Credere a chi ha creduto
Arcabas, Le mirofore, chiesa della Resurrezione – Torre de Roveri
Sabato fra l’ottava di Pasqua
(At 4,13-21 / Sal 117 / Mc 16,9-15)
Nocciolo del Vangelo – o Vangelo stesso – è la resurrezione di Gesù Cristo. Senza questa scoperta tutto apparirebbe semplicemente come il racconto della vita di un uomo che ha fatto del bene, in parole e in opere. Ma neppure tanta bontà servì a risparmiargli la morte. Anzi!
Gli studi esegetici attorno ai testi sacri concordano nel dire che questi versetti finali del Vangelo di Marco sono verosimilmente un’aggiunta postuma di un autore anonimo della chiesa primitiva che già era impegnata nell’annuncio del Vangelo stesso. L’Evangelista Marco avrebbe concluso il suo Vangelo descrivendo la delusione delle donne che si sarebbero accontentate di trasformare l’amara constatazione della morte del Maestro con l’inebriante dolcezza dei profumi con i quali avrebbero desiderato ungere il cadavere. Esse – scrive dunque Marco – uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite. (Mc 16,8) È tutto molto comprensibile e molto umano: andiamo sulle tombe dei nostri defunti dedicandoci a tenerle pulite, a cambiare l’acqua ai fiori con la stessa dedizione delle faccende domestiche.
Il fatto è che la comunità dei credenti stava invece già annunciando la resurrezione di Gesù e non più soltanto come un fatto storico ma anche come una confessione di fede. Non basta dire «Non è qui! È risorto!». Questo è il messaggio che fin da subito sta sulla bocca degli angeli. Il Vangelo sottolinea in qualche modo la necessità di affermare «È risorto e noi lo crediamo!». E prima di arrivarci, occorrerà perfino attestare una certa incredulità, una certa resistenza a credere alla resurrezione.
Resurrezione non è dunque soltanto il racconto storico di una tomba trovata improvvisamente vuota ma anche la confessione di fede, il racconto e la testimonianza di chi ha visto. Ecco perché il Vangelo non poteva concludersi con il silenzio delle donne impaurite. Il risorto, apparve in diversi modi quasi a sottolineare la necessità che dell’unico avvenimento (morte e resurrezione di Gesù) ciascuno potesse rielaborarne una personale testimonianza. Resurrezione dunque non è soltanto un fatto accaduto a Gesù ma anche una trasformazione interiore dei discepoli stessi e della comunità dei credenti.
Un morto non parla più. L’impossibilità di proferire verbo certifica la morte. Ma dentro quella tomba la Parola si fece ancora udire. Si tratterebbe dunque di una semplice sostituzione simbolica? Non c’è più il corpo ma c’è la Parola della quale quel corpo era l’incarnazione palpabile? Operazione non del tutto convincente per quanto suggestiva. Anche perché, ora, lo attesta il Vangelo di oggi, c’è in gioco anche la parola dei discepoli e non più soltanto quanto disse Gesù mentre era vivo e quanto dicono gli angeli nel luogo dove c’era il suo corpo morto.
Nella vita dei credenti resterà d’ora in poi un miscuglio di pensieri umani e divini. È il passaggio di Gesù che ha seminato in noi quest’altro modo di guardare la vita quotidiana. Dio, l’unico Dio, creatore del cielo e della terra, è presente in Gesù di Nazareth proprio per rivelare all’uomo questa stessa presenza di Dio in ciascuno. Parlava del regno di Dio come di qualcosa che già stava in mezzo a noi, per non dire dentro di noi.
Nella vita terrena, spesso a causa di sofferenze indecifrabili, alziamo barriere di difesa. Preferiamo essere impermeabili, rassegnati o perfino increduli. Lo facciamo a livello personale ma anche a livello collettivo, comunitario. Eppure nel profondo Qualcuno ci insegna che vivere significa sempre sperare. La resurrezione non si racconta a partire da noi stessi… sbatteremmo continuamente contro la nostra durezza di cuore, la nostra incapacità a comprendere, il nostro desiderio di dimostrare semplicemente in modo storico.
Credere significa riconoscere che nella nostra vita sarà la vita stessa di Gesù che si manifesterà. Sicchè il Risorto non può che tornare in mezzo ai suoi discepoli rimproverandoli per la loro incapacità di credere a quanto Egli aveva già operato nella vita di chi lo stava testimoniando. Rimproverati per la loro chiusura e per la loro incredulità non potranno che ricevere come antidoto a questo veleno che intossica le nostre giornate, l’invito ad ampliare gli orizzonti. Tutte le creature diventano destinatarie del Vangelo… e noi impariamo così a vivere nell’attesa che Cristo sia finalmente tutto in tutti.
Ad Assisi, sul perimetro esterno della Basilica di Santa Maria degli Angeli, nel lato interno del convento c’è una scultura che raffigura Francesco intento a parlare con una cicala. Annunciare il Vangelo ad ogni creatura per Francesco non significa imporre di credere a chi non ne vuole sapere, quanto piuttosto riconoscere che in ogni creatura, perfino in quella cicala così diversa da sé, era come già presente la consolante buona notizia del Vangelo, che arrivava a Francesco nella forma del canto e di quella disposizione all’obbedienza della cicala stessa. Dicono le fonti:
Un giorno che usciva dalla celletta vide, e poteva toccarla con la mano, sul ramo di un fico sorgente lì presso, una cicala. Le stese la mano, invitandola: “Sorella mia cicala, vieni con me!”. Quella venne all’istante sulle sue dita, e il Santo prese ad accarezzarla con un dito dell’altra mano, dicendole: “Canta, sorella mia cicala!”. Subito lei obbedì, e prese a frinire. Francesco ne fu molto felice e lodava Dio. La tenne così sulla mano molto a lungo, poi la ripose sul ramo del fico da cui l’aveva tolta.
Per otto giorni continui ogni volta che usciva dalla celletta, la trovava allo stesso posto e tutti i giorni, prendendola in mano, appena le diceva, toccandola, di cantare, la cicala friniva. Passati otto giorni, Francesco si rivolse ai compagni: “Permettiamo adesso a sorella cicala di andare dove vuole. Ci ha donato abbastanza consolazione, e la nostra carne potrebbe trarne vanagloria”. Come la ebbe congedata, quella si allontanò e non tornò più a quel posto. I compagni rimasero meravigliati del fatto che la cicala gli obbedisse così e fosse tanto affettuosa.
In effetti, Francesco trovava tanta gioia nelle creature per amore del Creatore, che Dio, al fine di confortare fisicamente e spiritualmente il suo servo, gli rendeva mansuete le creature che si mostrano ritrose con gli uomini.
Noi ti ringraziamo, o Cristo,
per questo tempo dello Spirito,
per questo tempo della Chiesa:
per le Scritture spiegate
che ci fanno ardere il cuore,
per il pane spezzato
che ti rende presente tra noi.
Noi ti ringraziamo, o Cristo,
per questo tempo che è il nostro
perché ti fai trovare se noi ti cerchiamo
perché ti fai conoscere chiamandoci per nome.
Dal Vangelo secondo Marco (16,9-15)
Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.
Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.
Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».
Mi sembra di custodire un prezioso pezzo di vita,
con tutta la responsabilità che me ne viene.
Mi sento responsabile
per quel grande e bel sentimento della vita
che mi porto dentro,
devo cercare di mantenerlo intatto
in questo tempo
per poterlo trasmettere
a un tempo migliore.
È l’unica cosa che conta
e ne sono pienamente cosciente.
Ci sono dei momenti in cui penso
che dovrei rassegnarmi e soccombere,
ma ogni volta ritrovo
quel senso di responsabilità
nei confronti della vita
che in me va veramente tenuto vivo.
(Etty Hillesum)
Anche oggi don Stefano, la tua riflessione è notevole, di quelle insomma che arrivano come un uragano, che ti scuotono dentro e l’unica cosa che so fare è rileggerla spesso durante il giorno, e provare a capire che tipo di fede ho io. Stupende pure i rimandi a S. Francesco e Etty Hillesum. Tutto ciò in un giorno è potente. Mi spiace non essere una tua parrocchiana, abitare così lontana, con te deve essere molto entusiasmante il cammino di fede, non un cammino sbiavido e monotono, ma fresco e nuovo. La tua comunità è molto fortunata.
In questi giorni non ho scritto ma lasciato lo spazio necessario perché le parole prendessero una forma più opportuna. Le letture dei giorni successivi alla Pasqua si accomunano in certo qual modo, pur nella diversità delle voci che le compongono. Differenze peculiari che, prese tutte insieme, si armonizzano come i differenti fiori che compongono un bel bouquet. Sono voci tanto più importanti in quanto testimonianza di umanissimi limiti ed incoraggiamenti divini. Ogni punto di partenza, ogni incontro ed ogni testimonianza concorrono a sottolineare la spinta incoraggiante del Risorto che, ad ogni inciampo e ad ogni accenno di “chiusura”, rilancia con una spinta, un richiamo ad andare oltre. Ne terrò conto, cercherò di mettermi in nota di leggerli più spesso questi brani, per ricordarmi -io per prima- di continuare a mettermi in discussione, non “sedermi” ma ricordarmi sempre di puntare un poco “oltre” il livello cui sto.