Dati sensibili

Lunedì della prima settimana di Quaresima (Lv 19,1-2.11-18 / Sal 18 / Mt 25,31-46)

Ubi caritas et amor, ubi caritas Deus ibi est
Dove c’è carità e amore, dove c’è carità Dio è lì

Dal Vangelo secondo Matteo (25,31-46)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Proprio questa immagine dovremmo avere più spesso davanti agli occhi: ci sarà un giorno in cui tutti i popoli della terra saranno convocati davanti al Figlio dell’uomo, proprio quel Figlio dell’uomo di cui parlavamo pochi giorni fa. E in quella marea di gente di ogni tempo, di ogni lingua, di ogni terra… cercarmi attentamente per sapere che ci sarò anche io. Anche tu. Ciascuno.

Per crescere, per vivere ci è stato detto molto più spesso ciò che non si doveva fare. Il Primo Testamento è denso di divieti, di negazioni. Decisive. Una su tutte: non uccidere. Eppure non è bastato. Non basta neppure oggi. Il comandamento è lì, nella sua negazione per affermare la vita: da custodire, da proteggere, da far crescere, da moltiplicare. Si dice spesso che è solo una questione di linguaggio e di comunicazione: una comando pronunciato come negazione viene recepita meno favorevolmente di qualcosa che si può dire altrimenti, in modo positivo.

Eppure alla fine saremo convocati tutti, senza scusanti: perché ogni cosa c’è stata detta e spiegata per il suo diritto e pure per il suo rovescio. E non sarà certo una questione di un comando non compreso, non saputo, non eseguito. Sarà solo questione di ciò che abbiamo scelto di compiere: dare o non dare un bicchiere d’acqua, aprire o non aprire la porta… e così per ogni opera indicata dal Vangelo e chissà per quante altre ancora.

Come accade ogni giorno, così sarà alla fine della nostra vita: la parola del Vangelo ci raduna tutti per ridirci definitivamente il dono di libertà che abbiamo tra le mani. Non sarà neppure Dio a dirci ciò che dobbiamo fare o non fare. Non sarà neppure una legge morale più o meno impressa nella coscienza o decifrabile attorno a noi, nel gruppo o nella società in cui cresciamo e viviamo. Alla fine scopriremo che ciascuno avrà potuto decidere di sé, di ciò che può e vuole compiere o tralasciare. Libertà e Amore, quando si coniugano assieme, originano il compimento.

Ipotizzare resurrezione in questi giorni di morte violenta è davvero arduo. Sappiamo per certo tuttavia che solo per effetto di morte ci è permesso di parlare di resurrezione. Ciò che ci lascia l’amaro in bocca e con una fede fragile e sospesa è sempre l’enigma dell’innocenza delle vittime. Accanto a chi muore ingiustamente, ancora una volta ci lasciamo commuovere dalle tristi vicende umane e dentro di noi la carità ci smuove a tentare di riconoscere in ciascuno di quei piccoli un fratello di Cristo.

Difficile identificarsi, riconoscersi. Non bastano più documenti, costruirsi identità digitali. Sono tutti dati sensibili, esposti alla contraffazione. In guerra poi si rubano anche le divise. Una piccola sorgente di carità nasce ancora nel cuore di molte persone. Sarà un indizio di resurrezione? Ci riconosceremo solo se avremo amore gli uni per gli altri, se avremo una minima capacità di sopportarci, di portare gli uni i pesi degli altri. 

IL CIELO
Da qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
Un’apertura e nulla più,
ma spalancata.
Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
L’ho dietro a me
sottomano e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva dal basso.
Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n’è più
che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente come la tomba.
La talpa è al settimo cielo
come il gufo che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade da cielo a cielo.
Friabili, fluenti, rocciosi,
infuocati e aerei,
distese di cielo, briciole di cielo,
folate e cumuli di cielo.
Il cielo è onnipresente
perfino nel buio sotto la pelle.
Mangio cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.
La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
incanto e disperazione.

(Wisława Szymborska)


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