Ascolta il Vangelo, (ri)leggi la Vita
V Domenica del tempo ordinario (C)
Is 6,1-2.3-8 / Sal 137 / 1Cor 15,1-11 / Lc 5,1-11
La riflessione di oggi, ha uno sfondo ben preciso. Uno o più scenari su cui si muoveranno le parole. Come una barca ha bisogno del mare per galleggiarvi sopra, come il camminare ha bisogno di terra sotto i piedi… In realtà ogni giorno – per me come per ciascuno di noi – i pensieri, le riflessioni e le preghiere, le domande (forse anche le imprecazioni) si muovono sullo sfondo di fatti che accadono attorno a noi e che finiscono per segnarci anche dentro. Così accade anche alla Parola di Dio: essa ha sempre uno sfondo, un contesto, uno scenario nella quale si fa udire. A volte sembra perfino palpabile, in carne ed ossa.
Stamattina esco prima dell’alba, percorrendo strade nuovamente avvolte da nebbie fittissime. Salire e scendere tra colline, seguire sinuosamente la strada tra una curva e l’altra mi pare già metafora di un cammino che procede non sempre come si vuole. Tra nebbie e svolte, si procede. E non penso a me. Mi recavo in una piccola comunità parrocchiale a celebrare le due Eucarestie previste dall’orario festivo. Proprio ieri quella comunità era radunata per il funerale del suo parroco: primo scenario. Alcuni giorni fa mi aveva raggiunto la notizia di una giovanissima ragazza di una delle parrocchie dove ho vissuto, in gravissime condizioni. Ieri mattina, mi giunge la notizia della sua morte: secondo scenario. Più lontano – potrebbe essere un terzo fondale, più lontano ma sempre un pensiero – la morte del piccolo Ryan in fondo ad un pozzo. E se ne parla anche qui da noi, nel nostro Paese, perché la notizia ci ha fatto sprofondare nel pozzo profondo dei ricordi, nei giorni del piccolo Alfredino Rampi.
Tre scenari agghiaccianti, a fare da sfondo ad una domenica. Il freddo non è solo nella nebbia. È nello sconcerto, nella tristezza, nel dolore, nelle domande di molti, moltissimi… in tre luoghi precisi della Terra (e chissà in quanti altri!), tre luoghi molto distanti eppure così accomunati da questo freddo… della morte che ancora colpisce con cieca precisione. Non è mai un dettaglio lo sfondo sul quale leggiamo le pagine di una Scrittura, come le parole non possono essere lette se non c’è una pagina su cui le appoggi.L’umano sospetto è che questa Parola, così distante da noi, non abbia ora molto da dire.
Si apre la Liturgia domenica, si apre il Libro e si sentono proprio queste parole: Nell’anno in cui morì il re Ozìa… Eccola! Sempre lei. La morte. La morte del re. Come la morte di un parroco, come la morte di una figlia, di un figlio! Ti prego però, non fermarti davanti alla notizia della morte. Continua a leggere, continua ad ascoltare. Io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato. Dimmi, Isaia. Dov’eri? Dov’è che si può vedere così chiaramente il Signore? E cosa vuol dire vederlo? Vuol dire morire? Vuol dire chiedergli il perché di tanto freddo, di tante morti ingiuste, innocenti? E quando la morte avrebbe ragione? Dimmi, Isaia: prima d’essere profeta, dov’eri per avere avuto quella visione? Forse eri semplicemente al Tempio, durante una liturgia, una di quelle liturgie che sembrano celebrate dagli uomini solo per marcare distanze, per separare mondi e persone. Una di quelle solenni liturgie che celebrano la santità di Dio, dove santità è spesso confusa con distanza. E davanti a tanta solennità, a tanta distanza, ciò che si può provare è soltanto un senso di inadeguatezza, di distanza, ci si sente come persi, spacciati… uomini dalle labbra impure. Che cosa vuoi dire?
Forse ti eri ritirato un attimo in disparte, mentre tutti gridavano e piangevano per la morte del re. Tu, in silenzio, ad attendere un cenno, un messaggio, un segno. In mezzo al freddo dei giorni di lutto, improvvisamente il caldo di un carbone rovente che perfino l’angelo deve prendere con le pinze…uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse…
La morte ha già colpito, il gelo ha già raggelato. L’angelo porta il fuoco, un fuoco che scalda le labbra, perché le labbra riprendano a parlare e il calore della Parola scaldi il cuore. Altrimenti è davvero il gelo della morte a raggiungerci nel profondo. Udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». Sui nostri scenari si muovono persone in cerca di parole che possano scaldare il cuore. E Lui, il Signore, cerca labbra che le possano pronunciare. Guardavo la gente venuta in chiesa stamattina e mi dicevo in cuore: cercano calore per sfuggire al freddo della morte che sembra tradire la vita. Il carbone, il suo calore vicino alle labbra… penso al fuoco. La morte di un albero è trasformata in calore nel fuoco. Mi vengono in mente altre parole di Vangelo: Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! (Lc 12, 49-50). E penso al fuoco attorno al quale Pietro si scaldava mentre Gesù, bruciava come un legno rigoglioso di passione per l’uomo. E Pietro, davanti a quel fuoco sentiva il freddo venire del suo rinnegamento. E poi quel fuoco sulla spiaggia la mattina di Pasqua, con del pesce sopra; e ancora quelle lingue di fuoco, nel giorno di Pentecoste… quel parlare del nocciolo della fede con calore e non come una fredda esposizione di dottrine.
Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè
che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti.
Sono le parole della seconda lettura. Il nocciolo è tutto lì: credere a quello che altri hanno ascoltato con le loro orecchie e ce lo hanno detto senza tradimenti, ciascuno a modo suo, con un suo proprio calore. Ma il messaggio è il medesimo: Cristo morì, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno. E che apparve… qualcuno è ancora vivo, altri sono già morti.
Una fede ingenua, illusoria ci ha fatto credere ad esenzioni particolari ma non ci vuole troppo tempo per comprendere chiaramente – e lo abbiamo capito tutti – che non ci sono sconti, eccezioni, favori di nessun tipo per i credenti. Quello che imparo, fino alla commozione, è comprendere che leggere le Scritture (come ho cercato di fare anche oggi con le letture di questa domenica su questo particolare scenario) ci aiuta a comprendere meglio la vita. E che nessuno di noi ha bisogno di sentire lontananza di Dio. È la morte che insinuerebbe questo dubbio atroce. Anche noi come Pietro potremmo pregare chiedendo al Signore che s’allontani da noi perché siamo peccatori… Chiediamolo pure quanto vogliamo, ma Egli non farà altro che avvicinarsi a noi sempre di più, muovendosi anche nel buio della notte dove non si pesca nulla, nel freddo di una vita che parrebbe non avere più né brace né scintille che possano riaccenderla.
Ed ora non c’è più solo il carbone rovente sulle nostre labbra… ma c’è del Pane di Vita dentro di noi che abbiamo mangiato, spezzandolo e condividendolo insieme. Non conviviamo solo lo stesso scenario, la stessa natura mortale, non condividiamo solo disgrazie e miserie. Ditemi, non vi parla? Non vi parla questa idea di Gesù? Osservava una donna nascondere un po’ di lievito nella pasta e già pensava all’Ultima Cena, a quel pane che chiese a tutti di mangiare perché sentissero fino a che punto Dio potesse farsi simile a noi. È Dio-con-noi che condivide tutto della nostra vita. Quel Pane dell’Eucarestia non serve per marcare distinzioni o distanze. È soltanto testimonianza di estrema vicinanza, di profonda comunione.
Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia,
Signore, e poiché unico fondamento della nostra speranza
è la grazia che viene da te
aiutaci sempre con la tua protezione.
(dalla liturgia di oggi)
Dal Vangelo secondo Luca (5,1-11)
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Un canto abbastanza datato… ad ascoltarlo sembra di sentire un vecchio mangianastri che trascina il nastro, come a volte le nostre giornate. Penso al carbone dell’angelo di Isaia, alle immagini bibliche del fuoco, al pane condiviso da poco nella Liturgia domenicale e poi, rientrando a casa al monte, dopo l’Eucarestia, trovare i contadini vicini di casa al lavoro nei campi… a preparare la terra dell’orto come il grande campo per la prossima semina. Non ci sono grandi discorsi, grandi affermazioni, grandi teorie… ma soltanto questo sguardo dato alla Vita e una domanda: cos’è vivere?
Ecco il tuo posto, vieni,
vieni a sederti fra noi
e ti racconteremo la nostra storia.
Quanto amore nel seminare,
quanta speranza nell’aspettare,
quanta fatica nel mietere il grano
e vendemmiare, e vendemmiare.
Accanto al fuoco, vieni,
vieni a scaldarti con noi:
tutti divideremo pane e vino!
Quanto amore nel seminare,
quanta speranza nell’aspettare,
quanta fatica nel mietere il grano
e vendemmiare, e vendemmiare.
Ti sentirai più forte,
vieni, rimani con noi:
uniti attenderemo ogni domani.
Quanto amore nel seminare,
quanta speranza nell’aspettare,
quanta fatica nel mietere il grano
e vendemmiare, e vendemmiare.
Si, il freddo del dolore per la perdita di un nostro caro, la sofferenza della malattia quando giunge all’improvviso come il vento di questa mattina, arriva all’improvviso sconvolge tutto, il freddo entra nelle ossa, una sensazione di impotenza, di solitudine. Sì, nessuno sconto anche per chi crede, so che non sono sola e che Gesù soffre con me, un raggio di luce illumina la casa,
ecco che la Parola porta calore, scalda il mio cuore, Gesù è con me, con tutti noi sulla barca della nostra vita.
Le parole di papa Francesco nell’intervista di stasera sembrano rispondere alle riflessioni di oggi: Dio è onnipotente solo nell’amore.
“Com’è difficile, Signore, accettare la condanna della malattia, di un fisico inutile, ingombrante, immobile. Accettarla con gioia, e farsi più simili a tuo figlio, Gesù.
Signore, tienici per mano perché non cediamo alla paura….”
Padre Turoldo (anniversario della morte 6.2.1992)
Sono venuta recentissimamente a conoscenza di 2 fatti molto , molto dolorosi. Se sommiamo il dolore che mi hanno causato a una certa fatica che provo fortemente nel vivere un’ attuale situazione, mi vien dentro una domanda che si trasforma in grido : perché Signore ? Poi mi viene in mente questa frase : ” Il cuore dell’uomo mendicante del cuore di Cristo , ma soprattutto aggiungo io , il cuore di Dio mendicante del cuore dell’uomo”. Se Cristo non avesse già preso su di sé qs fatiche , queste situazioni, non solo mi sentirei smarrita e impotente, ma non saprei a chi chiederne il senso. (Se non solo a Lui).