Al tempio come a teatro?
XXXII domenica del Tempo Ordinario (B)
(1Re 17,10-16 / Sal 145 / Eb 9,24-28 / Mc 12,38-44)
Il tempio non è mai stato un palcoscenico ma molti lo presero come tale. E così quel piccolo mondo della religione diventava immagine dell’intero mondo. Il tutto rappresentato in quel frammento. La realtà in uno spaccato. Rappresentazioni della realtà che diventano quasi sacre, con tutti gli idoli del caso. Il dio-denaro in primis. Più volte li aveva avvertiti di guardarsi dall’ipocrisia di scribi e farisei. E anche oggi risuona lo stesso invito. Ipocrita – termine che ancora oggi può essere parecchio offensivo – allude proprio alla parte recitata. C’è dunque chi mette in scena le proprie apparenze e si atteggia da ricco. La stoffa ha il suo costo e dunque solo i ricchi potevano permettersi lunghe vesti. Nelle manifestazioni pubbliche ci sono quelli che se la prendono con comodo facendosi attendere tant’è il posto è riservato. E poi quegli onorevoli saluti da farsi nel giusto ordine gerarchico altrimenti… che gaffe! E anche chi prega non è esente dal mettersi in bella mostra. Vivere la vita simulando sicurezza, ostentando conoscenze e ricchezze… è un attimo. Chi recita poi ha necessariamente bisogno di pubblico. E l’applauso è già una ricompensa.
Quel giorno al tempio, si ripetevano ritualmente le stesse scene, e forse proprio con l’ipocrisia di sempre. Improvvisamente lo sguardo (di Gesù) cadde su una vedova povera che certamente avrebbe voluto passare inosservata in mezzo a quella scena. Non si tratta di contrapposizione tra ricchezza e povertà. C’è ricchezza che pesa e povertà che si abbraccia. Ricchezza che si ostenta e povertà che si nasconde. Ci sono ricchi che sono generosi e lo fanno senza farsi notare. Ci sono poveri che non possiamo vedere e che invece andrebbe presi a cuore.
Gesù, come il Padre, vede nel segreto e coglie immediatamente chi tra quelle persone ha già ricevuto la ricompensa e chi ancora la attende. Gesù vede e discerne dietro le apparenze alle quali lo stanco spettatore s’è già abituato: l’elemosina del ricco, proprio perché ostentata, perde tutto il suo valore. Il superfluo prende così l’amaro sapore dello scarto.
Chi sono i ricchi? E chi sono i poveri? Cosa significa essere ricchi e cosa significa essere poveri? Di cosa ci arricchiamo e di cosa ci siamo impoveriti? Sono solo alcune domande per comprendere che non si tratta qui della solita contrapposizione tra paesi ricchi e paesi poveri. Gesù, in fondo, guarda la povertà di quei ricchi e la ricchezza di quella povera. Ciascuno ha le sue povertà ma, sapendo già che non interessano alla scena di questo mondo, nemmeno noi stessi siamo disposti a guardarle. A Dio invece interessano molto perché egli vorrebbe farci ricchi di sé. E non è pena suscitata per strazio, non è commiserazione di chi sta sempre almeno un gradino sopra.
Non si nega qui il dono del ricco anche se si trattasse solo del superfluo. Semplicemente si chiede di non credere a quel ricco che, attirando l’udito e lo sguardo al tintinnio del denaro, nasconde così il suo personale bisogno che – in genere – se non sarà di tipo materiale, sarà con molta probabilità di ordine più spirituale. Non si tratta di mettere in scena la propria miseria. Possiamo però sapere che il Vangelo ci educa ad uno sguardo più profondo, dietro i veli delle apparenze e tutti i sipari del mondo. Accettare le proprie povertà, consegnandole a questo sguardo evangelico, senza attenderci nulla in cambio se non il saperci sotto il Suo sguardo che oggi sentiamo amorevole verso questa vedova povera. Abbiamo queste povertà che ci fanno sentire che siamo vivi… ma anche queste vanno consegnate. Sembrerà di morire. E il tempio dello Spirito santo sarà nuovamente riempito della Sua presenza.
… Allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di Te,
perché, nella serenità del corpo e dello spirito,
possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio.
Amen.
(dalla preghiera di colletta della liturgia)
Dal Vangelo secondo Marco (12,38-44)
In quel tempo, Gesù nel tempio diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Scegliete le strade del nascondimento,
ma anche quelle della chiarezza.
Praticate lo stile della semplicità,
ma astenetevi dal «semplificare» i problemi.
Fate luce alla terra,
ma senza pretendere di fare scintille.
Aggregate la gente attorno alla Parola di Dio,
senza la smania di compattarla
attorno alle parole effimere dell’uomo.
Amate e servite la vostra Chiesa
non per inseguirne la gloria,
ma perchè essa sia serva fedele del Regno.
Portate la tuta da lavoro in chiesa,
ma nei cantieri di lavoro
portate la veste battesimale.
È il mondo lo spazio
in cui ci giochiamo la nostra identità.
Il mondo, non la parrocchia.
Quale mondo?
Quello della scuola, della fabbrica,
dell’ufficio, dei campi…
e poi gli ambienti, la spiaggia quest’estate,
il bar questa sera, la villa, la piazza…
E se vi dicono che afferrrate le nuvole,
che battete l’aria, che non siete pratici,
prendetelo come un complimento!
Non fate riduzione ai sogni.
Non praticate sconti all’utopia.
Se dentro vi canta
un grande amore per Gesù Cristo
e vi date da fare per vivere il Vangelo,
la gente si chiederà:
«Ma che cosa si cela negli occhi
così pieni di stupore di costoro?»
ll Signore vi dia il gusto
delle cose essenziali.
Vi renda ministri
della felicità della gente.
don Tonino Bello
Che belle, forti, significative le parole di don Tonino Bello!
Si sente il forte auspicio di una Chiesa molto diversa, dove la parte di “istituzione” quasi scompare e traspare l’invito a guardare all’essenziale quali sono i Vangeli e ad operare di conseguenza, cantando l’amore per Cristo vivendo il Vangelo.
Lui invita ad operare nel “mondo” che poi sono i luoghi che tutti noi frequentiamo.
Io mi sono chiesta, qualche volta, se non era possibile fare catechesi in un bar o in piazza, o in altri luoghi…
È come vedere Gesù che parlava ovunque, non solo nei luoghi “istituzionali” quali sinagoghe e Tempio di Gerusalemme.
Slegato dalle sovrastrutture religiose create dall’uomo, ma molto rispettoso della legge, Gesù viaggiava leggero, permettendo così allo Spirito di riempire tutto il suo essere.
Sapremo mai imitarlo?
Gettava tutto quanto aveva per vivere, poteva tenersi qualcosa invece da tutto.
Dio ci chiede tutto.
A Lui possiamo dare tutto in termini di tempo, di pensieri di riferimento a Lui.
Possiamo avere il rischio di tenerci un po’, un pezzo, qualcosa, di non dargli proprio tutto.
Ma possiamo anche avere l’esempio di donare completamente tutto noi stessi al Signore senza tenerci nulla.