Campagna di sensibilizzazione?
Aveva appena invitato a pregare il signore della messe perché mandasse operai nella sua messe. Potremmo anche supporre che, da un po’ di tempo a questa parte, questo fosse l’oggetto del suo stesso pregare e che Gesù stesso si sia fatto carico di quella medesima richiesta. Semplicemente ne aumenta l’intensità perché chiedendo con maggior insistenza, quella preghiera potesse essere presto esaudita. E non chiedeva per sé ma per il campo stesso. Certamente rimase impressionato dal grande numero di persone che lo cercavano. Provò sulla sua pelle quel senso di non poter raggiungere tutti, di non farcela ad arrivare ovunque, seppure non si risparmiasse affatto, per non parlare di quando sentiva che il male premeva da ogni dove, come a voler sfondare le porte di casa ed entrare violento e prepotente.
La risposta non si fece attendere e gli parve quasi un suggerimento: chiamare vicino a sé e condividere il potere (un certo potere). Questa condivisione non può che essere frutto di preghiera; un suggerimento dall’alto e non certo venuto da carne e sangue. Quando mai un uomo di potere dividerebbe con altri ciò che è riuscito a concentrare nelle proprie mani, sapendo soprattutto che è proprio quel potere a renderlo prestigioso e potente agli occhi dei più?
La risposta si fece udire attraverso la Sua voce: chiamò a sé i suoi dodici discepoli, Gesù dando loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. Segue la lista dei convocati: nomi di fratelli, nomi che indicano la provenienza, le mansioni svolte fino ad allora, nomi o perfino soprannomi. C’è di tutto un po’. A noi lo sforzo di togliere l’aureola da questi nomi e guardare quel gruppo così stranamente composto. Quali criterio di scelta, quale logica? Forse solo la logica di prossimità. La logica del regno di chi si fa prossimo. Decise di farsi prossimo a questi. E se è proprio della misericordia il farsi prossimo c’è davvero da pensare e credere fermamente che questi inviati sono anzitutto delle persone raggiunte gratuitamente dalla sua bontà. Donare è proprio della bontà, è azione di misericordia. Quel potere donato contro gli spiriti impuri è segno che anzitutto per loro quel regno di Dio che dovranno annunciare s’era avvicinato. Come fai ad annunciare che il regno di Dio è vicino se non te ne accorgi, se qualcuno non ti invita ad entrare?
Capita di trovare nuovamente per strada persone «arruolate» che ti si avvicinano con una certa discrezione e ti travolgono con un fiume di parole, lievemente adulanti quando colgono qualche dettaglio del viso o dell’abbigliamento (come se dall’abito si capisse sempre il monaco), e cercano di coinvolgerti in qualche campagna di sensibilizzazione. In genere finisce poi in una raccolta fondi. Faccio il vago ma in realtà mi lascio sorprendere e mi fermo volentieri ad ascoltare e parlare. «Lei ha l’aria di essere un bravo padre! Che mondo vuol lasciare ai suoi figli?» (Campagna per il rimboschimento della terra). Sono un prete, rispondo sorridendo. A dimostrazione che certe tecniche umane di coinvolgimento non hanno nulla a che vedere con il regno di Dio, anche se la causa di quella campagna resta nobilissima che si tratti di ridurre la fame nel mondo o perfino di animali in via d’estinzione. E neppure questo è un dettaglio perché anche le api – per citarne di piccoli – fanno ecosistema.
Nulla di tutto questo per chi annuncia la vicinanza del regno di Dio. Nessuna tecnica di comunicazione. Piuttosto e più semplicemente l’invito chiaro a non confidare nelle proprie forze; una chiamata a sperimentare che senza di Lui non possiamo nulla; nessuna ostentazione di potere, nessuna campagna magniloquente, quanto piuttosto l’umile scoperta della propria debolezza che non rende il discepolo superiore ad una pecora perduta perché proprio quella chiamata è segno che Egli ti ha salvato dagli stessi smarrimenti. E proprio quella scoperta del proprio limite è porta di ingresso al regno, per chi lo vorrà accogliere. Lasciar entrare nella propria vita la Parola di Dio – cioè ascoltarla – è trovarsi accolti in una casa, quel regno degli affetti divini.
Padre, invochiamo la tua presenza in mezzo a noi,
rendici disponibili ad accogliere il tuo Spirito,
nella libertà del tuo agire,
tu ci vieni incontro per abitare con noi,
dacci l’umiltà che ci rende pronti ad accoglierti
nel tempo che è il nostro.
Padre, ascoltiamo la tua Parola incarnata in Gesù,
parola che guarisce, perdona e crea,
nella libertà del tuo amore,
Tu ci vieni incontro come l’altro da noi.
Amen.
Dal Vangelo secondo Matteo (10,1-7)
In quel tempo, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, Gesù diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino».
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
(dal salmo 32)
Il Signore osserva dal cielo
il tumulto dei popoli in lotta;
lui conosce le vere intenzioni
dei potentati che guidano le scelte.
Non è certo la potenza militare
a fare grande una nazione civile;
non sono certo conquiste e rappresaglie
a dare prestigio e benessere ad un popolo!
Che pazzi, che pazzi questi uomini
che si vantano dei loro armamenti,
che si credono forti e invincibili
e vogliono il dominio sul mondo.
Così mandano la gente al massacro
per stabilire nuovi equilibri,
per controllare maggiori risorse
e garantirsi il monopolio del potere.
Ma alla fine restano solo dei lutti,
la fame e lo sfruttamento dei poveri
perchè è sempre la gente a pagare
la pazzia militarista dei capi.
Tu, Signore, sovrano del mondo,
che eserciti un potere di servizio,
tu cerchi il bene dell’uomo
e appoggi progetti di pace.
Tu chiedi rispetto dei poveri.
Solo in te è la fiducia, Signore,
dei credenti, degli uomini onesti
e dei milioni e milioni di poveri
ancora in cerca della terra promessa.
Dai potenti e dai loro alleati
viene solo violenza e ingiustizia;
dal Signore e dal suo Vangelo
viene pace, perdono e fiducia.
(salmo 32, trascrizione Sergio Carrarini)
Ecco qui un nuovo problema: cosa vuol dire riconoscere la propria fragilità per l’uomo? Io credo nell’uomo (e non ci ha creduto anche Dio?) e nelle sue capacità di fare il bene, pur riconoscendone, a volte, la difficoltà. Eppure quel “senza di Lui non possiamo fare nulla” mi irrita un poco: non è disconoscere il valore dell’uomo e la sua libertà?
Fra l’ostentazione del potere e la scoperta della propria debolezza bisogna credere e avere fiducia in se stessi, nelle proprie potenzialità, altrimenti siamo dei burattini in mano a Qualcuno. Sono queste le domande che mi sento spesso rivolgere da alcune persone.
Io, allora, “recito” con convinzione: avere fede vuol dire confidare nell’aiuto di un Altro o altro; è fare esperienza di essere figli; è accettare di essere un dono e di essere oggetto di misericordia e quindi comportarsi di conseguenza… o no?
Ma allora perché mi sento a disagio e mi vengono tanti dubbi?
Don Stefano, un aiutino?
“Sostieni, Signore, la debolezza del nostro spirito e consola l’angustia dei nostri cuori” affinché possiamo essere dei fedeli discepoli di Tuo Figlio, nostro fratello e maestro, ed annunciatori, insieme a Lui, di quel Regno che prima di essere nei cieli è in mezzo a noi e dentro ciascuno di noi. “Ovunque andremo potremo essere seme di Dio” e questo in un continuo rendimento di grazie, per il dono di sentirci amati e chiamati ogni giorno per nome.