Caro Vegezio…
Un proverbio locale dice che nella festa della conversione di san Paolo, anche il cielo fa le bizze, ne fa di tutti i colori. Ieri mattino sembrava proprio così. Il cielo terso s’è rannuvolato in pochissimo tempo di nubi pesanti, buie e dense, che hanno finito per sfilacciarsi in mille frange schiarite dal sole. Ho scattato una fotografia uscendo di casa, mentre andavo verso la chiesa per l’Eucarestia. Alla festa dell’apostolo Paolo, il grande viaggiatore, segue il ricordo di altri due testimoni: Timoteo e Tito. Un modo per dire che la missione riguarda tutti. Il rischio di pensare che riguardi solo qualcuno c’è sempre. Il fatto è che se abbiamo deciso di ascoltare il Vangelo, di provare a coglierne il valore per la nostra vita o anche solo per questa giornata, quello è proprio il segno che ci riguarda.
Tra le cose da chiedere nella preghiera, dovremmo pregare perché mandi operai nella messe. E quando lo sentiremo dire: «Andate...» pregare ancora più intensamente perché possiamo trovare la forza di alzarci e andare. Non preghiamo di mandare altri al nostro posto. E questo – probabilmente – è il vero motivo per cui sono pochi gli operai. Se pensiamo sempre che sono altri a dover andare… non si muoverà più nessuno.
Uscire da sé per andare verso l’altro è il compito più umano che esiste. Secondo Gesù, fare l’uomo sarebbe proprio questo uscire da sé per andare incontro all’altro. Sono tempi da lupi, è vero! Non sono giorni facili. È davvero un tempo sfavorevole per venirci incontro. Ma è proprio di questi tempi che il mondo ha più bisogno di vedere qualcuno che incarni la mansuetudine, la mitezza degli agnelli.
Quando nell’Eucarestia diciamo «Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace», diciamo che il Signore è davvero Colui che può offrirci la pace. Da non confondersi con il non avere pensieri, con lo stare comodi e tranquilli, incuranti del bisogno altrui. La pace che siamo chiamati ad offrire e che a nostra volta abbiamo ricevuto, è la vera conquista di chi ha sofferto ed ha attraversato la prova con la mitezza dell’agnello. Uno scrittore latino, un certo Vegezio, aveva coniato l’espressione «Se vuoi la pace, prepara la guerra» (Si vis pacem, para bellum) convinto com’era che la pace fosse un bene da difendere a denti stretti, con tutte le forze. Da lì in poi – ma forse già prima e forse ancora oggi – grandi teorie su come governare un popolo, fino al celebre pensiero di Sallustio che parlava di metus hostilis, la paura del nemico. Il modo migliore, secondo questi pensatori, per governare un popolo sarebbe proprio quello di fargli nascere la paura dell’altro.
Caro Vegezio, caro Sallustio e cari tutti voi che cavalcate questi pensieri, per quanto ami le lettere antiche – vi ho conosciuto proprio negli anni degli studi – devo dirvi che il vostro pensiero fatico davvero a condividerlo. La pace non è un bene prezioso da difendere con tutte le proprie forze. È semplicemente un dono da offrire, da condividere. Il pane o qualcosa da mangiare… in qualche casa, se lo chiediamo, lo possiamo trovare sembra dire il Vangelo. Qui la buona gente è ancora abituata a dire: «Se vi accontentate di quello che c’è!». Una formula di cortesia che spesso utilizziamo quando vogliamo che qualcuno si trattenga a casa nostra, dopo un momento piacevole già vissuto assieme. E così, felici di quell’incontro, si invita a rimanere e a condividere quello che c’è. E pare perfino di sentire in sottofondo parole evangeliche: «Resta con noi,Signore, perchè si fa sera!»
La pace è un dono che il Signore ci ha donato e lo ha posto nelle mani dei suoi amici, dei suoi discepoli perché fruttifichi come un talento. La pace non è sicurezza di confini. La pace è sconfinare verso l’altro offrendo vicinanza e ricevendo quello che l’altro può dare. Il vangelo, senza ombra di dubbio, colloca la radice della pace proprio in questo uscire da sé verso l’altro. E guarda caso, più restiamo isolati e rinchiusi e più ci crescono le paure e le ansie. Meno condividiamo e più sentiamo di dover difendere qualcosa che… neppure noi sappiamo bene cosa.
Sia santificato il tuo nome – non il mio,
venga il tuo regno – non il mio,
sia fatta la tua volontà – non la mia.
Dacci pace con te, pace con gli uomini,
pace con noi stessi e liberaci dalla paura.
Dag Hammarskjöld
Dal Vangelo secondo Luca (10,1-9)
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».
Pace! Da sempre attesa, da sempre sperata,
come si attende la pioggia sulla terra assetata
dopo mesi di arsura.
La pace verrà e fiorirà dalle nostre mani,
se avrà trovato posto già dentro di noi.
E verrà presto, domani,
se sapremo fare nostre le necessità
di chi vive o passa accanto a noi.
Se sapremo far nostro il grido degli innocenti.
Se sapremo far nostra l’angoscia degli oppressi.
Pace! Da sempre amata, da sempre desiderata,
come si desiderano le voci della propria casa lontana.
La pace verrà se avremo posto nella nostra casa
per chi non ha un tetto e non ha patria.
Se avremo posto nel nostro cuore
per chi non ha affetto o muore solo.
Se avremo pace nel nostro giorno
per un disperato da ascoltare.
Pace! Da sempre sospirata, da sempre cercata,
come si cerca il perdono
sulle labbra del padre mentre muore.
La pace verrà se non cederemo alla provocazione.
Se sapremo sanare ogni divisione.
Se saremo uniti con tutti:
uniti per la vita, contro la morte.
Pace! Da sempre amata, da sempre attesa,
come si attende un dono nel giorno di festa.
La pace verrà e sarà un dono di Dio.
La pace verrà e sarà il frutto più vero dell’unità,
dell’armonia tra i popoli.
(Gen Rosso, dal «concerto per la pace»)
“Come agnelli in mezzo a lupi”… , con il rischio e la tentazione che il mondo ci trasformi in lupi, che ci voglia lupi in mezzo a lupi.
Aiutaci Signore a restare fedeli alla mansuetudine dell’Agnello, affinché dalla debolezza esca la forza, la Tua. La Tua gioia sia la nostra forza, il Tuo volto possa risplendere sul nostro volto, sulle nostre labbra possano fiorire parole che si sono appoggiate sul cuore che Tu stesso hai plasmato e ricchi, non tanto delle nostre capacità ma di Te, possiamo testimoniare e soffrire per il Vangelo.
Il Tuo Spirito sia su di noi per annunciare nei nostri luoghi di vita la nostra ferma convinzione di seguirTi.
Onore e Gloria a Te nei nostri giorni, nel tempo in cui viviamo.
A leggere i pensieri di oggi mi è tornato in mente il mio percorso rispetto alla paura. Da quando quinquenne mi trasferii dai boschi di Ponte Luio a Seriate, e avevo così paura dei nuovi suoni che i miei si inventarono di mettermi vicino al letto il modellino di un aeroplano da guerra che mi avrebbe difesa. Anni dopo iniziai a fare le prime esperienze teatrali, ed imparai a non aver paura di buttarmi, mettermi in gioco. Altri anni ed arrivai a praticare Yoga Yiengar, ed imparai che quello che frega è la paura: che è quando si ha paura che ci si fa male. Ed è allora che ho iniziato a lottare contro le mie paure, un poco alla volta. Un lento allenamento al “pensiero positivo”, a dispetto delle difficoltà della vita. A dispetto delle paure che, come ne smonti una, ne sbuca fuori un’altra… Ma basta tenersi vigili e combattere sí, ma le paure!