Cosa si cerca, quando si da?

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Data :6 Febbraio 2021
Bruno Catalano, Les voyageurs

I discepoli tornano dalla missione. Carichi e verosimilmente soddisfatti per la buona riuscita, scoppiano dalla voglia di raccontare tutto quello che hanno fatto e insegnato. Sono, in un certo senso, ancora legati a dinamiche umanissime per quel bisogno di raccogliere subito un apprezzamento, un risultato, una soddisfazione. Non sanno ancora che il risultato di quella missione sarà per il loro Maestro rifiuto e croce.

Mi rimane costantemente questo dubbio sulla precedenza che sempre diamo  al fare rispetto all’insegnare, al pratico sul teorico. Come se la pratica non venisse da una teoria, come se un’azione non nascesse da un pensiero, da un sogno, da un’intuizione. Non credo si tratti di un ordine casuale dato alle parole nel raccontare l’esito della missione: si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. È insito nell’uomo quel farsi prendere la mano dal fare ed è così rapidamente che la percezione del nostro essere al mondo si sposta attorno all’efficienza, al profitto, al risultato. Le conseguenze sono altrettanto evidenti: l’incapacità di stare un po’ in disparte o di farsi da parte quand’è il momento.

Eppure anche il riposo fu comando esplicito per l’uomo, il quale deve pure sapere che Dio stesso, il settimo giorno si riposò. L’efficacia di un lavoro, l’esito più sano del nostro fare sta pure nella nostra capacità di andare in disparte con Colui che ci ha inviati. Per non perdere il principio, la fonte, l’ispirazione. E sarebbe così sano tornare sempre a Lui per ricondurre tutto ad unità, per non essere frammentati o disgregati, straziati o divisi. Per far convergere i nostri sguardi nell’unica direzione, spostandoli da quella preoccupazione di sé.

Tornarono soddisfatti ma il loro Maestro, che ben li conosceva, li vide svuotati e incompleti. Qualcosa di loro è rimasto laddove passarono e precisamente qualcosa che loro stessi avevano ricevuto a loro volta. C’è come uno svuotamento dunque nel movimento del dare. E dare suona già meglio di fare. Li vide tornare carichi di soddisfazione ma erano come consumati.

Mi sono così venute alla mente le opere dello scultore Bruno Catalano. Classe 1960. Nato in Marocco, da famiglia di origini siciliane. Emigrato in Francia, a Marsiglia precisamente. All’età di vent’anni inizia a modellare l’argilla. Si iscrive ad una scuola d’arte. Per una deteriorazione dell’argilla modellata mentre realizzava una statua, vede questo errore di fabbricazione come l’occasione per esplorare un nuovo modo di intendere la scultura. Nascono così i suoi personaggi viaggiatori. Ad attirare il nostro sguardo non è il loro bagaglio, quelle valige o quei borsoni pesanti. Non ci interessa praticamente sapere nulla di quanto contengono. Il nostro sguardo cade proprio su ciò che manca di queste opere. Attraverso ci puoi vedere il mondo ma ci vedi anche il vuoto. 

Quei viaggiatori siamo noi. Con tutto il nostro carico – a qualcuno importa sapere cosa portiamo con noi? – e con tutti i nostri vuoti che vengono da quanto abbiamo dato, o da quanto non abbiamo più dentro. E basta guardare in quel vuoto per capire come va il mondo. Proprio di quello spazio mancante –  interiorità contro esteriorità? –  il Maestro sente compassione. E Lui che invece incarnava la Parola di Dio ci stava dicendo che presso Dio – paterno e materno che sia – da sempre ci sono queste viscere di compassione e di misericordia. E gli nasceva lì quella compassione per le folle. Come la vita che nasce da un grembo e come il cibo laddove è assimilato. Si stava preparando a nutrirli di sé.

La terra non è che il nostro luogo di transito. Qui è il nostro passaggio. Qualcuno – fortunatamente – ci ha visti con il passo stanco e la valigia pesante. Sembriamo vuoti, senza organi vitali. Incapaci di assimilare, di digerire cose pesanti. Incapaci di generare vita nuova, sebbene non manchiamo di fare qualcosa. Curiosamente rimaniamo comunque in piedi, convinti pure di star bene. Si può vivere con delle parti mancanti di noi stessi? A vivere davvero si perde sempre un po’ di sé: qualcuno ne risulta arricchito, altri si sentono mancanti… Cosa si cerca, quando si dà? Quando si chiede, quanto si dà? Quando si ama davvero?

Signore,
strappaci dalla nostra indifferenza
verso il destino altrui.
Rendici più coraggiosi nel confessare la nostra fede,
più sensibili alla sofferenza altrui.

Dal Vangelo secondo Marco (6, 30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Noi tutti non siamo solo
terrestri. Lo si vede da come
fa il nido la ghiandaia
da come il ragno tesse il suo teorema
da come tu sei triste
e non sai perché. Noi
tutti, noi forse ritornati,
portiamo una mancanza
e ogni voce ha dentro una voce
sepolta, un lamentoso calco di suono
che un po’ si duole anche quando
canta. Te lo dico io
che ascolto
il tonfo della pigna e della ghianda
la lezione del vento
e il lamento della tua pena
col suo respiro ammucchiato sul cuscino
un canto incatenato che non esce.
Ascoltare anche ciò che manca.
L’intesa fra tutto ciò che tace.

(Mariangela Gualtieri, Noi tutti non siamo solo)


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Piccoli Pensieri (4)

Emanuela

Quando si chiede, quanto si dà?
Quando si ama davvero?
Mistero

L’hai preso da qui?
Ma poi lui, Gesù, è venuto a svelarlo questo mistero, o è Lui il mistero che dobbiamo cercare di svelare, seguendolo con pazienza ogni giorno?
Perchè, confesso, non è sempre facile…

6 Febbraio 2021
Dania

Su un manifesto fuori dalla mia Chiesa natia leggo: “servire la vita là dove accade” e questa frase la porto con me tutta la settimana…trovo che rispecchia molto ciò che desidero fare e ciò che ogni cristiano dovrebbe fare o desiderare di fare.
Alcuni sono chiamati a grandi cose, altri a piccole nel loro quotidiano, che sa ogni volta di nuovo (o potrebbe saperlo, dipende da noi) ed il ritorno, se sono cose che sanno di buono e fanno del bene, sarà più grande sempre delle nostre aspettative ed anche se non vi fosse non c’è da temere perché il Padre nostro ci riconoscerà quali Suoi figli proprio in virtù di quanto avremo fatto e non solo detto, Lui che scruta e vede anche nel segreto.
“E per mille strade poi, dove Tu vorrai, noi saremo (potremmo essere) il seme di Dio”… Ci scopriremo a fare le cose possibili, poi quelle che credevamo difficili e ci stupiremo nel compiere anche quelle che ritenevamo a noi impossibili…dando un po’ di amore, quello che riceviamo ogni giorno, insieme alla Sua compassione e misericordia.
La Tua Parola ed il Pane di vita siano per noi nutrimento.

6 Febbraio 2021
Patrizia

Capita di questi tempi e per quel che mi riguarda anche spesso, di sentirsi persi, disorientati, tanto da perdere di vista anche il pastore.
È bello e da molta consolazione sapere che Lui c’è sempre, che ci accoglie e con compassione si mette ancora ad insegnare molte cose.

6 Febbraio 2021

Forse un po’ di vuoto è anche necessario per sentire meno il peso delle incombenze… Oppure perché ci sia un po’ di spazio per le novità! Chissà che magari con il proposito del ritiro in un luogo deserto Gesú non volesse ritemprare un po’ lui stesso i discepoli, riempiendoli di linfa nuova perché ne fossero nutriti. Quando riusciamo a condividere un po’ di tempo “di qualità”, tranquillo, libero di incombenze, con qualcuno che stimiamo e cui vogliamo bene, ne usciamo sempre un po’ più ricchi no? Ma come potremmo se fossimo “pieni” al 100%? Forse non ci penseremmo neppure…

6 Febbraio 2021

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