Cosa c’è nel cuore?
(Gen 2,4-9.15-17 / Sal 103 / Mc 7,14-23)
Comunque sia, la storia dei negozi e delle cassiere ebbe lieto fine. O meglio, voglio credere che non avrà fine, sperando anzitutto che le due cassiere abbiano riso un po’ di me ma allo stesso tempo c’abbiano pensato un po’, come si dice. Capita di raccontare cose che accadono anche a me. Non sopporterei l’idea di non sapere più come gira il mondo e quanto costa il latte: espressione per dire… quanto costa vivere! (E non nel senso di fare la spesa).
È sempre attraverso le cose più quotidiane che noi cerchiamo di comprenderci. Comprendere questo mistero che è l’uomo, l’abisso del suo cuore, tentando di conoscere anche il mondo in cui ci troviamo a vivere e – come si dice della Chiesa dopo che s’è trovata a passare nel Concilio Vaticano II – sforzandoci di dialogare con i segni dei tempi, cercando di trovare la buona notizia del regno di Dio che crediamo essere sempre e comunque presente in mezzo a noi. Il Vangelo poi ci orienta (o ci disorienta?) in questo addentrarci nella nostra umanità.
Di questi tempi, a dire il vero, il mio dilemma graviterebbe proprio attorno a questo: pazientare è lasciar perdere una volta di più (e non è forse a forza di lasciar perdere che siamo giunti a questo punto?) o piuttosto provare ancora una volta con garbo ad aprire la bocca – correndo dei grossi rischi – convinti che far notare qualcosa non sia di certo per perfezione personale né per pignoleria, ma piuttosto una semplice e molto concreta occasione per risvegliare nell’altro e in sé stessi quella capacità forse solo dimenticata, per poi crescere insieme?
Prima ancora di fare progetti, pianificare strategie o interventi ufficiali su scala sociale o pastorale, è «nel nostro piccolo» che accade. Altrimenti stiamo ad attendere invano un progetto, qualche incaricato ufficiale o il mandato per farlo. Annunciare il Vangelo è già un compito assegnato, una missione… e viene dalla Pasqua. Riconciliazione, fraternità e pace potrebbero esserne i frutti, parlando con disarmata semplicità a persone sconosciute a cui tuttavia ci facciamo prossimi. Il prossimo – non dimentico – non è l’altro ma sono io nell’atto di avvicinarmi.
Forse abbiamo ceduto all’approssimazione di tanti comportamenti e rischiamo di essere di quelli che ancora attendono che l’educazione venga data da altri. Ci sono parole buone che vanno succhiate presto, assieme al latte materno, prima che dal cuore dell’uomo escano azioni che sono frutto di altre seminagioni… «un nemico ha fatto questo» (Mt 13,28) dirà chiaramente Gesù quando i discepoli videro la zizzania.
Così ogni volta che meditiamo la Parola di Dio, lo sappiamo, è come se il seminatore uscisse a seminare. I contadini insegnano che tutto quello che noi possiamo fare è dissodare e preparare il terreno per la semina. Molti si dicono meravigliati che a più riprese papa Francesco inviti a riscoprire le parole che aprono porte, creano legami e fanno relazione. Permesso. Grazie. Scusa. Di recente lo ha ancora ribadito… e la storiella del baule volante e della grande fabbrica delle parole vorrebbe portarci proprio lì. E ci stiamo arrivando. Molti si dicono scandalizzati che il magistero pontificio si «riduca» a questo. Certo, a prima vista potrebbe sembrare banale, come se il papa non avesse di meglio da dire alle sue pecorelle. Ma se perfino Francesco deve ricordarci queste cose, forse significa che proprio da lì possiamo ripartire ma con lo stesso mandato, la stessa missione: «Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8).
Non abbiamo bisogno di macchine e tecnologie che aumentino l’efficienza, la prestanza. Siamo di quelli che hanno ancora bisogno degli altri e davvero non si può accettare di interagire con l’automatismo. E non basta nemmeno pensare alla mente geniale che ha pensato e realizzato quel sofisticato meccanismo. Non basta per conoscere l’uomo. Occorre ritornare al cuore. Noi siamo quelli che si sono letteralmente sciolti davanti a quell’umanissimo «Buonasera!» di un uomo venuto quasi dalla fine del mondo. Quel saluto era già la strada di una Chiesa abituata a vivere per tradizione, che spesso non sa proprio come riprendere le sue funzioni… vitali. Tornare al cuore di ogni cosa è lavoro capillare, ma urgente e necessario.
È bello dunque trovare un sorriso per strada, un buongiorno in un negozio, una gentilezza improvvisata, un dono da uno sconosciuto… piccole cose che ridanno speranza e fiato a quel compito evangelico di pescare l’uomo, di portarlo alla Luce, di far nascere oggi Cristo, il cui Corpo è composto da tutte quelle membra che sono già sue. Dal cuore pulsa il sangue e la vita si diffonde nelle membra, e vorremmo raggiungere la piena statura di Cristo se nel cuore c’è la sua Parola, questa idea di muoverci meno slegati, articolando meglio pensieri, parole e opere.
Il Vangelo di oggi parla della contrapposizione tra puro e impuro, da non confondersi con pulito e sporco. Purità era condizione per presentarsi a Dio e per conservarla non ci si deve contaminare. Il vero problema sta nello scoprire che ciò che rischia di farci contaminare non risiede fuori o negli altri, ma proprio in noi stessi quando sprechiamo il nostro vivere come fratelli. Questa, a detta di Gesù, è l’impurità che ci toglie la possibilità di presentarci a Dio. Da Gesù in poi tentare di vivere come fratelli, bisognosi gli uni degli altri, è l’unico lavacro che rende puri davanti a Dio.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito. (salmo 50,12-13)
Padre santo,
tu ci concedi di condividere una stessa vita
di lavoro, di preghiera e di pace:
fa’ che la nostra comunione con Te,
che si rinnova in questo nuovo giorno,
si manifesti in comunione fraterna.
Tu sei benedetto ora e sempre.
Amen.
Dal Vangelo secondo Marco (7,14-23)
In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
Tu sei la via, sei l’unico Signore,
di quanto esiste sei il sostentamento:
non si placa e non si estingue la sete di te.
Tu sei oltre ogni tempo e ogni spazio,
sulle soglie della morte Tu sei la vita:
in te le nostre leggi muoiono come fiumi nel mare.
Tu sei nell’agonia di ogni essere umano,
nel gemito dell’animale ferito,
nel grido vittorioso del bambino che nasce.
Tu sei melodia sulle labbra dell’amante,
luce gioiosa negli occhi dell’amato,
amore nel cuore di fratelli e di sorelle.
Tu sei la mano che dà fiducia all’ansioso,
il segreto rimprovero all’orgoglioso,
il lenimento nelle torture del male.
Tu sei la musica del flauto che canta,
il suono che si placa in silenzio,
la brezza che spira tra i rami.
Tu sei la bellezza che adorna la terra,
il bene che assorbe e consuma ogni male,
la santità che va oltre ogni bellezza e ogni bene.
Un pensiero ho nel cuore per ricordare un sacerdote salesiano, come dicono in molti, in “profumo di santità”. É morto a Palermo due giorni fa, don Giuseppe, presso l’istituto don Bosco.
Quando ci salutava a conclusione di un incontro o della confessione diceva: “Restate nel cuore di Dio”. E ancora: “La gloria di Dio é l’uomo vivente”.
Grazie per l’occasione.
“Ci vuole tempo per raggiungere l’innocenza del giorno. Ci vuole tempo per giungere alla semplicità di una lingua. Ci vuole tempo per imparare e ancora più tempo per ridere di ciò che si è appena imparato. Ridere del proprio sapere come della propria ignoranza. Ridere con la primavera negli occhi, l’infanzia nella voce, la pioggia nei libri. Perché nei libri piove. Una pioggia sottile scivola sulle pagine, scende sul cuore.” (C. Bobin)
“Se non diventerete come i bambini non entrerete nel regno dei cieli”… E più sono piccoli e più è proprio vero che i loro cuori sono puri, non conoscono corruzione, non sanno cosa sono invidia, superbia, stoltezza, malizia…anche se le imparano presto dal mondo adulto. Mi chiedo a volte se sono io a dover insegnare loro o loro ad insegnare a me?… Quante cose ho da apprendere e rimettere in gioco faticosamente ogni giorno per accogliere degnamente queste meravigliose creature.
Che il Signore mi e ci aiuti nella nostra professione, ci sostenga nelle fatiche e che i nostri occhi siano sempre pronti a cogliere lo stupore. Il più delle volte il Regno dei cieli non ci sembrerà così tanto lontano…
Premettendo che mai riderei di te, trovo che questo blog sia stupendo. Solo parole belle, e non è facile su questi strumenti sentirsi bene, desiderare di mettersi in contatto di prima mattina per leggere parole costruttive. Accogliere i pensieri di altre persone, aprirsi ad altre persone, rispettare, ecco, c’è tanto bisogno di questo. E tornando sui sorrisi e sui saluti concordo in tutto quello che dici, don Stefano, e mi ricordo di una cosa che mi ha sempre infastidita. Da anni, tutte le estati, mi reco in un luogo a pregare ad ascoltare una persona che ho sempre ritenuto un ottimo maestro, ma che al termine di ogni incontro raramente salutava e soprattutto l’ultimo giorno, ringraziava si, ma cercava di svignarsela a testa bassa. Insomma avvertivo tanta freddezza. Forse aveva i suoi buoni motivi, non so, ma è per puntualizzare che sicuramente fa stare meglio un sorriso donato, un abbraccio affettuoso, un saluto caloroso, che tante parole, forse non così collegate al cuore.
“Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri!” (San Paolo)
È una battaglia quotidiana, è un attimo distrarsi e senza accorgersene cadere nella trappola.
Chissà perché è sempre tanto facile prendere cattive abitudini e così difficile avutuarsi a quelle più sane. Forse perché nelle cattive abitudini ci si lascia scivolare senza nemmeno troppo pensare, mentre per prenderne di nuove e più sane siamo costretti a cambiare direzione. Forse la fatica sta proprio nella nostra rigidità. Più ci abituiamo alla nostra “comodità bella strettina” e più fatica facciamo poi a cambiare posizione. Esattamente come accade al nostro corpo quando ci incastriamo in qualche posizione sbagliata… Che fatica poi rialzarsi! Tanto meglio allora provare, piano pianino, ad allenarsi un po’ – di tanto in tanto – a qualche cambio di direzione… No?
Sono tornati i cuori per San Valentino, a riempire le vetrine e ho pensato ai cuori appesi ai balconi per la pandemia: meglio degli arcobaleni.
Coraggio deriva da cuore.
E allora che tutti si possa avere cuore.