Costruire, edificare? Abitare è il Verbo
Giovedì – Prima settimana di Avvento
(Is 26,1-6 / Sal 117 / Mt 7,21.24-27)
Dettò le Sue parole e ordinò che fossero scritte su tavole di pietra. Un comando che doveva durare nel tempo, resistente a tutte le intemperie. Forse l’invenzione della pietra miliare, quei rudimentali cartelli stradali per indicare il cammino all’uomo? Quello scrivere su pietra era anche segno della durezza dei cuori. E il Signore consegnò quelle tavole a Mosé perché fossero monito: ciò che il Signore è riuscito a fare su tavole di pietra, riuscirà a farlo pure nel cuore dell’uomo. Quella Legge dura a viversi, diventava come un libro di scuola dal quale imparare la fede. Ascolta, leggi, ripeti, impara a memoria, parlane ai tuoi figli quando sarai in casa o quando sarai per via… la legge del Signore era davvero sulle labbra dei suoi figli. E così era un continuo ripetere “Signore, Signore”.
Quel Dio che nessuno aveva mai visto, fu però conosciuto quale Parola rivolta ai suoi servitori. Fu così che presto compresero che con gli uomini Dio ci parlava. Anche senza farsi vedere in viso, come il pastore quando cammina davanti alle pecore. La voce, la parola, il comando erano più che sufficienti. “Dio disse… e così fu”. Disse anche nel buio più denso, informe e caotico delle origini.
“Guardami quando ti parlo!” diciamo noi occidentali mentre rimproveriamo e correggiamo i figli. Non guardare negli occhi, nella nostra cultura è segno di non attenzione. Forse ci può risultare interessante sapere che nelle differenti sfumature delle culture orientali, quando si corregge un figlio, egli dovrà fare esattamente il contrario di ciò che qui considereremmo mancanza di rispetto: guarderà piuttosto in basso in segno di accettazione dell’autorità che lo sta rimproverando e correggendo. E non stupitevi neppure se, mentre parlate, qualcuno invece di rivolgere lo sguardo al volto di chi parla, indirizzerà semplicemente l’orecchio perché è proprio attraverso quella parte del corpo che avviene il primo ascolto. Ogni mattina – scrive il profeta Isaia – fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro (Is 50,4-5).
Mosè saliva sul monte per ascoltare le parole che Dio rivolgeva al popolo tramite il suo servo. Gesù sale sul monte per ascoltare le parole di suo Padre e per farle udire a noi. Il monte, luogo di rivelazioni, è ora il luogo dove Gesù dice la parola e la fa. Proprio nel brano di ieri si diceva che Gesù salì sul monte e portavano a lui molti malati, zoppi, storpi, ciechi… e li guariva.
Un popolo nomade cercava la via d’uscita dal deserto… le loro case erano come tende di pastori: bastava davvero un po’ di vento per ribaltarle. Si costruirono case solo quando Dio concesse una terra su cui edificare. Costruire la nostra vita dimenticandoci di questo è tornare a vivere pagine come il racconto della torre di Babele. Nelle migliori delle ipotesi, l’uomo dopo essersi costruito le sue case, ha spesso voluto costruire anche una dimora per il suo Dio.
Forse dimentichiamo troppo spesso che è Dio stesso che va costruendosi una casa dentro di noi. E la somma di queste dimore sarà una città nuova dove poter finalmente vivere nella Sua giustizia. Egli ha dato come fondamento la sua Parola. Gli occhi del Figlio sono le finestre da cui osserva il mondo. Quello stesso Figlio è anche la porta da cui passare per entrare ed uscire. E la sua mano è un tetto sulla nostra testa.
Ho ancora nel cuore – e sono passati già alcuni anni – le parole di un caro amico, Johnny Dotti, che parlando alla Comunità disse: “Abbiamo bisogno di preti che ci insegnino nuove forme dell’abitare“. E intanto siamo qui a chiederci quanti potremo essere alla tavola di Natale… Forse, davvero, dovevamo pensarci prima a costruire case diverse. E tavoli più grandi…
Ora, come se non ci fosse più tempo o occasione, come se non ci fosse più un domani, lamentiamo soltanto la nostra impossibilità di allargare il cerchio, fosse anche solo quello di parenti, stretti o larghi che siano.
Papà nostro, che stai nei cieli, abbi pietà dei nostri appartamenti dove ci siamo isolati. E Tu che ci volevi come un rifugio e un riparo per l’orfano, lo straniero, la vedova. Forte del fatto che avremmo naturalmente dovuto fare con gli altri, ciò che Tu per primo hai fatto con noi. Perché non c’è uomo sulla terra che non viva prima o poi la condizione di stranierità o di estraneità, di vedovanza o di orfanezza. E poiché ancora non ti conosciamo, seppure diciamo “Signore, Signore…” – e non si dice proprio “Scusi, Signore” a chi non si conosce? – ora la percezione è che tutto crolla e rovina al suolo. Questa Babele dove non ci si comprende più è frutto della nostra stoltezza.
Non è questione di ottimismo o di pessimismo. Di cosa s’è mangiato o di come s’è dormito. Basterebbe riprendere in mano i mattoni dalle macerie. Basterebbe vederci all’opera nel costruire in noi la dimora più bella per chi è solo e abbandonato. E Dio sarà nuovamente il Dio-con-noi. E a Natale saremo ancora lì, con al massimo delle piccole variazioni d’orario alle nostre più o meno solenni liturgie, a leggere quella pagina: “…Lo avvolse in fasce e lo depose nella mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo!“. (Lc 2,7)
Costruire, edificare? Come, dove, quando, perché, si può, non si può? Abitare è il tuo Verbo. Venne ad abitare in mezzo a noi. Posse una tenda.
Tu
umile Parola
senza voce
che bussi
a cuori chiusi
non sempre
ad aprirti
ben disposti,
fino a quando
dovrai stare
alla mia porta
in attesa che si apra
per lasciarti entrare?
Ti prego,
non stancarti
di bussare!
(Anna Maria Canopi)
Dal Vangelo secondo Matteo (7,21.24-27)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
Signore, tu sei stato per noi un rifugio
di generazione in generazione.
Prima che nascessero i monti
e la terra e il mondo fossero generati,
da sempre e per sempre tu sei, o Dio […]
Gli anni della nostra vita sono settanta,
ottanta per i più robusti,
e il loro agitarsi è fatica e delusione;
passano presto e noi voliamo via.
Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!
Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti,
per gli anni in cui abbiamo visto il male.
Si manifesti ai tuoi servi la tua opera
e il tuo splendore ai loro figli.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.
salmo 89 (90)
La nostra salvezza, la nostra nascita o ri-nascita dipenderà sempre dal saper accogliere, confidando non solo sulle nostre forze ma su quelle di un Padre che “è roccia eterna”… Che la nostra vita possa poggiare sulla roccia che sei Tu e che è la Tua Parola per noi…sempre più su di Te e meno su noi stessi, “sugli uomini ed ancor meno sui potenti”. TU SEI…?? Che ogni uomo possa trovare la sua risposta o tentare ogni giorno di rispondere con il Tuo aiuto.
Grazie Don Stefano per queste riflessioni e provocazioni, sempre calzanti. Soprattutto ora che ci si trova magari con l’ansia di dover scegliere in quale comune fermarsi per passare il Natale, quando probabilmente la questione non è tanto “dove” ma “come” condividere questa festa. Grazie, una volta di più, perché ci aiuti a cambiare un po’ la prospettiva, fondamentale per mantenerci autenticamente attenti.