Di passaggio…

sabato – Prima settimana di Avvento

(Is 30,19-21.23-26 / Sal 146 / Mt 9,35-10,1.6-8)

La Scrittura parla di pastori: Abele, Abramo, Mosé, Davide… La loro storia s’è scritta sotto le stelle. A vederli – da Abramo in poi – sembrano solo dei vagabondi. Ma ciascuno di loro sapeva di obbedire ad una voce che udirono. Solo chi non ha udito, può chiamare vagabondi quegli uomini che in realtà sono pellegrini in cammino verso una meta segnata da Dio stesso. Il bambino nato a Betlemme e deposto nella mangiatoia perché non c’era posto per Lui nell’albergo, aprendo gli occhi al mondo, vide quei pastori che nella notte stavano vegliando le greggi per difenderle dai lupi. Quello stato di grazia  – la veglia – li fece destinatari del nuovo messaggio: “Vi annuncio una grande gioia… questo per voi il segno: un bambino adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,11-12). Finalmente quei pastori, abituati a passare le notti sotto le stelle, avevano Dio per compagnia. 

In alcuni momenti dell’anno, c’erano i giorni del parto delle pecore madri. Un gran daffare in quei giorni. Le altre notti erano lunghe e sotto le stelle: acceso il fuoco, non avevano altro che stare con un occhio rivolto al gregge e l’altro rivolto al cielo. Qualcuno provò pure ad immaginare che Dio poteva essere come loro. Non sapevano, in realtà, che loro stessi erano immagine e somiglianza di Dio. Pastori ai quali sarebbe piaciuto essere semplicemente pecore, per sapere che qualcuno vegliava su di loro. E così Dio fu per loro come un pastore. “Tu, pastore di Israele, ascolta. Tu che guidi Giuseppe come un gregge… risveglia la tua potenza e vieni in nostro aiuto” (salmo 79). 

Il figlio di Dio li ebbe in simpatia quei pastori tanto che a loro si ispirò per raccontare le più belle parabole o per trarne similitudini: Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. E così, in mezzo alla stanchezza e lo sfinimento dei vulnerabili, non dà risposte o ricette immediate, ma invita ad alzare lo sguardo per pregare il padrone di quella terra che, a guardarla dal cielo, è ancora una messe abbondante e non un campo depredato.

La terra grida ancora al cielo le sue paure, i suoi smarrimenti e il cielo condensa i suoi segni in quello che il Filgio – compassione di Dio fatta carne – farà: Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità… predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.

E ancora mi risuona nel cuore la domanda del brano di Vangelo che Gesù rivolse ai due ciechi: “Credete che io possa fare questo?” (Mt 9,28). Quei due ciechi, credendo a quell’apparente impossibilità, riebbero la vista. Ma la fede più grande non è dell’uomo in generale, o di qualche uomo in particolare. La fede più grande è di Dio stesso che ancora si fida di noi. Quell’umana compassione che Gesù stesso prova davanti allo sfinimento delle folle, non è passiva pena verso dei miseri che tali, in fondo in fondo, vogliono restare. C’è un certo piacere perverso dell’uomo a crogiolarsi nelle proprie pene e nelle proprie miserie. E spesso abbiamo messo in piedi un sistema assistenziale che sembra incentivare questa autocommiserazione.

Passatemi l’immagine: resto ammirato davanti ai miei due cani pastori quando percepiscono dal loro manto peloso che qualche fiocco di neve e diverse gocce d’acqua hanno appesantito la loro esistenza. Allora si fermano e in un movimento rapido ed energico, si scrollano di dosso ciò che non è loro proprio. Potessimo imparare anche noi questo movimento di liberazione.

La compassione che Gesù provava davanti alle folle è la stessa che Dio sentì per il suo popolo quand’era tenuto in schiavitù. E nemmeno gli venne in mente che in quell’oppressione avrebbe potuto sentire rivolte al cielo più preghiere. Si attivò per liberarli. Quella compassione di Dio che Gesù incarnerà è annuncio di riscatto, di liberazione, un passaggio che dobbiamo compiere. Perché – come ho potuto ascoltare in questi giorni dalle parole di una persona a me cara – “è l’uomo che passa, non il tempo”. E noi non siamo solo di passaggio, ma siamo noi stessi un passaggio. Dobbiamo compierlo questo passaggio che chiamiamo “Pasqua” dalla notte dei tempi. È la nostra fede. Saremmo più disposti a ricevere da Dio tutte quelle energie necessarie al mondo per poi farle passare in mezzo agli uomini, dispensandole gratuitamente. Siamo di passaggio, ma siamo anche dei passatori che hanno imparato a non trattenere nulla per sé. 

Spirito santo,
quando ci sentiamo perduti e dispersi,
guida i nostri cuori verso la preghiera,
perché torniamo a guardare in alto
e a parlare con il Padre nostro che sta nei cieli
e riceviamo dal Figlio, divino passatore,
tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno
per vivere sulla terra
come figlio e non come schiavo.

Dal Vangelo secondo Matteo (9,35-10,1.6-8)

In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Alle fonti del Tuo vivere

mi fermo e mi disseto

del Tuo essere per noi vivo

e la storia

è ai miei piedi

e mi dico:

“Ecco perché credi”,

senza di Te, o Dio

io non ho passi

per camminare

nella Tua infinita strada

e mi accorgo

di non essere solo

a chiederti

di trascinarmi

ad occhi aperti

nel Tuo mistero.

(Luigi Ederle)

4 dicembre 2020… nevica attorno a Vedeseta, val Taleggio (BG)

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Piccoli Pensieri (2)

serena

O Signore, aiutaci ad uscire dalle nostre proprie situazioni per entrare in quelle del fratello e perdere tempo per lui.

5 Dicembre 2020
Adriana Salvi

Leggendo le riflessioni odierne,mi è apparsa una persona molto importante x la mia vita spirituale e x quella di molti: don Sergio Colombo, un sacerdote innamorato di Dio e dell’uomo, un passatore. Egli , come Gesù è passato accanto ad ognuno valorizzando ciò che di buono c’era in lui( come in un bellisimo film di Olmi) facendo da ponte fra l’uomo e Dio, fra la terra e il cielo. Ogni giorno dovrei chiedere a Dio l’aiuto perché il mio passare in questo mondo non sia insignificante. Forse il primo passo è non ripiegarmi su me stessa ed essere attenta agli altri. Si può sempre fare qualcosa x cambiare se stessi e il mondo.

5 Dicembre 2020

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