Che cosa cercate?
II domenica del Tempo Ordinario (B)
(1Sam 3,3-10.19 / Sal 39 / 1Cor 6,13-15.17-20 / Gv 1,35-42)
O Padre, che in Cristo Signore
hai posto la tua dimora tra noi,
donaci di accogliere costantemente la sua parola
per essere tempio dello Spirito,
a gloria del tuo nome.
Amen.
(orazione dalla liturgia odierna)
Dal Vangelo secondo Giovanni
(1,35-42)
In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
Il fatto natalizio, la notizia che Dio s’è fatto uomo e ci abbia dato appuntamento attorno alla culla di un bambino appena nato – perché così si manifesta ai nostri occhi umani la Vita fin dal suo primo apparire in terra – è già a questo punto la questione cruciale della fede, del nostro credere. Se noi crediamo che Dio ha voluto farsi uomo, il nostro credere in Lui deve dunque essere strettamente legato al corpo che ci è stato dato. Il bambino nella mangiatoia di Betlemme, colui che più tardi sarà innalzato sulla croce, è il corpo di un uomo, è il luogo in cui Dio s’è reso visibile.
Il mondo, quello in cui abitiamo, sembra non bastarci più. Quasi non ci fosse spazio per tutti. Le sue risorse – certo – non sono distribuite equamente. Quel mondo che apparve bello agli occhi del suo Creatore, sembra essere oggi un mondo sempre più insicuro per le creature. E così, da questo mondo vorremmo quasi traslocare, magari su altri pianeti del nostro sistema solare ma di certo molti già vivono in un mondo che chiamiamo virtuale. Caselle di posta elettronica da tempo convivono con le vecchie cassette della posta. Vecchi documenti di identità vanno assieme a identità digitali. Dalla creazione di un proprio profilo su diverse piattaforme social siamo già arrivati alla creazione di un proprio avatar, un personaggio che si vuole sempre più assomigliante a quell’essere di carne ed ossa che siamo ma che si incammina sempre più verso un mondo virtuale, come per rifugiarsi altrove, sperando che da quelle parti le cose possano andare meglio. Il fatto è che non sappiamo proprio quando possa essere salutare questo modo di estraniarci alla realtà.
Restano tuttavia degli argomenti di fondo: il bisogno di essere liberati e di vivere liberi, il desiderio di trovare salvezza quando tutto attorno è minaccioso. E che lo si voglia oppure no, queste sono proprio le questioni della fede. Chi potrà liberarci? Chi potrà salvarci? Qual’è il cammino da percorrere per trovare riparo e sicurezza? E come potremmo percorrerlo? Chiamati alla Vita, vorremmo rispondere proprio a queste domande di fondo e incamminarci su una strada che sia buona, che altri possano percorrere.
Venne un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone (Gv 1,6-7a), diceva il vangelo nel giorno di Natale. Ed è proprio quest’uomo che ritroviamo oggi nel gesto di indicare Colui che egli non esiterà a chiama «l’Agnello di Dio», espressione questa che doveva suonare come ben nota ai suoi uditori. Giovanni, fin dal grembo materno, aveva già esultato di gioia quando nell’incontro tra Elisabetta e Maria s’era trovato in presenza di questo Agnello di Dio. Ed ora, in presenza di due suoi discepoli, non può che indicare con assoluta certezza Colui dietro al quale il cammino potrebbe proseguire. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù, dice sinteticamente il brano di Vangelo odierno.
È l’espressione «Agnello di Dio» che pare averli conquistati e convinti a passare da un maestro all’altro. Bisogna dunque comprendere che questa espressione fosse ben nota all’epoca. Usando questo titolo si sapeva bene di chi si stesse parlando o a cosa si facesse allusione. L’espressione «Agnello di Dio» doveva sicuramente rimandare alla cena di Pasqua, a quell’agnello che si doveva immolare per fare memoria delle grande liberazione dalla schiavitù. Il popolo di Dio, dopo la Pasqua, a proposito dell’agnello di Dio, figurava una bilancia sui cui piatti stavano da una parte carri e cavalli del faraone in gran numero e dall’altra un agnello. La bilancia – contro ogni pronostico logico – pendeva dalla parte del piatto su cui stava l’agnello. Non dunque la forza, ma la mansuetudine e la mitezza.
Che cosa cercavano dunque quei due discepoli nell’aver deciso di seguire l’agnello? È la domanda che Gesù stesso rivolgerà loro. Essi cercano una dimora, un luogo sicuro dove poter vivere. Non lo diranno così esplicitamente ma la loro domanda, che fa seguito a quella di Gesù, è già in qualche modo risposta. C’è un cammino da percorrere per giungere a dimora e questo cammino ora lo faranno dietro a Gesù, senza esulare da nulla.
C’è un regno di Dio da cercare – dirà Gesù – e questo regno è già qui in mezzo a noi. Non è affatto in un altro mondo e non è neppure in un altro tempo, se non quello in cui ogni discepolo di Gesù vive. E c’è pure una dimora da costruire per l’uomo che cerca, e di questa dimora, come Simon Pietro, anche noi siamo impiegati quali pietre vive per la sua edificazione (1Pt 2,5).
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».
(dal salmo 39)
Dovremmo forse tornare a ricordarci un po’ meglio la nostra natura, da credenti, di parti vive e attive della Chiesa. Non pesanti mattoni,nè pregevoli capitelli, ma carne e sangue, muscoli e sentimenti. Fatti per amare e fatti per camminare, questa è la chiesa di Dio: in cammino, come ho sentito ricordare da Papa Francesco, non statica nè necessariamente immutabile, perfettibile e migliorabile. Ciascuno con la sua particina da fare, ciascuno con il suo contributo da dare.
Questa mattina a catechesi il tempo sembrava essersi fermato a prima di Natale, tutto faceva credere che nulla dello scenario fosse cambiato, eccetto una cosa: nel presepe, una mangiatoia non più vuota, sulla quale aveva fatto la sua comparsa Gesù bambino. Ed ad uno ad uno Lo abbiamo provato a tenere nelle mani e poi ai bambini ho chiesto di scrivere cosa avevano pensato o provato guardandoLo e se avessero voluto potevano poi leggerlo e condividerlo con tutti. Ed uno di loro ha scritto “ho pensato che la misericordia, la bontà e la fede di Dio entravano nel mio cuore”…come non pensare e vedere il Regno di Dio in mezzo a noi?? E sentire risuonare le Sue parole “Se non vi convertirete e non
diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli” (Mt 18,3).
“Lasciate che i bambini vengano a Me, e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio” (Mc 10,14).
Grazie Signore perché anche così mi/ci istruisci e sento di avere ancora così tanto da imparare.
Secondo me, l’ uomo è l’ unico “cucciolo” di animale che nasce con un pianto. L’ uomo è per sua natura un essere “mancante”. Intendo dire che noi che (mi vien da dire ‘purtroppo’…) viviamo in una società “consumistica” riempiamo la nostra vita con una serie di “bisogni” che spesso vogliamo siano colmati, ma che altrettanto spesso non sono bisogni reali, necessari, indispensabili per raggiungere una felicità e pace, SOFFOCANDO COSÌ IN QUESTO MODO IL DESIDERIO DI INFINITO, DI BELLEZZA, DI POSITIVITÀ CHE C’È IN NOI. (Io l’ ho fortemente nel mio cuore). Cioè senza l’ Altro con la A maiuscola, quindi senza la Sua Presenza costante nella nostra fragile vita, non possiamo essere soddisfatti, felici.
Il Vangelo di oggi parla di sguardi tra Giovanni Battista…Gesù…i discepoli.
In questi sguardi il reciproco cercarsi per trovare dimora.
Anche noi cerchiamo ogni giorno una dimora di pace nel nostro quotidiano…ma la vera pace la troviamo solo nell’ AGNELLO DI DIO, SE RIMANIAMO CON LUI.