Consegnare e accogliere
Beata Vergine Maria addolorata
(Eb 5,7-9 / Sal 30 / Gv 19,25-27)
All’indomani della festa dell’esaltazione della santa Croce, siamo invitati a guardare ancora quella scena di sofferenza e di morte ma dagli occhi di una madre, occhi sempre generativi. Si ricorda oggi Maria, la madre di Gesù, ai piedi della croce. La dicitura di questa memoria le attribuisce tre aggettivi per descriverla: beata vergine addolorata.
Maria è beata perché sempre ascolta la Parola del Figlio. È beata per tutte quelle beatitudini sparse da Gesù nei giorni della sua vita terrena e raccolte nelle pagine dei Vangeli.
Maria è vergine come si legge nei testi di un altro giorno a Lei dedicato quando, per spiegarne l’immacolata concezione, si afferma che quella sua verginità sarà proprio in previsione della morte del Figlio perché c’è un dubbio atroce che rovina il nostro sguardo e questo dubbio sorge proprio davanti alla sofferenza e alla morte, come uno sfregio che rovina il candore del corpo. L’otto dicembre, giorno in cui si ricorda l’immacolata concezione di Maria, la preghiera liturgica ci fa dire esattamente queste parole: O Padre, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te in santità e purezza di spirito. Verginità di Maria è amare con la stessa passione del Figlio, senza violenza alcuna ma solo per donare vita e far venire alla Luce.
Maria è addolorata. La tradizione ha attribuito al celebre poeta Jacopone da Todi il celebre inno dello Stabat Mater. Secolo XIII. Testo intenso e drammatico, come molte delle composizione del poeta di Todi, che tuttavia rischia di farci scivolare in un dolore sterile, fatto solo di una pietosa compassione per una madre che perde il suo figlio.
Purtroppo di madri che han perso figli ne ho conosciute. Diverse… numericamente parlando ma anche per il loro temperamento. Penso a ciascuna di loro, brevemente: mai ho trovato in queste madri un dolore scomposto, lacrime che fossero soltanto disperazione straziata. Una madre, quand’anche perdesse un figlio, pur nel suo incontestabile dolore, sa essere generosa e generativa. Da quelle madri si riparte ancora con una parola buona nel cuore e l’imbarazzo di chi non sapeva cosa dire per provare a consolarle è cancellato proprio dalla parola che esce da quelle labbra che invece di bestemmiare la Vita la benedicono ancora, in qualche modo, da qualche parte.
L’addolorata che oggi la Chiesa ci chiede di contemplare ha, a mio parere, il volto giovane che Michelangelo scolpì nella celebre Pietà. Non una ruga di dolore, non uno sfregio alla bellezza di chi genera la Vita. So che molti pittori e scultori hanno dipinto Maria addolorata in mille pose scomposte, con fazzoletti alla mano, abiti neri elegantemente broccati. Io preferisco guardare oggi il dettaglio di quel volto: cosa vede quella Madre mentre tiene in braccio il corpo del figlio che le hanno appena ucciso?
Quel volto mi dice – serenamente – che tutto ciò che è nato dall’amore non può andare perduto. Occorre soltanto il coraggio estremo racchiuso nei due verbi, in quei pochissimi versetti di vangelo che la liturgia ci chiede di meditare: consegnare e accogliere.
Io confido in te, Signore;
dico: «Tu sei il mio Dio,
i miei giorni sono nelle tue mani».
Quanto è grande la tua bontà, Signore!
La riservi per coloro che ti temono,
la dispensi, davanti ai figli dell’uomo,
a chi in te si rifugia.
(salmo 30)
Dal Vangelo secondo Giovanni (19,25-27)
In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Quando il cielo baciò la terra nacque Maria
che vuol dire la semplice,
la buona, la colma di grazia.
Maria è il respiro dell’anima,
è l’ultimo soffio dell’uomo.
Maria discende in noi,
è come l’acqua che si diffonde
in tutte le membra e le anima,
e da carne inerte che siamo noi
diventiamo viva potenza.
Germogliava in lei luce
come se in lei in piena notte
venisse improvvisamente il giorno.
Ed era così piena della voce di Lui
che Maria a tratti diventava grande
come una montagna,
e aveva davanti a sé
il Sinai e il Calvario,
ed era ancora più grande di loro,
di queste montagne ardenti
oltre le quali lei poneva
il grande messaggio d’amore
che si chiamava Vita.
Maria vuol dire transito,
ascolto, piedi lieve e veloce,
ala che purifica il tempo.
Maria vuol dire una cosa che vola
e si perde nel cielo.
Ella era di media statura
e di straordinaria bellezza,
le sue movenze erano quelle
di una danzatrice al cospetto del sole.
La sua verginità era così materna
che tutti i figli del mondo
avrebbero voluto confluire
nelle sue braccia.
(Alda Merini, Maginficat, un incontro con Maria)
Nel volto delle madri, che ho conosciuto, che hanno perso un figlio mi è sempre parso di vedere una domanda alla Vita: perché hai preso mio figlio e non io, come è nell’ordine naturale delle cose?
È poi vero che altro non traspare.
Il commento di oggi mi ha fatto tornare alla memoria una mia zia, sorella di mia mamma, morta ormai da tanti anni.
Zia Caterina veniva a trovarci tutte le settimane, in genere di giovedì, e per me era sempre una visita molto attesa.
Quando uscivo da scuola (allora non c’era il tempo pieno) ed ero vicino a casa, guardavo se c’era la bicicletta e allora correvo a casa. Aveva sempre qualcosa per noi, dei dolci, oppure golfini, magliette, pantaloncini perché lavorava a maglia, ma era soprattutto la sua presenza fatta di sorrisi, di scherzetti, di storie raccontate, di pomeriggi passati in lieta compagnia…
Solo un particolare, era sempre vestita di nero…
Dopo diversi anni mi è stato detto perché: le era morto un figlio adolescente annegato nelle acque del Serio.
Mai dalla zia Caterina era uscita una parola di rammarico, di rabbia o dispiacere… un dolore vissuto con dignità, proprio come tutte le mamme, unico segno il lutto a perenne ricordo per lei…
Grazie don Stefano per l’opportunità che mi hai dato, anche se, per il ricordo, confesso che ho pianto.
Grazie anche oggi per il tuo pensiero, bello e colmo di Amore. Un abbraccio Stefano.