Ascoltare quella domanda sorgente

Venerdì – terza settimana di Quaresima

(Os 14,2-10 / Sal 80 / Mc 12,28-34)

Stanno nascendo! Sì, in questi giorni iniziano a nascere nuovi cuccioli d’uomo. Sono i figli di giovani coppie, divenuti presto amici e accompagnati negli anni al matrimonio, che hanno bussato alla porta di un’altra casa, la Chiesa, per annunciare anche a Lei, che si sente sempre la Madre della loro stessa fede, quel loro amore. Iniziano a nascere – passatemi l’espressione – i figli di un istinto di sopravvivenza e di conservazione della specie, maturato nei giorni della paura, dell’isolamento, delle chiusure. Siamo sempre quegli uomini e donne primitivi che, nonostante la tecnologia, il progresso, conoscono la paura di morire. E allora si stringono, si uniscono, provano ad amarsi. Abramo, l’uomo primitivo della fede, addolorato di non poter aver figli, ascoltò, sotto un cielo stellato che nella discendenza c’è la benedizione di Dio. Abramo fu padre di questo ascolto, di questo sentire. Ed era già un po’ fuori di sé!

Tornare a guardare il mondo con occhi nuovi e prendere a pretesto tutte le cose create per cantare l’amore, per contemplare tutto con rinnovato stupore, ispirandosi alla natura stessa, è proprio il modo con cui spesso l’uomo canta la sua capacità di amare o la meravigliosa scoperta di sentirsi amato. A volte perfino il perdono – questo tornare a sentirsi amati ed essere riabilitati ad amare di nuovo –  è cantato con la stessa intensità di stupore.  È qualcosa che non si può contenere e l’uomo, essendone ricolmo, non può che vedere questo stesso amore riversarsi su ogni creatura. Basterebbe leggere, sempre nella Bibbia, lo splendido Cantico dei Cantici, per accorgerci come sono esaltati i corpi dei due innamorati, tanto che per parlarne siamo continuamente invitati a guardare oltre noi stessi, in continue similitudini e prolungate metafore con i paesaggi che si contemplano e i profumi che si sentono nel pellegrinaggio in Terra santa. Come il popolo camminava verso la Terra promessa, così è proprio dell’essere umano uscire da sé e mettersi in cammino verso l’altro. Non c’è contemplazione estatica che non porti a questo uscire da sé per riversare altrove ciò che scopriamo nascere all’interno di noi stessi, come una sorgente sotterranea, interiore. 

Il fatto è che i profeti – come Osea di cui oggi possiamo ascoltare alcune parole – parlano così anche di Dio, come di un eterno innamorato al quale siamo invitati a tornare. Scrive Osea: «Torna, Israele, al Signore, tuo Dio, poiché hai inciampato nella tua iniquità. Preparate le parole da dire e tornate al Signore; ditegli: “Togli ogni iniquità, accetta ciò che è bene: non offerta di tori immolati, ma la lode delle nostre labbra».

Siamo come invitati a comporre una dichiarazione d’amore per conquistare nuovamente l’amore di Dio, un po’ come il figlio della celebre parabola lucana che, realizzato il suo smarrimento e il suo limite, prova a trovare nel suo cuore le parole da dire a suo padre. Parole, per altro, che al padre non serviranno proprio, tanto aveva già deciso come trattare quel figlio che ritornava. 

Leggiamo ancora Osea, nella prima lettura della liturgia di oggi. Il profeta da voce a Dio: «Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro. Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano. Ritorneranno a sedersi alla mia ombra, faranno rivivere il grano, fioriranno come le vigne,
saranno famosi come il vino del Libano».

Ad ogni primavera, (non è “in primavere” che si conta il passare del tempo?) un genitore vorrebbe scoprire se la propria figlia o il proprio figlio è  innamorato… Non frugare sul suo cellulare, non rovistare nelle sue cose. Ascoltalo parlare. Se ti accorgi che improvvisamente parla in modo nuovo di tutto ciò che ci circonda, come la prima volta che vide un filo d’erba, il sole al tramonto, una goccia d’acqua o cos’altro ancora?… ecco, quello è un segno che l’Amore ha fatto il pieno. E se di colpo comincia a volersi più bene, a non guardarsi i brufoli ma a contemplarsi nella sua capacità di pensiero, anche quello è un segnale. Anche Dio fa così! Quando leggendo le Scritture senti che Dio guarda ogni cosa e ne vede tutta la bellezza, quello è il segno che Dio sta amando questo “esserino” umano che siamo. 

«Cos’è l’uomo perché lo ricordi? Un figlio d’uomo perché te ne dia pensiero? Eppure lo hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coranato..». Sono le parole famosissime del salmo 8. È parte integrante della Vita domandarsi chi siamo, cosa siamo venuti qui a fare, perché Qualcuno ci ha voluti qui? Questo è l’ascolto grande e primo… ascoltare dentro di noi quelle domande che ci sono state versate in grembo, abbondanti… misura di un amore smisurato, ed è sempre una fontana che zampilla. Cos’è l’uomo? Quante volte ce lo chiediamo. La cosa che un po’ mi preoccupa è che questa domanda erompe prepotente quando l’uomo compie violenze, ingiustizie, efferatezze. Perché nel nostro profondo, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze, non riusciamo a credere che l’uomo sia qui per distruggersi, per farsi del male. In fondo e ogni giorno, noi sentiamo che Dio ci ha messi qui per riconquistarci l’amore.  

La Legge di Dio, il comandamento, e il conseguente invito ad ascolarlo, diventa così più grande della contemplazione stessa del creato. La Legge di Dio che ci chiede di tornare a Lui, per stare meglio tra noi, è Legge che comanda e ordina l’amore. E quasi senza discutere più se conta di più amare Dio, il prossimo o se stessi. Se ancora stiamo lì a disquisire di questo, ci siamo avvicinati al regno di Dio, non ci siamo lontani… ma il fatto è che ancora non ci siamo dentro. Il regno di Dio è fatto per entrarci, non solo per localizzarlo, definirlo e avvicinarcisi. Da Gesù in poi, c’è qualcosa che indissolubilmente lega i tre: Dio, io e gli altri. Che equivale molto a dire: Padre, Figlio e Spirito santo (Dio tutto in tutti?). Gesù ha legato tutto con un giogo leggero, ha dato quella giusta e  sottile imbastitura alla Vita, a indossato quell’abito di festa che Dio stesso ha  confezionato per l’uomo. 

Quando si legge nel Vangelo «amare il prossimo come se stessi» a nulla equivale l’introspezione psicologica, l’analisi psicanalitica per quanto importanti possano essere. Amare se stessi evangelicamente parlando non è neppure contemplarsi narcisisticamente o profumarsi per sentire di buono all’olfatto altrui. Amare se stessi è scendere a cercare la fonte di tutte le fonti, la domanda di tutte le domande, l’Amore di tutti gli amori, gli affetti e le amicizie. Dentro di noi. Come il regno di Dio. 

Padre santo e misericordioso,
infondi la tua grazia nei nostri cuori
perché possiamo salvarci dagli sbandamenti umani
e restare fedeli alla tua parola di vita eterna.
Per Cristo, nostro Signore. 
Amen.

(dalla liturgia, orazione di colletta)

Vangelis Christopoulos, Vangelis Skouras, Depart, Eternity and a Day

Dal Vangelo secondo Marco (12,28-34)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

La preghiera di oggi sarà ancora ascolto. Ascolto di questo semplice ritornello di Taizé, una piccolissima ma intensa buona notizia… «Dio non può che donare il suo amore».

Dio non può che donare il suo amor,
Dio è tenerezza.

Benedici il Signore, anima mia
quanto è in me benedica il suo santo nome:
Dio è amore.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici:
Dio è perdono.

Dio non può che donare il suo amor,
Dio è tenerezza.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie:
Dio è amore.
Salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e misericordia:
Dio è perdono.

Dio non può che donare il suo amor,
Dio è tenerezza.

Il Signore agisce con giustizia
e con diritto verso tutti gli oppressi:
Dio è amore.
Ha rivelato le sue vie
al suo popolo le sue opere:
Dio è perdono.

Dio non può che donare il suo amor,
Dio è tenerezza.

Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia:
Dio è amore.
Come dista l’oriente dall’occidente,
allontana da noi le nostre colpe:
Dio è perdono.

Dio non può che donare il suo amor,
Dio è tenerezza.


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Piccoli Pensieri (3)

serena

Ciò che ci unisce a Lui e tra di noi è l’amore, il solo che è capace di unire.
Solo l’amore aiuta a superare e accogliere anche le differenze più profonde.
E lo sappiamo bene. Sappiamo anche che a tutto possiamo rinunciare ma non ad amare ed essere amati.

12 Marzo 2021
Claudia

Nel commento ho trovato ottime chiarificazioni,tipiche della sensibilità di don Stefano,molto efficaci!

Mi ha colpito la spiegazione dell'”ama te stesso” come ricerca dello spirito di Dio dentro se stessi.
Il primo biennio superiore del corso dell’associazione “Darsi Pace” ,di cui faccio parte da cinque anni, si chiama proprio “imparare ad amare”!
L’altro riferimento,dell’avvicinarsi al regno di Dio ed entrarci, in “Darsi pace” viene schematizzato così:
1)viviamo normalmente nel nostro “io-ego-centrato-bellico” del tutto assente dal nostro interiore spirito,assorbiti dai trantran e distrazioni esteriori,

2)percependo sollecitazioni ad approfondire, e non lasciandoci tiranneggiare da vecchie abitudini reattive, entriamo (pur altalenanti) nell’ “io in conversione”,ove, grazie allo scioglimento dei nostri nodi psicologici inconsci e alla meditazione quotidiana, aumentiamo il nostro spazio interiore spiritualmente ricettivo, giorno per giorno.

3)Ad un certo punto del percorso si introduce preghiera,lettura del calendario liturgico quotidiano ( si continua sempre la meditazione)avvicinandoci gradualmente all’ “io in Cristo” che ci libera dal nichilismo e dai fondamentalismi imperanti oggi nella società.

Per quanto riguarda le “pratiche psicologiche” noi abbiamo esercizi di autoconoscimento che vanno fatti lungo tutta la vita,e vediamo che se non si lavora in modo organico su se stessi,quindi senza tralasciare lo spirito e la conoscenza (essenzialmente tramite letture della storia e della società attuale), il rischio di rimanere interiormente scissi è sempre presente.
Ci avviciniamo gradualmente alla Pasqua!

12 Marzo 2021
Gianna

“La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” . Stupendo. Spogliarci di tutto, fare deserto per riuscire a sentire chi siamo. Non è facile. Con le parole lo dico, ma attuarlo non è facile.
Buona strada a tutti i cuccioli di uomo che stanno aprendo gli occhi alla luce.

12 Marzo 2021

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