Camminando… più liberi

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Data :10 Ottobre 2021

XXVIII domenica del Tempo Ordinario (B)

(Sap 7,7-11 / Sal 89 / Eb 4,12-13 / Mc 10,17-30)

Chi avesse fatto un lungo cammino a piedi (ben più di una passeggiata o della strada fatta con una cartella a spalle o con la sporta della spesa tra le mani) non ha bisogno di essere avvertito sulla necessità di un bagaglio leggero. E se per paura di essere sprovvisto di qualcosa che si riteneva necessario avesse comunque deciso di caricarselo nello zaino, alla prossima ripartenza saprà per esperienza ciò che potrà evitare di prendere con sé.

L’uomo che cammina sa bene che non si può essere troppo carichi. Non si possono avere con se troppe cose. Ne va del viaggio. Della sua bellezza. E della sua fatica. Possedere troppo è di fatto un serio impedimento nel cammino che va nella direzione dell’altro. Si resta piuttosto invogliati a restare – attaccati – presso le proprie cose… per difenderle. E poi sentire che quell’avere ti impedisce di essere ciò che sogni, desideri, vuoi. 

Un tale – dice il Vangelo di oggi – corre incontro a Gesù. Lui, invece sembrava camminare senza troppo pensare alla meta. Andava per strada. Che cosa bisogna fare per avere… la vita eterna? E già qui c’è qualcosa che sa di viziato… fare per avere… proprio come siamo stati abituati ed educati. «Se fai il bravo ti darò quella cosa che tanto desideri». È il racconto della nostra morale, di certi nostri modelli educativi. E la religione c’ha messo del suo, senza lesinare in materia. E così eccoci qui a contare ancora i numeri (sempre più risicati per altro!) di chi meriterebbe e di chi… ahimè!

È proprio questo fare per avere che guasta, che appesantisce il cammino, che fa perfino concorrenza, una gara e nemmeno una staffetta. Non si tratta affatto di fare per avere. Anche perché quel fare ciò che i comandamenti chiedono, ad essere un po’ seri e sinceri potrebbe muoverci ben oltre il classico «ucciso? Non ho ucciso, Rubato? Non ho rubato». A ben lasciare che la Parola di Dio penetri in noi proprio come una spada, ci sarebbe davvero di che interrogarci: se non abbiamo ucciso con un arma, forse abbiamo ucciso a parole, spento un desiderio (che è sempre un po’ far morire pure quello). Non avremo fatto una rapina, ma ciò che abbonda sulle nostre tavole è sempre un po’ rubato dalla tavola di chi non ha. 

Voleva avere la vita eterna. E chi non la vorrebbe? Che non è questione di non morire. Ci sarebbe pure da stancarsi a vivere troppo. La vita eterna non è da volere. La vita eterna è da vivere perché in essa già ci muoviamo, esistiamo e siamo. Spesso non permettiamo ad altri di mettersi in cammino per avere quel minimo di vita tale da potersi dire decente, però nel nostro immaginario noi dovremmo sempre essere i primi a scavalcare quella barriera che è davvero quell’ostacolo alla vita che chiamiamo morte. E poi, passato quel muro, trovarci come per incanto nella vita eterna. E crediamo ancora di essere buoni quanto basta per potervici entrare… per merito. Mai di grazia!

Eppure la grazia fiori sul volto di Gesù, nel suo sguardo, nei suoi occhi. Cosa videro solo la sapienza di Dio lo sa. Forse un pover’uomo da amare per quella sua illusione di essere qualcuno perché ha sempre «fatto i compiti». Per noi è quasi sempre impossibile guardare gli altri nella loro povertà ed amarli a partire da lì. I poveri ci danno ancora troppo fastidio. E li temiamo perché chiedendoci ciò che abbiamo, rischiano di farci diventare a nostra volta più poveri… di noi stessi, del nostro crederci importanti, del nostro valere agli occhi di qualcuno, della nostra presunzione di aver fatto ciò che chiedevano i comandamenti.

Cristo, da ricco che era si fece povero, per arricchire la nostra vita del suo sguardo, di quel suo modo di vedere le cose e di viverle. La vita è una sola ma che questa sola vita che viviamo possa essere eterna dipende proprio dalla nostra capacità di accogliere il Vangelo che è al contempo accogliere Cristo e/o accogliere i poveri.

Il regno di Dio è già qui, in mezzo a noi, dentro di noi… ma rischiamo di incastrarci proprio sulla porta e non passare se non molliamo l’ingombro! Ciascuno decida pure nel proprio cuore cosa mettere nel bagaglio. A ciascuno di capire cosa lasciare per camminare più leggeri e trovarsi già nella vita eterna, sotto questo sguardo amorevole che il Vangelo – che è Gesù stesso – mentre prosegue il suo cammino, rivolge anche a noi oggi. Troppo spesso i nostri volti sono scuri, troppi pochi sorrisi sulle labbra… dicono forse la nostra fatica a lasciare tutto per ricevere in dono la vita eterna?

O Dio, nostro Padre,
che conosci i sentimenti e i pensieri del cuore,
donaci di amare sopra ogni cosa Gesù Cristo, tuo Figlio,
perché, valutando con sapienza i beni di questo mondo,
diventiamo liberi e poveri per il tuo regno.
Per Cristo, nostro Signore.
Amen.

(preghiera di colletta dalla liturgia odierna)

Dal Vangelo secondo Marco (10,17-30)

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

Mi sono imbattuto in questa melodia… perdonerete la registrazione fatta di corsa con lo smartphone. La qualità non è delle migliori ma questa melodia mi ha un po’ rapito… nella sua semplicità, come pure – da parecchio tempo – le parole di questo inno.

O giorno primo ed ultimo,
giorno radioso e splendido
del trionfo di Cristo!

Il Signore risorto
promulga per i secoli
l’editto della pace.

Pace fra cielo e terra,
pace fra tutti i popoli,
pace nei nostri cuori.

L’alleluia pasquale
risuoni nella Chiesa
pellegrina nel mondo;

e si unisca alla lode,
armoniosa e perenne,
dell’assemblea dei santi.

A te la gloria, o Cristo,
la potenza e l’onore
nei secoli dei secoli. Amen.

Antonio Martinotti, Cristo alla porta (2004)

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Piccoli Pensieri (2)

Dania

Un vecchio Canta e cammina sarebbe stato buttato durante il riordino della Chiesa ma non sarei riuscita a farlo e così ho chiesto di poterlo conservare io, tra i miei “tesori”. Sulla prima pagina c’è un bellissimo scritto tratto dai “Discorsi” di S. Agostino: “Dio vuole che noi cantiamo “alleluia” e lo cantiamo nella verità del cuore… cantiamo “alleluia”, fratelli, con la voce e con il cuore, con la bocca e con la vita; questo è l’alleluia gradito al Signore… Canta come cantano i viandanti: canta e cammina!”.
Che meraviglia poter camminare così, cantando, indossando semplicemente “lo stile di Dio che è vicinanza, compassione e tenerezza” (Papa Francesco). Potremo sentirci denudati di ogni nostro abito firmato, di ogni titolo, onorificenza o ruolo ma sapremo di essere stati liberati da tutto, rivestiti di quell’unico titolo che Dio Padre ci ha da sempre attribuito: figli amati, di quell’Amore che ama sempre e comunque, prima ancora di essere amato. Ti rendiamo grazie Signore per questo grande dono, che nessuno mai ci potrà portare via.

11 Ottobre 2021
Savina

Ha continuato a dire di non preoccuparsi per il cibo, i vestiti e quant’altro, solo la ricerca del Regno di Dio è importante.
Ha mandato i suoi in giro praticamente senza niente, eppure sono tornati contenti di avere svolto l’incarico ricevuto e a loro non è mancato niente.
Mi viene in mente il libro “La città della gioia” (mi sembra ispirato a una storia vera) dove viene descritta la figura di un sacerdote che va ad abitare nella periferia di Calcutta, quella più degradata di tutte, portando solo l’immagine della Sindone, che poi attacca alla parete.
Leggero, per condividere la stessa vita dei suoi vicini, leggero, per meglio portare la Parola, leggero , per essere disponibile verso gli altri…
E, di ritorno, i suoi vicini gli vanno incontro, offrendogli quello che gli serve per vivere.
Non importa che fossero indù, musulmani, o altro…
Il distacco dalle cose ci fa certamente più leggeri, ma che fatica…
Se, appena appena, riuscissimo ad affidarci a Gesù, potremmo camminare senza troppa zavorra.
Si è molto parlato di preghiera in queste ultime riflessioni e quale migliore occasione, allora, per dialogare con il Padre su questa nostra difficoltà e invocare lo Spirito perché ci insegni ad abbandonarci a Lui.

10 Ottobre 2021

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