglia che Dio non veda… perché continuamente, leggendo le Scritture, scopro che Dio s’è fatto attento ad ogni grido che sale dalla terra. E tutto grida: quando si cade, quando si muore. La creazione tutta, che sempre abbiamo elevato, pur giustamente, a segno della bellezza e della bontà di Dio verso l’uomo, la creazione tutta è stanca, affaticata, oppressa dal nostro possesso. Lei pure grida, geme. L’uomo piange.
Smettiamo un istante di piangere, facciamo silenzio, e invitiamo pure a tacere anche gli uccelli del cielo e i venti che soffiano ogni dove… e ascoltiamo la voce di Colui al quale siamo stati affidati: E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Leggiamo fino a gravare nel cuore queste parole. Leggiamole, ri leggiamole e, chiudendo gli occhi, proviamo a ripeterle. Sarà un allenamento perché la morte torni ad essere nuovamente una buona morte. Una morte sorella. La bocca del Signore ha parlato. Ci ha detto la volontà del Padre. Nostro unico desiderio, a questo punto, sia quello di vedere il Figlio e credere in lui.
Requiem æterna dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis…
Io non chiedo per voi l’eterna pace
non quel sonno infinito delle pietre
io non prego per la perpetua luce
in un tetro di tenebre ghiacciate.
Non chiedo sonno per voi
non imploro riposo
io non prego perché restiate stesi
con palpebre sempre sigillate.
Chiedo ebrezza per voi. Giocondità chiedo.
Vita piena di giovani animali della foresta,
ebrezza di slegati.
Chiedo per voi, morti nostri, un’adesione
a tutta la bellezza che vediamo
crescere intono e dalla quale siamo,
noi vivi, siamo separati.
Nota che troppo spesso stona. Mano
che rovina. Testa che porta dentro sé nemici.
Siate bellissimi, morti nostri. Diventate voi
tutta la meraviglia di quando alziamo la faccia
nell’aperta notte e quasi non reggiamo
quell’impero enigmatico di stelle,
tutta l’eleganza armonica del cielo.
Siate voi.
Non prego per voi. Io prego voi.
Andate. Dove sarà svelata
la profezia dei fiori,
di tutti i fiori. Nella pace siate
di certe domestiche sere,
nella gioia dell’infanzia, nell’abbraccio fra umani, siate,
o quando piove d’estate dopo la calura, dentro
un vapore di fornelli, dove si fa il pane,
dove si beve latte. Nel semplice stare
che non vediamo, se non a volte
dopo un dolore grande.
E il riposo vostro sia la melodia rotante
di tutti i mondi.
Sia nella voce di qualcuno che canta
nel rumore d’acqua sia la vostra pace
in tutte le tane silenziose, dove una madre pregna
esce un cucciolo inerme, bagnato di leccate.
Andate. Siate. Liberati – nello svelato
mistero del nascere a qualcosa che non sappiamo,
al quale diamo il tetro nome di morte e forse invece
come seme si schiude, a più vaste vite, a più vaste
vedute. Forse.
(Mariangela Gualtieri, Quando non morivo, Giulio Einaudi Editore, 2019)
Si dice, si racconta che la civiltà dell’uomo sia iniziata anche per la cura che gli uomini primitivi cominciarono ad avere per i loro morti.
Non c’era ancora la Rivelazione, ma intuirono che non finiva tutto lì. Da qui la cura per le salme, per i luoghi di sepoltura. Sembravano percepire che c’era una parte spirituale che non moriva.
Poi è arrivato Gesù.
Instancabile, a raccontarci del Padre, della vera Vita che ci viene data in abbondanza, della Sua preoccupazione per tutto quello che accade nel Creato…
Che consolazione l’immagine della Comunione dei Santi a cui tutti potremo partecipare perché “misericordiati”, anche se passati dalla tribolazione.
Siamo fatti per il Cielo…