Antichi mestieri parlano
I domenica di Avvento (B)
(Is 63,16-17.19; 64,2-7 / Sal 79 / 1Cor 1,3-9 / Mc 13,33-37)
Signore, tu sei nostro padre;
noi siamo argilla e tu colui che ci plasma,
tutti noi siamo opera delle tue mani.
(Isaia 64,7)
Semmai doveste vedere un vasaio all’opera, dalla sua dimestichezza e abilità subito ne sareste affascinati: alla velocità quasi inarrestabile del tornio si accompagna una differente pressione sull’argilla a secondo della forma e dell’effetto che si vuole donare alla materia. Tutto è visibilmente nelle mani del vasaio creativo: il contatto con la materia e la cura dell’opera e perfino i giri del tornio.
Ci sono tra le pagine della Sacra Scrittura antichi mestieri artigianali di cui il mondo stesso è pieno, mestieri che, a ben guardarli, diventano fonte di ispirazione per grandi pensieri, considerazioni, meditazioni, esempi, allegorie, parabole e perfino rimproveri. La creazione dell’uomo venne immaginata e raccontata proprio con questi termini plastici ben noti a chi modella materia fragile come l’argilla. Il Dio che parla e che con la sua Parola chiama alla vita è paragonato più volte nelle pagine della Scrittura all’artigiano che lavora l’argilla, un vasaio che modella e dà forma.
Mestieri affascinanti che, mai come quando li vedi dal vero, sanno generano stupore e meraviglia. Mestieri comunque pesanti e duri che chiedono al vasaio di starsene curvato sulla sua creazione. Si apre così questo nuovo tempo dell’Avvento: con lo sguardo dell’uomo rivolto ad un cielo affollato di nuvole plumbee che non lasciano trasparire le luce del sole e le mani sporche di argilla di questo Creatore sempre curvato e attento all’opera delle sue mani.
Non abbiamo che questo mondo da osservare e contemplare. Non abbiamo che questo punto di vista, di gente fragile e coi piedi per terra, eppure così capaci più di ogni altra creatura di alzare lo sguardo nonostante tutto. E forse è proprio per questo che il Creatore volle questo mondo bello fin da principio, perché questa bellezza e questo prezioso sapere, umile e intelligente dell’uomo, potesse essere una strada percorribile per giungere a Lui.
Non poteva che farsi uomo dunque il Dio che abbiamo sempre immaginato al lavoro come gli uomini. «Che lavoro fanno i tuoi genitori?» ci sentivamo chiedere da piccoli. E anche tra bambini stessi ci si chiedeva quale fosse il lavoro di mamma e papà. Quasi che da quel mestiere si potesse comprendere qualcosa di loro o di noi, quasi che da quel lavoro si potessero imparare atteggiamenti umani profondi che determinassero il nostro modo di stare al mondo.
Un anno fa, arrivando a Losanna, mi raccontarono presto di un antico mestiere che certamente oggi potremmo dare per ampiamente soppiantato da più moderne tecnologie di videosorveglianza. Eppure ancora oggi, notte tempo, in cima alla torre della Cattedrale di Losanna, una sentinella si affaccia da ogni lato del campanile per scandire le ore che la campana ha appena scoccato e per dare uno sguardo dall’alto alla città, semmai in tempi in cui le case erano scaldate al calore del fuoco, un incendio potesse svilupparsi nel mezzo della notte. Le guet, la sentinella, ricorda dall’alto di una cattedrale l’urgenza e la preziosità della vigilanza. Qualcuno sorride ancora di questa tradizione, di questo lavoro passato perfino attraverso una votazione che ne ha deciso il suo mantenimento. Da più di seicento anni. Nella sua semplicità, non nascondo che mi affascina questo sguardo sulla città e sul mondo. Immaginarsi sentinelle di un patrimonio comune che il creatore ci ha affidato mi pare cosa buona. C’è una responsabilità tutta personale che riposa su ciascuno che tuttavia giova al bene di tutti.
Della Sua prima venuta nella carne, della sua nascita in un corpo di uomo rimane traccia nelle parole che egli ha detto prima di tornare al Padre. Parole che hanno il tono di una promesse e di una preghiera. Colpisce la preghiera di Gesù per i suoi, alla vigilia della sua morte in croce. Se ne sente tutta la responsabilità: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me…» (Gv 17,20). Senza contare appunto le innumerevoli parabole che legano il tempo della sua umanissima presenza tra noi e il suo ritorno… Ma non c’è da chiederci «quando tornerà?» perché il suo visitarci è più frequente di quanto immaginiamo.
Nuove professioni si affacciano sulla scena di questo mondo, mestieri che vedono il tempo quasi come un nemico. In questa prospettiva rapidità, efficienza, prestanza, diventano criteri decisivi. Per il vasaio, la sentinella o perfino la donna che deve attendere che la pasta lieviti, questi criteri possono risultare quantomeno dubbi. Supponiamo pure di essere diventati capaci a non perdere tempo, supponiamo pure di aver imparato anche a guadagnare tempo… rimane una domanda: che uso ne facciamo di questo tempo?
Dal Vangelo secondo Marco
(13,33-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Siamo tutti, in qualche modo,
guardiani della città.
Credo sia importante
trasmetterlo ai più piccoli.
Ci sono tradizioni che si perpetuano nei secoli:
ci danno un ancoraggio.
Gridare le ore
non ha grande significato oggi
ma rimane un modo di comunicare
con la popolazione,
per far comprendere alla popolazione stessa
che c’è qualcuno che veglia sulla città.
(una testimonianza del «guet du Beffroi»,
la sentinella della cattedrale di Losanna)
Tu, Signore, sei nostro padre,
da sempre ti chiami nostro redentore.
(Isaia 63,16)
Che bella questa tradizione e che bello che si sia voluto mantenerla! Mi sembra un validissimo promemoria per i fedeli a curarsi gli uni degli altri come Dio si cura di tutti i suoi figli. Per di più un promemoria sia spirituale che fisico…Tanto meglio! Se è già ben noto che i piccoli imparino più facendo che non studiando sulla carta, sia mai che anche con i grandi l’azione faccia più presa per il passaggio di buone pratiche. Oggi più che mai credo ci siano utili dei validi (e pratici) esercizi per essere autentici figli di Dio “con le mani in pasta”.
Noi argilla nelle tue mani, fragili creature, non ci importa essere fragili l’importante lasciarti fare opere d’arte come a Te piace. Allora sulla Parola di Gesù saremo attenti e vigilanti ad ogni Tua venuta. Buon Avvento.
Custodiscimi, Signore, nel mio timido vegliare affinché non perda mai di vista l’orizzonte di Luce e di Speranza che doni a ciascuno dei Tuoi figli. Maranathà
Il sentirsi accuditi è cosa preziosa.
Mi riporta al Salmo 138 e questo dà pace.
Anche le parole di Isaia che ci dicono che Tu, Signore, sei nostro Padre, ci danno pace. Ed è bello pensare che uomini di ascolto l’avessero compreso ancor prima della venuta di Gesù: anche questo dà gioia grande.
Mi colpisce e mi ha SEMPRE colpita la FEDELTÀ che Dio ha avuto e che mi ha dimostrato nel corso della mia vita. È stato ed è mio compagno di viaggio nelle varie vicissitudini che ho vissuto e che vivo. Nessuno di noi (compresa me stessa) è capace di esserlo. Lui non mi abbandona mai. Ed io cerco, con il Suo aiuto, di non dimenticarmene mai. E vorrei non dimenticarmene mai, soprattutto in questo periodo di Avvento che ci condurrà al suo santo Natale.